TAR Catania, I Sezione, sentenza nr. 696 del 20 aprile 2007, in materia di “sfiducia” al Presidente del Consiglio Comunale

sentenza 28/02/08
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REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Prima, composto dai ******************:
Dott.ssa ***************   Presidente
Dott.ssa M.Stella Boscarino  Giudice
Dott. ************************** Giudice rel.est.
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n 276/07 R.G. proposto dal sig. *************** ***, rappresentato e difeso dall’Avv. Santo Di ***, con domicilio eletto in Catania via V.E.Orlando n. 15, presso lo studio dell’Avv. ***********;
contro
l’*************  FAMIGLIA, POLITICHE SOCIALI, AUTONOMIE LOCALI rapppresentato e difeso dall’ AVVOCATURA DELLO STATO, con domicilio ex lege in CATANIA VIA VECCHIA OGNINA, 149 presso la sua sede;
il Comune di Sant’***** (CT), in persona del Sindaco, legale rappresentante p.t.  il CONSIGLIO COMUNALE DI SANT’ALFIO, il  PRESIDENTE PRO TEMPORE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI S.ALFIO  il V.PRESIDENTE PRO TEMPORE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI S.ALFIO tutti non costituiti;   
 
e nei confronti di
** tutti non costituiti;
e ** rappresentati e difesi dall’ Avv. Salvatore ************. SALVATORE con domicilio eletto in CATANIA VIA GROTTE BIANCHE, 117;   
per l’annullamento
della delibera del Consiglio Comunale di Sant’**********’1.12.2006 n. 49 avente ad oggetto mozione di sfiducia al Presidente ed al Vice Presidente del Consiglio;
– della delibera dell’1.12.2006 n. 50 avente ad oggetto “mozione di sfiducia al Presidente e al Vice Presidente del Consiglio allegata alla delibera e “integrata dagli intervenuti” dei Consiglieri Comunali;
– della delibera del Consiglio Comunale di Sant’***** del 16 dicembre 2006 n. 52 con la quale il Consiglio ha deliberato di approvare (tra l’altro) il verbale n. 49 dell’1 dicembre 2006, inerente la delibera n. 50/2006, sopra menzionata, con le rettifiche ivi apportate;
– della delibera del Consiglio Comunale di Sant’***** del 16 dicembre 2006 n. 53, con la quale : a) sono stati eletti il Presidente e il Vice Presidente del Consiglio stesso, nelle persone rispettivamente dei consiglieri comunali ************** e ****************; b) è stato deciso di non esaminare, preventivamente, alla votazione di nomina predetta, l’istanza presentata dal Consigliere Sgroi per l’annullamento in autotutela della delibera consiliare n. 50/2006;
– di ogni altro atto e/o provvedimento antecedente e consequenziale, comunque connesso e/o presupposto, ivi compreso ove occorra e per quanto di utilità alla presente impugnazione: a) l’allegato “A” della delibera nr. 50/2006; b) il verbale consiliare inerente tale ultima delibera, comprese le dichiarazioni rese dai Consiglieri che hanno partecipato alla discussione consiliare, nonché le “rettifiche” apportate a tale verbale con la delibera n. 52/06.
Visto il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio ad adiuvandum di NICOLOSI Alfio e *************;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore per la Camera di Consiglio del 22.02.2007 il Referendario Dr. Salvatore Gatto Costantino;
Uditi gli avvocati delle parti come da verbale;
Visto l’art. 21 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo modificato dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000, n. 205, in base al quale, nella camera di Consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare, il Tar può definire il giudizio nel merito, a norma dell’art. 26 della stessa legge n. 1034/1971 (nel testo modificato dalla L. n.205/2000);
Accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e sentite sul punto le parti presenti alla camera di Consiglio;
Ritenuto, in fatto ed in diritto, quanto segue;
IN FATTO ED IN DIRITTO
     Parte ricorrente impugna gli atti del Consiglio Comunale del Comune di Sant’*****, dolendosi dell’avvenuta “rimozione” con essi disposta dalla carica di Presidente del Consiglio Comunale che in precedenza ricopriva.
