Misoginia e violenza digitale nei gruppi social: la vicenda Phica e Mia Moglie tra revenge porn, privacy violata e ricatti online

La chiusura dei gruppi social “Phica” e “Mia Moglie”: misoginia, violenza digitale e diffusione non consensuale di immagini intime.

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La chiusura dei gruppi social “Phica” e “Mia Moglie” ha riportato al centro del dibattito pubblico il tema della violenza digitale e della diffusione non consensuale di immagini intime. La vicenda emblematica, che vede coinvolte migliaia di uomini, impone una riflessione urgente su aspetti culturali, prima ancora che giuridici. La violenza digitale non è infatti meno grave di quella fisica, minando dignità, sicurezza e libertà delle persone. Per l’approfondimento, si consiglia il volume Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale, con cui si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.

Indice

1. Due piattaforme ma una finalità unica, la misoginia


Il mese di agosto 2025 verrà ricordato per l’apertura del vaso di Pandora della misoginia e della violenza perpetrata, ormai da lustri, contro un numero spropositato di donne. Due piattaforme, il gruppo Facebook “Mia Moglie” e il sito Phica.eu, sono state chiuse dopo anni di attività in cui venivano pubblicate immagini di individui di sesso femminile, sovente scattate in contesti domestici o comunque privati, e senza alcun consenso rilasciato dalle protagoniste. Le foto, corredate da commenti sessisti e volgari, hanno coinvolto sia persone comuni che figure pubbliche, tra cui Giorgia Meloni, Alessandra Moretti e altre donne della politica e dello spettacolo. Il gruppo “Mia Moglie”, con oltre 32.000 iscritti, risultava un ambiente “chiuso” in cui uomini condividevano immagini delle proprie consorti, fidanzate, amanti o ex compagne, sovente con intenti esibizionistici o goliardici. Phica.eu, invece, era un forum attivo da ben quattro lustri, diventato in un ventennio un catalogo di pornografia non consensuale, con contenuti modificati e commentati in modo denigratorio. Per l’approfondimento, si consiglia il volume Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale, con cui si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.

VOLUME

Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale

Bullismo e cyberbullismo sono tra le principali problematiche con le quali bambini e adolescenti si trovano a far fronte nei loro contesti di vita quotidiani. Il presente volume analizza questi due fenomeni attraverso un approccio interdisciplinare, alla luce della nuova Legge n. 70/2024, che ha apportato significative modifiche alla Legge n. 71/2017 (Prevenzione e contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo). Con la presente opera si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo, ivi compresa la tutela dei dati personali dei minori, il quadro costituzionale a sostegno della legge n. 71/2017 e le procedure cautelari-amministrative in essa previste. Sono analizzati i possibili reati, sia contro la persona che contro il patrimonio, che le varie condotte di bullismo e di cyberbullismo possono integrare e i profili nei quali possono attuarsi (hate speech, flaming, sexting, sextortion, revenge porn, cyberstalking, happy slapping, harassment, doxing, denigration). Il testo, corredato da riferimenti normativi nonché da utili prospetti con le linee giurisprudenziali più recenti, è diretto agli operatori del diritto, ma anche agli operatori scolastici e attivi nel sociale, oltre che naturalmente a tutti quei genitori che abbiano la volontà o la necessità di approfondire in maniera tecnica le loro conoscenze, ponendosi come valido strumento operativo e di ausilio nei diversi ambiti professionali coinvolti.Paolo Emilio De SimoneMagistrato presso il Tribunale di Roma.Mariella SpataAvvocato specializzato in diritto amministrativo, diritto pubblico dell’economia e in diritto europeo

 

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2. Responsabilità penali


Le condotte emerse configurano plurime fattispecie di reato previste dal codice penale italiano e dalla disciplina sulla riservatezza:

  • Art. 612-ter c.p. – Revenge Porn: punisce la diffusione di immagini sessualmente esplicite senza consenso, con pene da 1 a 6 anni di reclusione e multe fino a 15.000 euro. Anche immagini non esplicitamente pornografiche, ma sessualizzate dal contesto o dai commenti, possono rientrare nella fattispecie (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 24 aprile 2025, n. 15892).
  • Art. 595 c.p. – Diffamazione aggravata: si applica quando l’offesa alla reputazione avviene tramite mezzi di pubblicità, come i social network. La pena va da 6 mesi a 3 anni di reclusione.
  • Trattamento illecito di dati personali: le fotografie sono dati personali ai sensi del GDPR e del Codice Privacy. La loro diffusione senza consenso configura una violazione amministrativa e penale.
  • Violenza privata (Art. 610 c.p.): può essere ipotizzata quando la diffusione è accompagnata da minacce o pressioni psicologiche.
  • Istigazione a delinquere (Art. 414 c.p.): nei casi in cui i commenti incitano alla violenza sessuale o alla diffusione di nuovi contenuti illeciti.

