A favore dell’impegno di spesa assunto in deliberazione. – Limiti e casi

Redazione 17/11/00
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Il problema della legittimità dell’assunzione di impegni di spesa da parte degli organi politici del comune nasce e si afferma in relazione ai nuovi assetti di competenza che si vanno delineando sulla base del principio di separazione tra indirizzo politico e gestione.

Le basi normative del problema sono pertanto rappresentate dalla legislazione che ha delineato, per fasi progressive, tale principio ed in particolare da una serie di disposizioni che furono interpretate da parte della dottrina come affermazione normativa della preclusione assoluta per gli organi politici all’adozione di provvedimenti di impegno.

Ciò deriverebbe, tra l’altro, dal fatto che l’art. 51,c.3, lett.d), della L.142/90 attribuisce ai dirigenti e ai responsabili dei servizi gli “atti di gestione finanziaria, ivi compresa l’assunzione degli impegni di spesa”e dalla qualificazione dell’atto tipico di impegno come determinazione (art.27, D.Lgs. 77/95).

Da ciò, sulla base di un sillogismo che poneva come premessa minore la qualificazione aprioristica dell’impegno di spesa come atto gestionale, venne affermata in via interpretativa l’incompetenza assoluta in materia degli organi politici.

Non è peraltro vero che dopo le modifiche apportate alla L. 142/90 nessuna norma menziona o prevede espressamente l’assunzione di impegni di spesa da parte degli organi collegiali delle province e dei comuni.

Infatti già nell’immediatezza dell’emanazione della L. 127/97 si sottolineò la permanenza nel nostro ordinamento di tutta una serie di norme che espressamente riconducono a Giunta e Consiglio, in alcuni casi, la competenza in materia.

A titolo meramente esemplificativo è possibile citare l’art.32,c.2, lett. L) L.142/90 che prevede la competenza del Consiglio all’assunzione di spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi; l’art. 107,c.7, del D. lgs. 77/95 che prevede l’assunzione della spesa relativa al compenso del revisore nella stessa delibera di nomina (che è di competenza consiliare); l’art. 3 della L. 816/1985 che stabilisce la competenza del Consiglio alla fissazione dell’indennità di carica del Sindaco.

In tutte queste ipotesi il dato testuale è talmente chiaro e poco controvertibile che lo stesso Ministero è intervenuto sul punto, con circolare 1.10.97 n.FI 25/97, affermando che nelle ipotesi espressamente previste dalla legge l’assunzione degli impegni potrà essere contenuta nelle deliberazioni e che queste, in tal caso, dovranno contenere ancora il parere del responsabile del servizio finanziario.

Al di là delle ipotesi espressamente considerate dalla legge la preclusione agli organi politici di cui si discute trova una sua ratio nel sistema di un binomio perfetto in cui il Consiglio e la Giunta si limitano a fissare obiettivi, programmi, priorità etc.

Nel nostro ordinamento esiste però un più ristretto e circoscritto ambito di competenza del Consiglio e della Giunta in base alle quali le deliberazioni collegiali non si limitano a definire gli indirizzi, ma si strutturano come “atti direttamente idonei a produrre effetti esterni o a instaurare rapporti che producono tali effetti”.

A titolo meramente esemplificativo si pensi alle norme della L.142/90 che disciplinano la nomina del direttore generale, la nomina di professionalità fuori dotazione organica e l’attribuzione di incarichi di collaborazione esterna.

In tutte queste ipotesi la legge riconduce alla deliberazione di Consiglio o di Giunta un contenuto dispositivo tipico che comprende: l’individuazione della prestazione, del soggetto contraente, la ragione del credito e la somma da pagare. In una parola tutti gli elementi costitutivi dell’impegno di spesa ai sensi dell’art. 27, c.1, D.lgs. 77/95.

In questi casi richiedere un distinto e separato provvedimento del responsabile del servizio per l’assunzione dell’impegno di spesa comporta l’emanazione di un atto superfluo in quanto mero duplicato formale della deliberazione collegiale.

Se infatti tutti gli elementi costitutivi dell’impegno di spesa sono stati decisi e predefiniti quale può essere il valore di una ulteriore determina sul punto se non quello di mero atto di recepimento ?

In questo modo per garantire una lettura meramente formalistica del principio di separazione tra indirizzo politico e gestione si garantisce una violazione sostanziale di altri importanti principi pur presenti nel nostro ordinamento, come quello di economicità degli atti, di non aggravamento del procedimento amministrativo e di generale semplificazione.

Ma vi è di più.

In realtà nei casi sopra considerati non si realizza alcuna violazione del principio di separazione tra indirizzo e gestione laddove sfatiamo la semplicistica equazione per cui ogni atto di impegno per ciò stesso è atto gestionale. “E’ la funzione che caratterizza l’impegno di spesa, mentre questo rappresenta piuttosto un momento procedurale non idoneo ad influenzare la natura della funzione nel cui esercizio stesso viene posto in essere”.

