Abilitazione all’esercizio della professione di medico-chirurgo di default: ipotesi di richiesta danni

Redazione 18/03/20
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Con il decreto #CuraItalia, pubblicato il 17 marzo in Gazzetta Ufficiale è stato stabilito all’art. 107 che:”

Il conseguimento della laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia – Classe LM/41 abilita all’esercizio della professione di medico-chirurgo, previa acquisizione del giudizio di idoneità di cui all’articolo 3 del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 9 maggio 2018, n. 58. Con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, adottato in deroga alle procedure di cui all’articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, è adeguato l’ordinamento didattico della Classe LM/41Medicina e Chirurgia, di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 16 marzo 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 luglio 2007, n. 155, S.O. Con decreto rettorale, in deroga alle procedure di cui all’articolo 11, commi 1 e 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341, gli atenei dispongono l’adeguamento dei regolamenti didattici di ateneo disciplinanti gli ordinamenti dei corsi di studio della Classe LM/41-Medicina e Chirurgia. Per gli studenti che alla data di entrata in vigore del presente decreto risultino già iscritti al predetto Corso di laurea magistrale, resta ferma la facoltà di concludere gli studi, secondo l’ordinamento didattico previgente, con il conseguimento del solo titolo accademico. In tal caso resta ferma, altresì, la possibilità di conseguire successivamente l’abilitazione all’esercizio della professione di medico-chirurgo, secondo le modalità di cui al comma 2. 2. I laureati in Medicina e Chirurgia, il cui tirocinio non è svolto all’interno del Corso di studi, in applicazione dell’articolo 3 del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca n. 58 del 2018, si abilitano all’esercizio della professione di medico-chirurgo con il conseguimento della valutazione del tirocinio, prescritta dall’articolo 2 del decreto del Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca 19 ottobre 2001, n. 445. 3. In via di prima applicazione, i candidati della seconda sessione – anno 2019 degli esami di Stato di abilitazione all’esercizio della professione di medico-chirurgo, che abbiano già conseguito il giudizio di idoneità nel corso del tirocinio pratico-valutativo, svolto ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca n. 58 del 2008, oppure che abbiano conseguito la valutazione prescritta dall’articolo 2 del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca n. 445 del 2001, sono abilitati all’esercizio della professione di medico-chirurgo. 4. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. Dalla medesima data continuano ad avere efficacia, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca n. 58 del 2018, nonché quelle del decreto del Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca n. 445 del 2001, relative all’organizzazione, alla modalità di svolgimento, di valutazione e di certificazione del tirocinio pratico-valutativo. 5. Limitatamente alla sola seconda sessione dell’anno accademico 2018/2019, l’esame finale dei corsi di laurea afferenti alle classi delle lauree nelle professioni sanitarie (L/SNT/2), (L/SNT/3) e (L/SNT/4), di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, può essere svolto con modalità a distanza e la prova pratica può svolgersi, previa certificazione delle competenze acquisite a seguito del tirocinio pratico svolto durante i rispettivi corsi di studio, secondo le indicazioni di cui al punto 2 della circolare del Ministero della salute e del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca del 30 settembre 2016. Per la durata dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, qualora il riconoscimento ai sensi della Direttiva 2005/36/CE e successive modificazioni di una qualifica professionale per l’esercizio di una professione sanitaria di cui all’articolo 1 della legge 1 febbraio 2006, n. 4 sia subordinato allo svolgimento di una prova compensativa, la stessa può essere svolta con modalità a distanza e la prova pratica può svolgersi con le modalità di cui al punto 2 della circolare del Ministero della salute e del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca del 30 settembre 2016. È abrogato l’articolo 29 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 “.

I neolaureati saranno quindi ammessi di default all’esercizio della professione.