3. Ricatti e richieste di rimozione che configurano il reato di estorsione


Oltre al danno anche la beffa. Particolarmente grave appare infatti la circostanza che delle donne che hanno richiesto la rimozione delle immagini si sono viste vittima anche di ricatti. Alcune hanno denunciato richieste di pagamento fino a 1.000 euro per ottenere la cancellazione dei contenuti dal portale Phica.eu. Questo comportamento potrebbe configurare il reato di estorsione (Art. 629 c.p.), ove la richiesta di denaro risulti accompagnata dalla minaccia di mantenere online materiale lesivo della dignità.

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4. Responsabilità delle piattaforme e dei gestori


Quanto al gruppo Facebook “Mia Moglie”, Meta lo ha rimosso sulla base del Digital Services Act (DSA), che impone obblighi di rimozione dei contenuti illeciti una volta segnalati. Tuttavia, la presenza del gruppo per anni impone una riflessione, oltre all’evidente presenza di falle nel sistema di moderazione. Phica.eu, invece, era ospitato su server esteri, rendendo in tal modo difficoltoso l’intervento delle autorità italiane. La mancanza di un moderatore e la protezione offerta dall’anonimato hanno consentito la proliferazione di contenuti illeciti. In questi casi la responsabilità penale diretta dei gestori è nella pratica più ardua da accertare; tuttavia, può configurarsi una responsabilità civile per omessa rimozione dei contenuti illeciti.

5. Pure chi commenta o condivide è responsabile


Non solo chi materialmente pubblica le fotografie, bensì pure chi commenta, condivide o inoltra immagini non consensuali può essere penalmente perseguibile. La Cassazione ha chiarito che la anche la mera condivisione di contenuti illeciti costituisce una nuova diffusione e può quindi integrare il reato di revenge porn ovvero di diffamazione.

6. Urgente un intervento culturale prima che giuridico


La ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella ha annunciato un provvedimento teso a contrastare la violenza digitale, con misure di monitoraggio e segnalazione alle autorità. Tuttavia, esperti e giuristi hanno replicato che non basta inasprire le pene ma è necessaria una riforma culturale, basata sull’educazione al rispetto e alla consapevolezza digitale. La chiusura dei gruppi social “Phica” e “Mia Moglie” ha infatti aperto il vaso di Pandora sulla cultura della misoginia che permea una fetta significativa della società digitale. Solamente per gli iscritti al website Phica.eu si parla di circa 800.000 uomini nel corso degli ultimi venti anni. Queste aree online dove le immagini di donne vengono condivise per essere degradate con commenti sessisti, volgari e violenti, rappresentano non solo un attacco alla dignità individuale, ma un riflesso della normalizzazione della violenza di genere nel mondo virtuale. Si tratta di scenari in cui le donne vengono sessualizzate, esposte a umiliazioni che vanno ben oltre il danno digitale, cagionando conseguenze psicologiche paragonabili a molestie e abusi reali. L’indignazione pubblica sgorgata da questa vicenda dovrebbe essere accompagnata da una presa di coscienza culturale. E’ emerso infatti che la misoginia non rappresenta un fenomeno congiunturale o confinato agli “ambienti tossici” bensì un problema strutturale, radicato in stereotipi di supremazia maschile e narrazioni predatorie che trovano terreno fertile nell’anonimato e nell’impunità del web, percepito dai più come zona franca e sfogatoio delle più becere perversioni. La responsabilità, quindi, non ricade solo sulle piattaforme che hanno consentito la proliferazione di tali contenuti, bensì sulla società che ha la responsabilità di dover promuovere con urgenza una cultura di rispetto, parità e consapevolezza, osteggiando senza sosta ogni forma di violenza e discriminazione di genere, anche nella dimensione digitale.

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Avv. Biarella Laura

Laureata cum laude presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia, è Avvocato e Giornalista.
È autrice di numerose monografie giuridiche e di un contemporary romance, e collabora, anche come editorialista, con redazioni e su banche dati giu…Continua a leggere

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