In parole più semplici la natura di atto gestionale non è determinata dal fatto che l’atto medesimo disponga l’impegno di una spesa.

Gestione significa “amministrazione o conduzione con poteri decisionali” e con lo stesso significato il termine è stato utilizzato dal legislatore in tutte le norme che hanno introdotto e affermato nel nostro ordinamento il principio di separazione tra competenze di indirizzo e competenze di gestione.

Tale principio, infatti, nasce e si afferma sulla base dell’esigenza di dare spazio alle competenze tecniche dei dirigenti e dei responsabili dei servizi nell’ambito dei processi decisionali. Con l’affermazione di tale principio si vuole cioè garantire il buon andamento della p.a. e soprattutto l’imparzialità della stessa, da un lato evitando le indebite ingerenze del potere politico e dall’altro garantendo l’apporto delle competenze specifiche proprie dell’apparato burocratico.

Con il principio di separazione si vuole pertanto garantire che la sfere decisionali dei dirigenti (e/o responsabili dei servizi) e dei politici rimangano distinte, dando la possibilità ai primi di muoversi in piena autonomia sul piano tecnico giuridico ed ai secondi, con la stessa autonomia, sul piano dell’indirizzo e della programmazione.

Pertanto laddove il contenuto discrezionale dell’atto amministrativo sia in tutto predeterminato e predefinito dall’organo politico, di modo che un’eventuale determinazione di impegno non avrebbe alcun apporto discrezionale del responsabile del servizio, non è l’emanazione di un ulteriore provvedimento che realizza la soddisfazione del principio di separazione.

Perché quest’ultimo sia effettivamente realizzato è necessario che all’interno degli enti sia costituito un assetto di poteri improntato ad una effettiva separazione dei rispettivi ruoli garantendo così l’effettiva autonomia delle rispettive sfere decisionali.

Per tutto ciò, nei casi prima visti, non si può affermare che vi sia violazione del principio di separazione in quanto l’organo politico assume decisioni che la legge stessa gli riserva, che appartengono alla propria competenza e rispetto alle quali l’assunzione dell’impegno rappresenta per l’appunto, “un momento procedurale non idoneo ad influenzare la natura della funzione”.

Il carattere neutro dell’impegno di spesa, peraltro, era già immanente al sistema di contabilità degli enti locali.

L’art.27 del D.lgs.77/95 prevede, infatti, una serie di ipotesi in cui è costituito impegno sui relativi stanziamenti “senza necessità di ulteriori atti” in tutta una serie di ipotesi espressamente individuate dalla legge.

Si tratta di casi in cui comune denominatore è rappresentato dal fatto di non consentire alcuno spazio di discrezionalità circa la determinazione del loro contenuto perché questo è in qualche modo predeterminato e predefinito.

Le argomentazioni sopra riportate sono valide a prescindere dalle recenti modificazioni della L.142/90 ad opera della L.265/99.

Quest’ultima ha, però, portato un contributo normativo di non poco rilievo in quanto ha colmato il vuoto di disposizioni espresse sul punto con la specifica disposizione dell’art. 13 che stabilisce che su ogni proposta di deliberazione che non sia mero atto di indirizzo che comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata deve essere dato il parere di regolarità contabile.

Tutti i dubbi interpretativi legati all’individuazione delle deliberazioni che non siano “mero atto di indirizzo” vengono meno ritenendo che tale disposizione non serva che a dare una copertura normativa inequivocabile alle ipotesi sopra delineate, relativamente alle quali la legittimazione era ricavabile in via interpretativa

La funzione della norma sarebbe, quindi, meramente rafforzativa. Considerato che nelle ipotesi prima descritte, benché ne fosse sostenibile la legittimità sulla base delle norme vigenti, non vi era comunque unanimità in dottrina con tale norma, secondo tale interpretazione, il legislatore avrebbe voluto tacitare la questione dando una copertura normativa unica e chiara.

Possono infatti essere considerate deliberazioni che non sono mero atto di indirizzo tutte le deliberazioni prima richiamate in cui la decisione dell’organo politico implica la definizione di tutta una serie di aspetti che in sé rappresentano il contenuto dell’impegno di spesa.

Le posizioni interpretative che in modo rigoroso negavano agli organi politici la competenza in materia di assunzione di impegni di spesa devono ora fare i conti con una espressa e chiara disposizione che invece tale competenza, in alcuni casi, riconosce.

Vi sono stati dei tentativi argomentativi in senso contrario. Ad esempio, si è sostenuto che l’utilizzo del verbo “comportare” debba essere inteso nel senso che l’impegno di spesa trovi la sua causa nella deliberazione collegiale e pertanto scaturendo “indirettamente” da questa vada successivamente perfezionato con la determinazione dirigenziale. E’ evidente l’assurdità di una tale interpretazione laddove si osservi che l’art. 55, c.5, della L.142/90 utilizza il medesimo verbo parlando di “provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa”. Eppure non si conosce un provvedimento di rinvio attuativo della determinazione.