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Risarcimento danni da inadempimento di direttive comunitarie e prescrizione

La giurisprudenza di legittimità nelle sentenze, sostanzialmente gemelle, nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011 ha affermato che in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione ex lege riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, all’ordinario termine decennale di prescrizione.
Le citate sentenze gemelle hanno, in primo luogo, precisato che “il concetto di responsabilità contrattuale è stato usato dalle Sezioni Unite palesemente nel senso non già di responsabilità che suppone un contratto, ma nel senso – comune alla dottrina in contrapposizione all’obbligazione da illecito extracontrattuale – di responsabilità che nasce dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, considerato dall’ordinamento interno, per come esso deve atteggiarsi secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, come fonte dell’obbligo risarcitorio, secondo la prospettiva scritta nell’art. 1173 c.c..
In secondo luogo, sulla base di un’ampia ricognizione dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria a partire dalla invocata sentenza sul caso E. (ivi compresa quella sulla causa C-445/06, considerata dalla sentenza impugnata come determinativa del suo superamento) si sono affermati i seguenti principi di diritto: “la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in tema di azione risarcitoria di diritto interno, da inadempimento di direttiva sufficientemente specifica nell’attribuire ai singoli diritti, ma non selfexecuting, evidenzia conclusioni certe nel senso: a) la regolamentazione delle modalità, anche quoad termini di decadenza o prescrizione, dell’azione risarcitoria da inadempimento di direttiva attributiva di diritti ai singoli compete agli ordinamenti interni; b) in mancanza di apposita disciplina da parte degli Stati membri, che dev’essere ispirata ai principi di equivalenza ed effettività, il giudice nazionale può ricercare analogicamente la regolamentazione dell’azione, ivi compresi eventuali termini di decadenza o prescrizione, in discipline di azioni già regolate dall’ordinamento, purchè esse rispettino i principi suddetti e, particolarmente, non rendano impossibile o eccessivamente gravosa l’azione; c) l’applicazione di un termine di prescrizione che così ne risulti, cioè che derivi dal riferimento che il giudice nazionale fa ad una disciplina interna regolamentante altra azione, è possibile comunque solo se essa può considerarsi sufficientemente prevedibile da parte dei soggetti interessati, dovendo, dunque, il giudice nazionale procedere necessariamente a tale apprezzamento; d) l’eventuale termine di prescrizione può decorrere anche prima della corretta trasposizione della direttiva nell’ordinamento nazionale, se il danno, anche solo in parte (è questo il significato del riferimento ai “primi effetti lesivi” contenuto nella sentenza nella sentenza Danske Slagterier) per questo soggetto si è verificato anteriormente; e) l’applicazione del termine di prescrizione decennale, della quale sopra si è data giustificazione, ove sia apprezzata sotto il profilo della prevedibilità da parte dei soggetti interessati, appare prevedibile, tenuto conto che il termine di prescrizione decennale (di cui all’art. 2946 c.c.) è quello generale e certamente più favorevole rispetto ai termini speciali, più brevi. Risponde, quindi, al principio comunitario di effettività.”. p.6.3. Dev’essere, poi, rilevato che questa Corte, con la sentenza n. 17868 del 2011, deliberata sempre nella udienza del 18 aprile 2011 e depositata il 31 agosto successivo, ha precisato, altresì, che la ricostruzione dello stato della giurisprudenza comunitaria fatta dalle citate sentenze gemelle risultava conforme a quanto, successivamente al loro deposito, aveva deliberato la Corte di Giustizia con la sentenza 19 maggio 2011, resa sulla causa C-452, su un rinvio pregiudiziale operato dal Tribunale di Firenze (e considerato dalla dette sentenze, le quali avevano escluso, invece, ch’esso fosse necessario ed erano state, peraltro, depositate senza che le parti avessero fatto presente l’imminenza della discussione davanti a quella Corte il 19 maggio 2011 ed in situazione nella quale nel sito della Corte di Giustizia non risultava all’epoca della camera di consiglio e del deposito delle decisioni la calendarizzazione dell’udienza).
A sua volta Cass. n. 25993 del 2011 ha precisato, scrutinando eccezione della difesa erariale in analoga controversia che è infondato l’assunto (adombrato anche da parte della dottrina) secondo cui la citata sentenza comunitaria avrebbe contraddetto le argomentazioni della giurisprudenza inaugurata dalle sentenze gemelle: la sentenza comunitaria si è occupata, infatti, solo di ribadire che cosa la giurisprudenza comunitaria dispone in punto di obblighi del legislatore degli Stati membri in punto di applicazione di regime prescrizionali o decadenziali che interferiscano sulle pretese basate sul diritto comunitario rimasto inadempiuto. E lo ha fatto ribadendo i risultati esegetici cui erano pervenute le sentenze gemelle.
Queste ultime (sono sempre considerazioni di Cass. n. 25993 del 2011) hanno, poi, ricostruito il regime prescrizionale della pretesa risarcitoria sulla base del diritto interno, sul quale la giurisprudenza comunitaria anche nell’ultima decisione non si è espressa in alcun modo, esulando il problema dalla sua giurisdizione, che appartiene – com’è noto – solo alla individuazione della compatibilità del diritto interno con l’ordinamento comunitario. Ed è palese che nella specie la ricostruzione operata dalle sentenze gemelle del regime interno di prescrizione dell’azione come individuata dalle Sezioni Unite non si pone in alcun modo in contrasto con il diritto comunitario, del quale è anzi diretta a preservare l’osservanza da parte del nostro ordinamento ed a garantirne massimamente l’effettività. Sempre la sentenza da ultimo citata ha discusso l’ulteriore eccezione della difesa erariale che adombrava un contrasto della qualificazione dell’azione – operata dalle Sezioni Unite e ribadita, anche con gli argomenti esplicativi sopra ricordati, dalle sentenze gemelle – con una in realtà inesistente qualificazione in termini di illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. che sarebbe stata operata dalla giurisprudenza comunitaria. L’assunto è stato considerato privo di fondamento sul rilievo che non si comprende come il riferimento delle detta giurisprudenza all’obbligo statuale di risarcimento del danno possa essere inteso in ambito di ordinamento interno come una scelta a favore di una certa qualificazione normativa, quale quella della lex aquilia, piuttosto che di un’altra. L’individuazione della collocazione nel diritto interno dell’azione risarcitoria compete, infatti, ai giudici di diritto interno sulla base della normativa vigente in mancanza di apposito intervento del legislatore oppure appunto al legislatore, che bene può disciplinare specificamene l’azione. Dopo di che il problema, in termini di rispetto del diritto comunitario, è solo quello del se la disciplina ritenuta applicabile dal giudice interno o individuata dal legislatore consenta il ristoro dell’obbligo risarei torio previsto dal diritto comunitario in nuce con la sentenza Francovich e, come adombrato dalle sentenze gemelle, in realtà definito soltanto dalla sentenza sul caso Brasserie du Pescheur.