     Si sono costituiti in giudizio ad adiuvandum  i sigg.ri ******** e *******, consiglieri comunali (che non hanno preso parte all’approvazione degli atti impugnati) i quali sostengono le ragioni del ricorrente, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
     I) In punto di fatto, deve preliminarmente osservare il Collegio che, dopo che la presente causa è stata trattenuta in decisione per la sentenza breve alla camera di consiglio del 22 febbraio 2007, è pervenuta la nota del Presidente del Consiglio Comunale del Comune di Sant’***** dr. **************, prot. 1562 del 28 febbraio 2007, depositata in atti il 05 marzo 2007, con la quale si comunica a questo Tribunale Amministrativo che il Sindaco del Comune (cfr. lettera del 15 02 2007 prot. 1264 pure allegata) ha ritenuto di non far costituire in giudizio l’Ente locale, nonostante il Consiglio Comunale, con delibera nr. 15 del 13.02.2007, avesse statuito in tal senso.
     Si deve rilevare che tale comunicazione è del tutto irricevibile, e pertanto il Collegio non si può pronunciare su di essa, in quanto non introduce in giudizio alcuna censura e, più radicalmente, non costituisce nessun tipo di gravame.
     D’altronde, osserva il Collegio che il contraddittorio è regolarmente instaurato perché l’odierno ricorso è notificato a tutti i consiglieri comunali che hanno preso parte alle deliberazioni impugnate, oltre che allo stesso Ente locale, in persona del Sindaco (cfr. TAR Catania, I, nr. 283/2007 del 15 febbraio 2007).
     La decisione di quest’ultimo di non costituirsi in giudizio nonostante la espressa statuizione consiliare in tal senso, non può quindi essere valutata in alcun modo dal Collegio, rimanendo interamente assorbita all’interno delle dinamiche “endorganiche” dell’Amministrazione locale, in seno alle quali il conflitto dovrà trovare la propria composizione o soluzione.
     II) Ciò premesso, e venendo al merito del ricorso, si osserva che tra le censure proposte contro i provvedimenti impugnati, il ricorrente ha dedotto:
     1) violazione del procedimento per genericità delle contestazioni, per integrazione successiva del disposto della deliberazione di “sfiducia”, tra l’altro in sede di approvazione dei verbali della seduta precedente, quindi senza idonea previsione della trattazione dell’argomento nella convocazione del Consiglio e, comunque, illegittimità della “sfiducia” votata contro il Presidente del Consiglio Comunale per inammissibilità di un rapporto “politico” e quindi fiduciario tra Presidente e Consiglio Comunale;
     2) il difetto di motivazione, per non essere state prese in considerazione dal Consiglio Comunale le argomentazioni esposte dal ricorrente a difesa del proprio operato (contenute in documento allegato al verbale della deliberazione nr. 49/2006 sotto la lettera “B”)
     Osserva il Collegio che la causa può essere definita in forma semplificata, a mente dell’art. 26 della L. 1034/71, poiché entrambe le censure sono manifestamente fondate e come tali comportano l’accoglimento del ricorso con l’annullamento degli atti impugnati (esimendo peraltro il Collegio dall’esaminare i motivi residui che risultano assorbiti).
     ********
     III) In ordine alle censure relative alla violazione del procedimento di deliberazione consiliare, si osserva quanto segue.
     La convocazione del Consiglio Comunale per la trattazione dell’ordine del giorno esaminato nella seduta della deliberazione nr. 49/2006, è avvenuta dietro presentazione del documento, versato in atti, datato 6/11/2006 ed intestato “mozione di sfiducia” al Presidente del Consiglio ed al Vicepresidente.
     Durante la trattazione dell’ordine del giorno, (nonostante il condivisibile parere del Segretario Comunale che avvertiva  il Consiglio della mancanza nell’Ordinamento degli Enti locali di alcuna previsione normativa o istituzionale che giustificasse la presentazione di una sfiducia del Presidente del Consiglio), l’organo deliberante ha approvato la mozione, deliberando la “sfiducia”; solo in sede di approvazione dei verbali delle sedute precedenti, i Consiglieri comunali hanno rettificato precedenti dichiarazioni, dichiarando di voler attribuire loro il significato “sostanziale” di una revoca (delibera CC nr. 52/2006).
     Dal punto di vista sostanziale della motivazione, nel documento del 6/11/2006, si registrano presupposti che potrebbero essere ricondotti, nominalmente, ad una lamentata violazione dei doveri di imparzialità che sono propri del Presidente del Consiglio; ma, altresì, si riscontrano  affermazioni e dichiarazioni testuali che, invece – unitamente alla genericità dei primi – confermano la natura “politica” della “sfiducia”.
