A proposito dell’istanza di cancellazione delle espressioni sconvenienti ed offensive e di risarcimento di danni ai sensi e per gli effetti dell’art. 89, comma 2, c.p.c. e della responsabilità aggravata ai sensi e per gli effetti dell’art. 96 c.p.c.

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Ai sensi e per gli effetti dell’art. 89, comma 2, c.p.c. (in riferimento al comma 1 del medesimo articolo), è formulabile da un soggetto del processo al giudice civile apposita istanza di cancellazione delle espressioni sconvenienti ed offensive adoperate da una parte del giudizio nei suoi confronti.
In conseguenza, il richiedente, può, inoltre, unitamente alla sentenza che decide la causa, formulare l’assegnazione, con valutazione equitativa, di una somma a titolo di risarcimento del danno, anche non patrimoniale, patito.
Ratio della norma è quella di evitare, nel linguaggio processuale, locuzioni non aventi apporto utile all’oggetto di una controversia, le quali, lungi dall’articolare una risposta ai fatti narrati nei libelli di causa – coessenziale ad una costituzione in giudizio – finirebbero, in modo gratuito ed assolutamente ultroneo, per dar voce al vicendevole malanimo dei litiganti.
 In tema, la giurisprudenza è assolutamente univoca nel configurare violazione dell’art. 89 c.p.c. tutte le volte che le locuzioni adoperate non riguardino o travalichino le esigenze difensive di un determinato processo, avuto riguardo all’oggetto di esso, sì da additare un intento dello scrivente meramente offensivo:
 «A norma dell’art. 89 c.p.c. l’offesa all’onore ed al decoro comporta, indipendentemente dalla possibilità o meno della cancellazione delle frasi offensive contenute negli atti difensivi, l’obbligo del risarcimento del danno non solo nell’ipotesi in cui le espressioni offensive non abbiano alcuna relazione con l’esercizio della difesa, ma anche nell’ipotesi che esse si presentino come eccedenti le esigenze difensive; l’apprezzamento dell’avvenuto superamento dei limiti di correttezza e civile convivenza entro cui va contenuta l’esplicazione della difesa integra, peraltro, esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato» (Cass. 22 febbraio 1992, n. 2188; conf., ex plurimis, Cons. Stato, 6 maggio 2002, n. 2385).
Non dissimile da quello appena trattato è il tema della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., in ordine al quale si legga il seguente pronunciato:
 «Il carattere temerario della lite, che costituisce l’indefettibile condizione perché possa configurarsi la responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., va ravvisato nelle ipotesi in cui una parte abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, dovendosi riconoscere siffatti stati psicologici quando la parte abbia agito o resistito nella coscienza dell’infondatezza della domanda o delle tesi difensive sostenute, ovvero nel difetto dell’ordinaria diligenza nell’acquisizione di detta consapevolezza» (in tal senso, espressamente Cons. Stato, 25 febbraio 2003, n. 1026; conff., Cass. civ., 21 luglio 2000, n. 9579; id., sez. lav., 16 febbraio 1998, n. 1619; tra la giurisprudenza di merito, Trib. di Rimini, 2 aprile 1998, Trib. di Roma, 9 ottobre 1996).
Giorgio Vanacore
avvocato in Napoli
giorgiovanacoreavv@libero.it
 

Vanacore Giorgio

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