L’articolo 52 del d.lgs. 31 marzo 2001, n. 165 , (c.d. Testo Unico del Pubblico Impiego) disciplina le progressioni di carriera all’interno della Pubblica Amministrazione, prevedendo un equilibrio tra accesso dall’esterno e valorizzazione del personale interno. La norma stabilisce che almeno il 50% delle posizioni disponibili sia riservato a soggetti esterni, mentre per il personale in servizio la progressione tra le aree avviene mediante procedura comparativa basata su criteri oggettivi e meritocratici. Tra questi rientrano la valutazione positiva del dipendente negli ultimi tre anni di servizio, l’assenza di provvedimenti disciplinari, il possesso di titoli o competenze professionali ulteriori e l’esperienza maturata. Il Tar Toscana, con sentenza n. 125/2025, ha chiarito che la valutazione triennale costituisce un parametro di selezione e non un requisito di partecipazione. Per approfondire, puoi consultare la nostra Guida normativa per l’Amministrazione Locale
Indice
1. Progressioni di carriera nella Pubblica Amministrazione: disciplina, criteri di selezione e interpretazione della recente giurisprudenza
L’articolo 52 del decreto legislativo del 31 marzo 2001, n. 165 dispone, in tema di progressioni, che “Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti”.
In particolare, la norma in esame disciplina le modalità di progressione di carriera all’interno della Pubblica Amministrazione, prevedendo un equilibrio tra l’accesso dall’esterno e la crescita professionale del personale interno. In tal senso, viene stabilito che almeno il 50% delle posizioni disponibili deve essere riservato a soggetti esterni, al fine di garantire un adeguato ricambio e l’apertura dell’amministrazione a nuove professionalità.
Per il personale già in servizio, la progressione tra le aree, e negli enti locali, anche tra qualifiche diverse, avviene attraverso una procedura comparativa. Tale procedura si basa su criteri oggettivi e meritocratici, che includono: la valutazione positiva del dipendente negli ultimi tre anni di servizio, l’assenza di provvedimenti disciplinari, il possesso di titoli o competenze professionali ulteriori rispetto a quelli richiesti per l’accesso esterno alla medesima area, nonché l’esperienza maturata attraverso il numero e la tipologia di incarichi ricoperti.
In questo modo, il sistema garantisce un equilibrio tra la valorizzazione delle risorse interne, attraverso un percorso di crescita professionale basato sul merito e sulle competenze acquisite, e la necessità di rinnovamento dell’amministrazione mediante l’ingresso di nuovi profili dall’esterno.
In questa sede, risulta interessante capire se la valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio debba intendersi come un requisito di partecipazione o un parametro di valutazione.
In tema è recentemente intervenuta la sentenza del Tar Toscana n. 125 del 28 gennaio 2025 che, in estrema sintesi, sottolinea come la valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio, cui rinvia l’art. 52 co. 1-bis del d.lgs. n. 165/2001, debba intendersi alla stregua di un parametro di valutazione e non di un requisito di partecipazione alla procedura selettiva indetta per il passaggio fra aree.
Il Tar Toscana rappresenta nella sentenza in argomento, inoltre, che l’espressione adoperata dal legislatore valorizza il triennio lavorativo nella sua interezza, atteso che l’inciso “negli ultimi tre anni in servizio”, riferito al “dipendente”, presuppone che per tutto il periodo questi sia stato appunto “in servizio”, e non offre la possibilità di valutare autonomamente ciascuno degli ultimi tre anni.
Il dato testuale è coerente, del resto, con la ratio della disposizione, che, lo si è visto, enuclea una serie di elementi qualificanti dai quali desumere il raggiungimento, da parte del dipendente, di una professionalità idonea al transito nell’area superiore. Pertanto, l’aver parametrato a un triennio di servizio, l’ultimo, il periodo soggetto a valutazione costituisce un equilibrato compromesso fra la valorizzazione dell’esperienza, intesa come mera anzianità di servizio, cui la limitazione all’ultimo triennio impedisce di attribuire un “peso” preponderante, e il merito rappresentato dai giudizi positivi conseguiti dal dipendente durante lo stesso periodo.