     A dispetto delle dichiarazioni di rettifica  irritualmente contenute nella delibera di approvazione dei verbali delle sedute precedenti, il Collegio deve, infatti, qualificare sostanzialmente gli atti impugnati come una vera e propria “sfiducia” che è illegittima, in quanto non prevista dall’Ordinamento degli Enti locali nei confronti del Presidente del Consiglio, come peraltro costantemente affermato anche dalla giurisprudenza di questa Sezione (cfr. per tutte, TAR Catania, I, 1227/2005, 1181/2006, 282/07 e 283/07).
     **********
     Va ricordato che, come emerge chiaramente dalle decisioni appena citate, la giurisprudenza predominante ritiene (in conformità all’ insegnamento della dottrina), che lo Statuto comunale può prevedere ipotesi e procedure di revoca del Presidente del Consiglio Comunale, con riferimento a fattispecie che integrino comportamenti incompatibili con il ruolo istituzionale super partes che esso deve costantemente disimpegnare nell’Assemblea consiliare (cfr. TAR Sicilia, Palermo, I, 21 aprile 2006, n. 895; TAR Campania, Salerno, II, 31 gennaio 2006, n. 47; TAR Veneto, Venezia, I, 21 dicembre 2005, n. 4539; C.G.A., 20 maggio 2005, n. 420;  TAR Toscana, Firenze, I, 26.04.2005, nr. 1896; C.G.A., 28 febbraio 2005, nr. 183; Cons. Stato, V, 20.10.2004, nr. 6838; Cons. Stato, V, 03.03.2004, nr. 1042; TAR Campania-Salerno, II, 16.02.2004, n. 114; TAR Puglia, Lecce, I, 06.02.2003, nr. 408; Cons. Stato, V, 06.06.2001, nr. 3187).
     Deve a questo punto osservare il Collegio che il C.G.A., in recente decisione, ha contraddetto i suddetto orientamento della giurisprudenza, affermando che, per l’effetto della “ricollocazione” dello Statuto nella gerarchia delle fonti avvenuto con la riforma del titolo V  della Costituzione, non è più precluso all’autonomia dell’Ente locale prevedere nello Statuto ipotesi di sfiducia “politica” del Presidente del Consiglio e che è possibile che l’organizzazione delle funzioni e delle prerogative di quest’ultimo siano improntate ad un rapporto fiduciario con la maggioranza consiliare (cfr. CGA, sent. nr. 69/2006 del 2 marzo 2006).
     Il Collegio, nel mantenere ferma la propria giurisprudenza, che è in linea con l’orientamento maggioritario (costante, come si è potuto vedere sopra, anche dopo la riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta con L.cost. 3/2001), e, sino ad ora, pacifico, deve dissentire da tali considerazioni, sebbene autorevolmente sostenute, del Giudice di appello (esprimendo l’auspicio che esse vengano rimeditate).
     Di per sé, la riforma costituzionale, nel “riqualificare” la (sola) posizione dell’Ente locale nel sistema del decentramento e delle autonomie, non ha modificato direttamente l’Ordinamento degli Enti locali, che resta disciplinato dal Testo unico di cui al dlgs 267/2000 (ed in Sicilia dalle norme della l.142/90 come recepite nella L.R. 48/91): è dunque rimasta immutata la ragione che ha spinto la giurisprudenza a considerare come fosse proprio dell’Ordinamento “tutelare” la posizione “rafforzata” del Presidente del Consiglio nei rapporti con l’organismo consiliare, poiché questa è intrinseca al quadro normativo della disciplina delle Autonomie locali, specie nel sistema di elezione degli amministratori che contempla l’elezione diretta del sindaco ed il voto disgiunto (ossia un meccanismo rappresentativo ove sia l’esecutivo locale che il consiglio comunale sono espressione diretta del  corpo elettorale e devono quindi porsi in relazione tra loro mediante meccanismi di raccordo che ne garantiscano la reciproca autonomia).
     Come, infatti, ha precisato questa Sezione nelle proprie pronuncie già richiamate, nn. 1127/05 e 1181/06, il ruolo di garanzia del Presidente del Consiglio è direttamente posto a presidio di quel bilanciamento dei poteri, tra organo esecutivo ed organo consiliare, che caratterizza l’odierno sistema delle autonomie.
     In questa sede si può aggiungere che tale bilanciamento dei poteri, ciascuno dotato di propria dignità rappresentativa del corpus elettorale, è ancora più importante proprio per la nuova collocazione dell’Ente locale nel sistema delle Autonomie e per la soppressione dei controlli sugli atti, che hanno aumentato la responsabilità amministrativa e di conduzione dell’Ente locale degli organi di governo e di indirizzo, correlativamente accentuando anche il ruolo della minoranza/opposizione consiliare (che nei sistemi democratici è tradizionalmente investita di una funzione e di una responsabilità di controllo).