Successivamente, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25993 del 2011 ed anche con quella di poco anteriore n. 24816 del 2011, a precisazione del riportato principio ha, altresì, chiarito che esso è applicabile anche agli specializzandi che, avendo iniziato il corso di specializzazione in anni fino all’anno accademico 1990-1991, non potevano vedere la loro situazione disciplinata dal D.Lgs. 257/1991, ancorchè parte del corso fosse stato seguito sotto la sua vigenza. Infatti, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.Lgs. 257/1991 le disposizioni di cui all’art. 6 di esso, che aveva attuato tardivamente il diritto comunitario in parte qua le disposizioni del decreto si applicavano a decorrere dall’anno accademico 1991-92, il che comportava che esse fossero applicabili soltanto agli specializzandi che avessero iniziato il corso di specializzazione a decorrere dall’anno accademico de quo e non anche, sia pure per il periodo successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. 257/1991, a coloro che avessero iniziato la specializzazione prima di quell’anno accademico e non l’avessero ancora terminata. In pratica, si è osservato nelle dette sentenza si

Si è, quindi, riespresso il principio di diritto che viene in rilievo riguardo all’annosa vicenda degli specializzando in questi termini, comprensivi anche del caso degli specializzandi cd. “a cavallo”, cioè che, avendo iniziato la specializzazione prima dell’intervento del D.Lgs. 257/1991, l’avessero terminata quando esso era già entrato in vigore: “il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore dell’art. 11 della L. 370/1999. Con l’art. 4, comma 43, della L. 183/2011, (Legge di stabilità 2012, ex legge finanziaria), approvata in via definitiva dal Parlamento il 12 novembre 2011 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale 14 novembre 2011, n. 265, infatti, è stato disposto che “La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comuni tari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato”. Ai sensi dell’art. 36 della stessa legge la norma è entrata in vigore il 1 gennaio 2012.

Allo stato quindi non pare che coloro che hanno dovuto sostenere l’esame di abilitazione possano vedersi riconosciuto un danno.

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