Gli interventi di edilizia pubblica c.d. agevolata o convenzionata, eseguiti da soggetti privati si traducono nella realizzazione di beni di proprietà privata, superficiaria o piena e pertanto non possono essere qualificate pubbliche in senso proprio, pe

Lazzini Sonia 03/05/07
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Merita di essere segnalato la fattispecie sottoposta al Consiglio di Stato nella decisione numero 1030 dell’8 marzo 2007:
 
< Va da se che a fronte di una norma di una chiarezza evidente – laddove consente l’intervento in deroga per le sole opere pubbliche, mentre per le opere di interesse pubblico lo consente solo per “manufatti incompleti” (indicando quali fossero tali opere in cantiere e non ultimate esistenti nel territorio) – consente di ritenere che la diversa lettura della norma operata dal Comune non è conforme alla normativa e, quindi legittimamente la Soprintendenza è intervenuta con il decreto di annullamento, originariamente impugnato.
Da ciò deriva l’impossibilità di accogliere le doglianze proposte dall’appellante, nel pur lodevole tentativo di riportare le opere in questione nella categoria delle opere pubbliche, per le quali vi sarebbe la deroga completa.
Infatti quella stessa autorevole giurisprudenza citata dall’appellante, e da cui la Sezione non intende discostarsi, ha chiarito che “quanto fin qui osservato non riguarda gli interventi di edilizia pubblica c.d. agevolata o convenzionata, i quali sono eseguiti da soggetti privati e si traducono nella realizzazione di beni di proprietà privata, superficiaria o piena. Per tali opere, che non possono essere qualificate pubbliche in senso proprio, per difetto del requisito soggettivo, la particolare procedura di cui all’art. 3 della legge n. 1 non trova applicazione” (Cons. di St.., Ad. Plen. n. 9 del 2000)>
 
 
Ma vi è di più
 
< Nemmeno l’ulteriore tentativo dell’appellante di dimostrare che le normative successive hanno equiparato le opere di pubblico interesse ai lavori pubblici può essere seguito, atteso che l’art. 121 del d.l.vo n. 267 del 2000, così come riportato nell’atto di appello, si limita a stabilire semplicemente che l’amministrazione comunale può disporre l’occupazione d’urgenza degli immobili necessari per la realizzazione “di opere e lavori pubblici o di pubblico interesse”.>
 