     Si deve quindi ribadire l’insegnamento della giurisprudenza maggioritaria e della dottrina, che hanno riconosciuto tutela all’istituto della inamovibilità per ragioni politiche del Presidente del Consiglio, fondandola su principi ritenuti validi in presenza dell’identico quadro normativo sostanziale anche oggi in vigore, dopo la riforma del titolo V.
     Il Presidente, infatti, non potrebbe che essere soggetto alla maggioranza, con grave vulnus delle sue funzioni di “regolatore” dei lavori dell’Assemblea, quindi di tutela di tutti i suoi componenti, sia di maggioranza che di minoranza, funzione che è ancora oggi quella principale del Presidente del Consiglio, (L.R. 7/2002, art. 20; cfr. TAR Catania, I, 15.02.2007 nr. 283) se fosse possibile rimuoverlo dalla carica con semplice voto di sfiducia.
     E’ quindi coerente con l’Ordinamento ammettere che egli possa essere sostituito, ma solo quando gravi e reiterate violazioni dei suoi doveri istituzionali denotino la sua inattitudine ad assicurare la corretta funzione che l’intero Consiglio –e non solo una sua maggioranza- gli attribuisce.
     Tali precisazioni si impongono, per completezza della motivazione, anche se, nel caso di specie, l’orientamento minoritario appena indicato non è comunque sufficiente a determinare il rigetto del ricorso, perché il CGA, nella decisione indicata, presuppone che la scelta di prevedere la possibilità della sfiducia verso il Presidente del Consiglio sia espressa, formulata e disciplinata “nello” Statuto comunale; aspetto, questo, che nel caso odierno non ricorre e che, dunque, impedisce in ogni caso di ritenere legittima la sfiducia.
     ******
     Ciò posto, è evidente che la revoca si distingue profondamente dalla sfiducia: quest’ultimo atto ha connotazione politica ed è esercitabile solamente nei confronti del Sindaco, laddove la revoca ha natura di sanzione per comportamenti integranti gravi e reiterate violazioni dei doveri istituzionali del Presidente.
     I due provvedimenti postulano, dunque, altrettante “tipologie” di rapporti isituzionali profondamente diversificate (anzi, diametralmente speculari tra loro) e non ammettono confusione, neppure nominale, attesa la delicatezza e l’importanza degli interessi pubblici che vi sono sottesi.
     Premesse queste brevi linee ricostruttive degli istituti, in concreto la fattispecie odierna è evidentemente da qualificarsi come una “sfiducia” in senso tecnico e non solo nominale, sia per il “nomen juris” (apertamente e risolutamente datole in sede di convocazione del Consiglio, in sede di discussione dell’ordine del giorno e, soprattutto, in sede di redazione del dispositivo dell’atto), sia per il contenuto estremamente generico delle contestazioni (le quali rinviano a violazioni dei doveri di imparzialità del Presidente espresse in forma rituale, formale, meramente enunciativa) che si accompagna all’affermazione dell’avvenuta cessazione del rapporto di fiducia che lo lega(va) alla maggioranza del Consiglio.
     La genericità delle contestazioni, unita alla determinatezza della affermazione dell’essere venuto meno il rapporto di fiducia tra il Presidente e la maggioranza, obbligano dunque l’interprete dell’atto a qualificarlo necessariamente come un atto politico, espressivo di un mutato assetto degli equilibri interni agli schieramenti consiliari e come tale illegittimo in quanto gravemente lesivo dello status di inamovibilità per ragioni politiche che è posta a presidio della imparzialità del Presidente.
     Naturalmente, a nulla vale poi la successiva integrazione-correzione del “nomen juris” dell’atto che il Consiglio ha “dettato”  in una sede del tutto inappropriata ed insufficiente.
     Durante l’approvazione dei verbali della seduta precedente, infatti, il Consiglio Comunale ed alcuni consiglieri, hanno rettificato le precedenti affermazioni così come risultanti dalla lettura dei verbali, specificando che laddove con esse si pronunciarono per la “sfiducia” si deve intendere che essi si pronunciarono, invece, per la “revoca”.
     In altre parole, la “correzione” è stata disposta dall’organo deliberante, in adesione ai corrispondenti interventi dei singoli consiglieri, non perché questi ultimi ne hanno rilevato una “erronea registrazione”, ma invece perché hanno ritenuto di doversi correggere “ripensando” il proprio intervento, ossia modificando ora per allora il contenuto delle dichiarazioni come pacificamente espresse nella sede dell’Assemblea precedente.