Come si vede, ai fini della procedura comparativa il nuovo comma 1-bis dell’art. 52 individua alcuni parametri di natura oggettiva e validi in quanto tali per qualsiasi amministrazione, ossia la valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio e l’assenza di provvedimenti disciplinari, nonché altri parametri la cui definizione è rimessa di volta in volta all’amministrazione procedente, che potrà declinarli in relazione alle proprie esigenze concrete, stabilendo se e quali titoli o competenze professionali e di studio, ovvero quali incarichi, valorizzare maggiormente avendo riguardo, di volta in volta, alle posizioni da ricoprire. E proprio la circostanza che la norma ponga sullo stesso piano elementi di natura diversa sembra deporre nel senso che si tratti di parametri valutativi della professionalità dei dipendenti e non anche, o non necessariamente, di requisiti richiesti a pena di esclusione dalla procedura comparativa: conferma ne è il dato letterale, in forza del quale la procedura comparativa è “basata” su quegli elementi, espressione che non permette di attribuire portata escludente al mancato possesso dell’uno o dell’altro, di modo che l’unico requisito richiesto dalla legge per la partecipazione alla procedura selettiva finisce per essere il possesso del titolo di studio occorrente per l’accesso all’area dall’esterno, come si ricava al contrario dal quinto periodo del comma 1-bis[1]. Come osservato dalla più recente giurisprudenza, “tale disposizione, confermando la regola del necessario possesso in capo ai candidati a selezione pubblica del titolo di studio richiesto per l’accesso dall’esterno all’Area funzionale per cui il concorso è stato indetto, ha conferito uno specifico mandato alla contrattazione collettiva di disciplinare, in sede di revisione degli ordinamenti professionali, sistemi di valorizzazione del personale già in servizio, anche in deroga al titolo di studio richiesto dall’esterno attraverso forme di progressione verticale attuate sulla base di criteri volti alla valorizzazione dell’esperienza e della professionalità maturata ed effettivamente utilizzata dall’amministrazione”[2].
Tale lettura, infine, è ulteriormente confortata dal porsi in linea di continuità con la formulazione originaria del comma 1-bis, che, per l’attribuzione dei posti riservati agli interni nei concorsi per l’accesso alle aree superiori, considerava “titolo rilevante” la valutazione positiva conseguita dal dipendente “per almeno tre anni” (la continuità con la vecchia formulazione del comma 1-bis è suggerita dai lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 80/2021, ove si evidenzia come la valutazione positiva di almeno un triennio di servizio fosse appunto già richiesta, in passato, per l’inclusione nella quota dei posti riservati agli interni: “schede di lettura”, citt., pag. 46, nota 48). Come chiarito anche dal Dipartimento della Funzione Pubblica, con il Parere prot. 66005/2021, la ratio del legislatore del 2021 è quella di “valorizzare le professionalità interne alla Pubblica Amministrazione, senza rinunciare al rigore che necessariamente deve connotare uno sviluppo di carriera“.
La previsione dell’art. 52 co. 1-bis d.lgs. n. 165/2001 è stata recepita dalla contrattazione collettiva e, per quanto qui interessa, dal C.C.N.L. Funzioni Locali sottoscritto il 16 novembre 2022, il cui art. 15 riproduce, al primo comma, i criteri di legge sui quali deve essere “basata” la procedura comparativa per il transito fra aree.
Quanto alla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, la norma contrattuale, peraltro, consente in alternativa di avvalersi delle “ultime tre valutazioni disponibili in ordine cronologico, qualora non sia stato possibile effettuare la valutazione a causa di assenza dal servizio in relazione ad una delle annualità”. È una previsione di favore per i lavoratori, la quale nondimeno conferma come la valutazione di professionalità rilevante, ai fini del transito ad altra area, sia quella che ha per oggetto almeno tre anni di servizio (se non gli ultimi tre, i tre cronologicamente più recenti nei quali sia stata effettuata la valutazione stessa). Per approfondire, puoi consultare la nostra Guida normativa per l’Amministrazione Locale
2. Merito e ricambio generazionale
L’articolo 52 del d.lgs. n. 165/2001 rappresenta una disposizione di equilibrio tra il principio del merito e la necessità di garantire un adeguato ricambio generazionale all’interno della Pubblica Amministrazione. La previsione normativa, unitamente all’interpretazione giurisprudenziale, conferma che la procedura comparativa per la progressione di carriera non deve essere intesa come un meccanismo di esclusione, ma come uno strumento di valorizzazione delle competenze professionali acquisite dai dipendenti nel corso del servizio. La sentenza del Tar Toscana n. 125/2025 chiarisce ulteriormente la ratio dell’istituto, escludendo un’interpretazione formalistica della valutazione triennale e ribadendo la necessità di un’analisi complessiva della professionalità del lavoratore. Ne consegue che l’accesso alle progressioni di carriera deve essere improntato alla coerenza con gli obiettivi organizzativi dell’amministrazione, senza pregiudicare la trasparenza e l’imparzialità della selezione. L’attuale disciplina si inserisce, dunque, in un più ampio quadro di riforma del pubblico impiego, volto a conciliare il rispetto della meritocrazia con l’apertura a nuove professionalità, nell’ottica di un’amministrazione moderna ed efficiente.
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Note
[1] che consente alla contrattazione collettiva di definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti, sulla base di requisiti di esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dalle amministrazioni per almeno cinque anni, “anche in deroga al possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso all’area dall’esterno”: sul punto, può rinviarsi ai lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 80/2021 e, in particolare, alle schede di lettura predisposte dai Servizi Studi di Camera e Senato, pag. 47.
[2] T.A.R. Piemonte Torino, Sez. III, 21-07-2023, n. 715.
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