Non sembra decisiva, inoltre, quell’argomentazione che sottolinea come nella norma in commento venga fatto riferimento al solo parere di regolarità contabile mentre non si fa riferimento all’attestazione di copertura finanziaria.

La regolarità contabile, infatti, non può certo prescindere dall’accertamento della disponibilità di bilancio in quanto una spesa assunta su un intervento incapiente con difficoltà potrebbe essere definita “regolare”. Fermo restando la possibilità di censurare l’imprecisione terminologica del legislatore non pare a chi scrive che questo possa costituire un argomento tanto esaustivo da superare tutte le argomentazioni sopra riportate.

Sicuramente la individuazione delle ipotesi in cui l’organo collegiale può assumere impegni deve essere fatta in maniera rigorosa.

Il riferimento alle deliberazioni di Giunta preventive ai provvedimenti del sindaco e del presidente della provincia di conferimento degli incarichi e di nomina del direttore generale, dei dirigenti fuori dotazione organica e dei collaboratori esterni appare in tutto condivisibile.

In dottrina si è anzi sostenuto che la funzione propria di tali deliberazioni è anche la garanzia degli equilibri di bilancio. “La determinazione del compenso ad opera dell’organo esecutivo, nei limiti consentiti dalla normativa ed in quanto non sia già stabilito dalla legge o dai contratti di lavoro, risponde anche ad un criterio logico in quanto lo stesso ha piena consapevolezza della situazione organizzativa e funzionale interna, degli obiettivi da raggiungere e delle risorse umane disponibili ed è quindi in condizione, più di ogni altro, di apprezzare compiutamente sotto il profilo quantitativo e qualitativo l’impegno richiesto e l’onerosità dei compiti che la posizione attribuita comporta”.”Inoltre poiché “gli atti del sindaco e del presidente della provincia, a differenza degli atti deliberativi, sono svincolati dal preventivo parere di regolarità contabile” la necessità di una preventiva deliberazione di giunta (che invece tale parere contiene) limita il rischio che venga disposta una spesa senza il preventivo accertamento di disponibilità in bilancio.

Appare pienamente condivisibile anche l’ipotesi in cui venga deliberata la partecipazione a società di capitali o l’affidamento di attività mediante convenzioni.

Molti autori citano, ancora, le deliberazioni consiliari che dispongono acquisizioni immobiliari.

Questo caso, però, a differenza degli altri, non può essere generalizzato.

La deliberazione su un acquisto immobiliare può difatti atteggiarsi in due modi differenti.

In un primo modo essa può essere strutturata come mero atto di indirizzo che autorizza il responsabile del servizio ad iniziare le trattative, magari limitandosi ad indicare un prezzo massimo di acquisto. In questo caso il responsabile del servizio mantiene la sua piena discrezionalità circa la determinazione concreta del prezzo e le altre modalità dell’acquisto, per cui, per la lettura sostanziale del principio di separazione prima enunciata, l’impegno di spesa non può che essere assunto in determina.

In un secondo modo la deliberazione di acquisto può essere strutturata in modo da predeterminare tutti gli elementi del rapporto contrattuale, ivi compreso il preciso prezzo di acquisto. Ciò potrà avvenire, ad esempio, se la deliberazione consiliare viene assunta quando le trattative informali abbiano però raggiunto un alto grado di definizione. In questo caso è sottratta, come nelle altre ipotesi, ogni potestà discrezionale al responsabile del servizio, con conseguente applicabilità di quanto sopra sostenuto.

Benché molti autori citino quale ulteriore esempio le deliberazioni di approvazione dei progetti di opere pubbliche a parere di chi scrive tale ipotesi non può essere considerata paragonabile alle altre qui considerate.

Nella deliberazione di approvazione di un progetto di opera pubblica, infatti, da un lato non vi può essere impegno perché, trovandoci in fase antecedente alla gara, manca l’individuazione del creditore, dall’altro il caso rientra in quanto previsto dall’art. 27 del D. Lgs. 77/95 per le spese in conto capitale, che si considerano impegnate di diritto in relazione ai modi del loro finanziamento.

La possibile individuazione di altre ipotesi, oltre quelle già citate, può dipendere dalla risoluzione di alcuni problemi interpretativi propedeutici sul riparto di competenze.

L’affidamento di incarichi di consulenza legale o di incarichi di progettazione potrebbe, infatti, allungare la lista degli esempi laddove si stabilisca che la relativa competenza spetti alla giunta e non al responsabile del servizio. Ma questa è un’altra storia.

Dott.ssa Annalisa Di Piazza

Redazione

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