     Tale “rettifica” e la conseguente delibera consiliare che l’approva, è illegittima e come tale, in accoglimento del ricorso, va censurata ed annullata.
     Infatti, nella seduta consiliare in cui si rileggono i verbali della seduta precedente, il Consiglio agisce ed opera al solo scopo di correggere l’atto pubblico da eventuali errori di trascrizione o di annotazione, e dunque si possono apportare al verbale solo correzioni derivanti da erronee o inesatte o incomplete rappresentazioni di ciò che è realmente avvenuto nella precedente sessione.
     Laddove, invece, il Consiglio o singoli Consiglieri intendano, re melius perpensa, “rettificare” proprie affermazioni, o anche parti dispositive o motivazionali della delibera, per una revisione, ampliamento o approfondimento del loro contenuto, o, più ancora, per una migliore ponderazione degli interessi o delle ragioni dell’atto, allora la delibera che ne risulterà va qualificata come una revoca e corrispondente modifica o sostituzione, in parte qua dell’atto: e deve come tale essere iscritta all’ordine del giorno di una apposita seduta del Consiglio, da istruire corrispondentemente (quindi con necessaria istruttoria, eventuale partecipazione degli interessati e/o dei controinteressati ed acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e, laddove necessario, di regolarità contabile).
     In altre parole, è illegittima la modifica sostanziale di una deliberazione, laddove venga disposta dal Consiglio in sede di esame ed approvazione del rispettivo verbale della seduta precedente (nella quale si possono apportare all’atto solamente correzioni “redazionali”, ossia formali, derivanti dalla errata o inesatta rappresentazione dei fatti o delle dichiarazioni avvenute di fronte al Segretario Comunale rogante nella seduta precedente, come dallo stesso riprodotte), perché tale delibera comporta la violazione dei principi di funzionamento del massimo organo collegiale deliberante del Comune i quali a tutela dell’esercizio del mandato elettorale dei consiglieri e del funzionamento dell’organo collegiale postulano la necessaria corrispondenza e continuità tra proposta, istruttoria, convocazione, ordine del giorno e decisione adottata nella deliberazione del Consiglio.
     IV) Quanto all’aspetto della carenza di motivazione, si osserva che il ricorrente lamenta che il Consiglio Comunale non ha motivato la deliberazione impugnata in relazione alle “osservazioni” che il ricorrente stesso ha presentato durante la seduta (cfr. documento allegato in atti con attestazione del Segretario Comunale di avvenuta presentazione nella seduta consiliare).
     La circostanza risulta comprovata documentalmente ed è dunque  sufficiente al Collegio richiamare il recentissimo precedente della Sezione costituito dalla sentenza nr. 283/2007, con la quale si è affermato che “….quando il Consiglio Comunale è chiamato a deliberare su una proposta pervenutagli unitamente ad una controproposta di segno opposto, è necessario che la decisione dell’organo deliberante sia sorretta da una motivazione che deve essere adeguata, proporzionata e, soprattutto, espressa nell’atto deliberativo come parte integrante e sostanziale di esso, non essendo assolutamente sufficiente il mero rinvio ad allegati  operato da singoli consiglieri, rinvio che, in questi casi, integra solo il contenuto dell’intervento in aula del consigliere che lo richiama, non certo la volizione dell’Assemblea che, invece, si forma solamente con la votazione.” (TAR Catania, I, 15 febbraio 2007, nr. 283).
     Il ricorso è dunque fondato e come tale deve essere accolto.
     Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in euro 2.000 da corrispondersi in favore della parte ricorrente e dei controinteressati costituiti ad adiuvandum, in solido tra loro, a carico dell’Ente comunale e dei controinteressati soccombenti, in solido tra loro.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione prima ACCOGLIE il ricorso in epigrafe e, per l’effetto ANNULLA gli atti impugnati.
CONDANNA il Comune ed ai Consiglieri com.li soccombenti, in solido tra loro, a rifondere alla parte ricorrente ed ai consiglieri comunali intervenuti ad adiuvandum le spese di giudizio che liquida forfetariamente in euro 2.000.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Catania, nella Camera di Consiglio del 22.02.2007 e 22.03.2007
        L’ESTENSORE
Dr. Salvatore Gatto Costantino
      IL PRESIDENTE
      Dr.ssa *************** 
Depositata in Segreteria il 20 aprile 2007
 

sentenza

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