 
A cura di *************
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.1030/2007
Reg.Dec.
N. 338 Reg.Ric.
ANNO   2002
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 338/2002, proposto dalla COOPERATIVA *** A R.L., rappresentata e difesa dagli ************************** e *************** con domicilio eletto in Roma via Cosseria n. 2, presso lo studio del primo;
contro
COMUNE DI TORRE ANNUNZIATA, non costituitosi;
MINISTERO PER I BENI E ATTIVITA’ CULTURALI, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sede di Napoli, Sez. IV n. 3545/2001;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 14 novembre 2006 relatore il Consigliere ***********************. Udito l’avv. dello Stato *******;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
1. La cooperativa edilizia “*** a r.l.” ha impugnato sia il decreto della Soprintendenza per i Beni ambientali ed architettonici di Napoli del 16.12.1999, recante l’annullamento del nulla osta ex art. 7 L. n. 1497/1939 rilasciato dal Comune di Torre Annunziata alla ricorrente società per la realizzazione di un alloggio sul lotto n. 19 del P.d.Z. “Carminiello” e sia la nota comunale di comunicazione dell’archiviazione dell’istanza per ottenere la concessione edilizia per la realizzazione di fabbricati sociali del P.d.Z. 167 proprio a seguito della caducazione dell’autorizzazione paesaggistica ad opera della predetta Soprintendenza.
2. Il T.A.R., con la sentenza che ora si impugna, ha rigettato il ricorso.
3. Propone ora appello la cooperativa, deducendo: 1) che il Tribunale ha errato, laddove non ha accolto l’eccezione di tardività del decreto impugnato in primo grado, in quanto lo stesso, avendo carattere recettizio, doveva essere non solo emanato, ma anche portato a conoscenza dell’interessato nel termine perentorio di sessanta giorni; 2) che il tribunale ha errato nel valutare la natura delle opere di edilizia residenziale pubblica e dei soggetti abilitati ad effettuare tali interventi. E in particolare ha errato laddove ha ritenuto ammissibile l’intervento per le opere pubbliche ma non quello per le opere di edilizia residenziale pubblica (a meno che non si tratti di lavori di completamento di manufatti già esistenti), in quanto il rapporto di strumentalità inscindibile tra il Comune e la cooperativa è tale da poter legittimamente ritenere che le opere in questione sarebbero realizzate da soggetto pubblico.
4. L’amministrazione si è costituita, concludendo per l’infondatezza dell’appello.
5. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 14 novembre 2006.
DIRITTO
1. L’appello non è fondato.
2. In ordine al primo motivo di appello la Sezione non può che confermare quanto statuito dal primo giudice, ossia che la Sezione ha da tempo stabilito che il procedimento ex art. 7 l. n. 1497/1939 si conclude o con l’inutile scadenza del termine all’uopo previsto o con la emanazione nel termine del decreto di annullamento.
Sicché non rileva se la successiva notifica dell’atto, che ha natura non ricettizia, avvenga dopo il decorso del termine, essendo questa una fase esterna all’iter di perfezionamento del procedimento (Cons. St. Sez. VI 17 giugno 1998 n. 967; 4 dicembre 1998 n. 1734).
3. Parimenti infondato è il secondo motivo di gravame sulla base delle assorbenti considerazioni.
L’art. 22 N.T.A. del vigente P.T.P., rubricato “norme transitorie”, che “è consentito in tutte le zone del presente piano, anche in deroga … il completamento delle opere pubbliche già iniziate e sospese, ovvero in corso … delle opere infrastrutturali primarie, secondarie … per i manufatti incompleti e destinati alla residenza in attuazione dei programmi di edilizia pubblica e convenzionata …”.
Va da se che a fronte di una norma di una chiarezza evidente – laddove consente l’intervento in deroga per le sole opere pubbliche, mentre per le opere di interesse pubblico lo consente solo per “manufatti incompleti” (indicando quali fossero tali opere in cantiere e non ultimate esistenti nel territorio) – consente di ritenere che la diversa lettura della norma operata dal Comune non è conforme alla normativa e, quindi legittimamente la Soprintendenza è intervenuta con il decreto di annullamento, originariamente impugnato.
Da ciò deriva l’impossibilità di accogliere le doglianze proposte dall’appellante, nel pur lodevole tentativo di riportare le opere in questione nella categoria delle opere pubbliche, per le quali vi sarebbe la deroga completa.
Infatti quella stessa autorevole giurisprudenza citata dall’appellante, e da cui la Sezione non intende discostarsi, ha chiarito che “quanto fin qui osservato non riguarda gli interventi di edilizia pubblica c.d. agevolata o convenzionata, i quali sono eseguiti da soggetti privati e si traducono nella realizzazione di beni di proprietà privata, superficiaria o piena. Per tali opere, che non possono essere qualificate pubbliche in senso proprio, per difetto del requisito soggettivo, la particolare procedura di cui all’art. 3 della legge n. 1 non trova applicazione” (Cons. di St.., Ad. Plen. n. 9 del 2000).
Nemmeno l’ulteriore tentativo dell’appellante di dimostrare che le normative successive hanno equiparato le opere di pubblico interesse ai lavori pubblici può essere seguito, atteso che l’art. 121 del d.l.vo n. 267 del 2000, così come riportato nell’atto di appello, si limita a stabilire semplicemente che l’amministrazione comunale può disporre l’occupazione d’urgenza degli immobili necessari per la realizzazione “di opere e lavori pubblici o di pubblico interesse”.
In conclusione l’appello va rigettato e la sentenza va integralmente confermata.
4. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto, lo rigetta e per l’effetto conferma la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2006 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale

Lazzini Sonia

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