La giustizia riparativa alla luce della nuova riforma

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La giustizia riparativa è una forma di risoluzione del conflitto, complementare al processo, basata sull’ascolto e sul riconoscimento dell’altro con l’aiuto di un terzo imparziale chiamato “mediatore”[1]. Con la restorative justice non si cerca di ottenere la punizione dell’autore del reato ma piuttosto di risanare quel legame con la società spezzato dal fatto criminoso. Si instaura così un contatto diretto tra offeso e offensore, il quale permette al primo di esprimere i propri sentimenti ed emozioni in relazione alla lesione subita, e al secondo di responsabilizzarsi.

Indice

1. Ruolo della giustizia riparativa


Nel nostro ordinamento, come detto, la giustizia riparativa non costituisce un metodo alternativo a quello della giustizia ordinaria ma assume un ruolo incidentale, che molto spesso va solamente ad appianare il trattamento sanzionatorio spettante a colui che è stato giudicato colpevole al termine del processo ed abbia parallelamente svolto un programma di riparazione recante esito positivo. I motivi che portano il nostro ordinamento a non riconoscere una forma di giustizia riparativa sono rinvenibili all’interno della Costituzione e, in particolare, all’articolo 112, il quale sancisce il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Infatti, il pubblico ministero sulla base di un giudizio prognostico circa la probabilità di ottenimento di una sentenza di condanna, dovrà decidere se formulare archiviazione o esercitare l’azione penale[2]. Di conseguenza, «ciò rende impossibile considerare l’esito positivo della mediazione come un meccanismo impeditivo dell’azione penale»[3].


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2. La disciplina organica della giustizia riparativa


La giustizia riparativa acquista per la prima volta una disciplina organica con la c.d. Riforma Cartabia, la quale nel dettare le norme regolatrici di questa materia prende spunto e dà attuazione alle molteplici disposizioni presenti in ambito europeo ed internazionale. Si fa riferimento, tra le altre, alla Direttiva UE 29/2012, alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 19/99, alla Dichiarazione di Venezia sul Ruolo della Giustizia riparativa in materia penale e alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa relativa alla giustizia riparativa in materia penale, CM/Rec(2018)8.
La normativa in materia di giustizia riparativa è contenuta negli articoli da 42 a 67 del d.lgs. 150/2022. L’articolo 42 pone le definizioni e, in particolare, quella di giustizia riparativa, definendola come «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore». L’obiettivo del programma è, dunque, quello di ottenere un esito riparativo, il quale consiste nella ricostruzione del legame spezzato tra vittima, reo e comunità. L’esito riparatorio può essere simbolico, e quindi consistente in dichiarazioni, scuse formali, impegni comportamentali anche pubblici o rivolti alla società, accordi relativi alla frequentazione di persone o luoghi, oppure materiale, come il risarcimento del danno, le restituzioni, l’adoperarsi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o evitare che lo stesso sia portato a conseguenze ulteriori (art. 56).
I programmi di giustizia riparativa si svolgono presso i Centri per la giustizia riparativa, ossia strutture istituite presso gli enti locali a cui competono le attività relative all’organizzazione, gestione, erogazione e svolgimento dei programmi. Presso ogni Corte d’appello è istituita la Conferenza locale per la giustizia riparativa a cui partecipano, attraverso i propri rappresentanti: il Ministero della giustizia, le Regioni, le Province, le Città metropolitane e le Province autonome sul territorio delle quali si estende il distretto di Corte di appello, i Comuni sedi di uffici giudiziari compresi nel distretto di corte di appello e ogni altro Comune compreso nel medesimo distretto e presso il quale sono in atto esperienze di giustizia riparativa. La Conferenza, sentiti il Presidente della Corte di appello, il Procuratore generale presso la Corte di appello e il Presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati del Comune sede dell’ufficio di Corte di appello, anche in rappresentanza degli Ordini distrettuali, individua, mediante protocollo d’intesa, uno o più enti locali cui affidare l’istituzione e la gestione dei Centri per la giustizia riparativa. La Conferenza locale presenta annualmente al Ministero della giustizia una relazione sull’attività svolta, salvo il potere del Ministero di richiedere in qualunque momento informazioni sullo stato dei servizi di giustizia riparativa. Entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la Conferenza locale dovrà provvedere alla individuazione dei Centri per la giustizia riparativa in cui svolgere i relativi programmi (art. 92).
Si può accedere al programma riparativo per qualsiasi reato, a prescindere dalla gravità, e la richiesta può essere presentata in ogni stato e grado del procedimento, nella  fase esecutiva della pena o della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse e all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi  procedere, per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell’articolo 344-bis del codice di procedura  penale, o per intervenuta causa estintiva del reato.
La Riforma ha attribuito ampi poteri al giudice, il quale è chiamato a svolgere una funzione di “filtro” dei casi da trasmettere ai Centri per la giustizia riparativa[4]. Infatti, ai sensi dell’articolo 129 bis c.p.p. il giudice, con ordinanza, dispone l’invio dell’imputato e della vittima presso i Centri di cui sopra per l’avvio di un programma di giustizia riparativa su richiesta dell’imputato, della vittima o d’ufficio, qualora reputi che lo svolgimento di un programma riparativo possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti. Le parti partecipano al programma riparativo solo con il loro consenso libero, consapevole, informato ed espresso in forma scritta (art. 48). Durante lo svolgimento degli incontri, il giudice ha il potere di richiedere informazioni sullo stato e sui tempi del programma. L’articolo 45 ter disp. Att. c.p.p. individua il giudice competente a disporre l’invio al Centro per la giustizia riparativa: in particolare, durante la fase delle indagini preliminari competente sarà il pubblico ministero; dopo che è stato emesso il decreto di citazione diretta a giudizio, la competenza è del giudice per le indagini preliminari, almeno fino a che non avviene la trasmissione del decreto e del relativo fascicolo al giudice per l’udienza predibattimentale ex art. 553 c.p.p.; dopo la pronuncia della sentenza è competente il giudice ha emesso la sentenza, fino a che non vi è la trasmissione del fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art. 590 c.p.p.; durante la pendenza del ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.
Al termine del programma viene trasmessa al giudice procedente una relazione redatta dal mediatore contenente la descrizione delle attività svolte e dell’esito riparativo raggiunto, oltreché la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento dell’esito riparativo; in questi ultimi casi, non si producono effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa. Se, invece, il programma si è concluso con un esito riparativo, il giudice lo valuta, oltre ai fini di cui all’art. 133 del Codice penale, anche: 1) come circostanza attenuante di cui all’articolo 62 comma primo, n. 6, il quale prevede una diminuzione di pena per «aver partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con esito riparativo»; 2) come remissione tacita di querela ai sensi dell’articolo 152 comma 2, n. 2 c.p.; 3) ai fini della sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p., il quale dispone che, qualora il colpevole abbia partecipato ad un programma di giustizia riparativa, concluso con esito positivo, il giudice può ordinare che l’esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di un anno[5].

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  1. [1]

    M. Bortolato, La disciplina organica della giustizia riparativa, in “Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale”, Anno 2022, Fascicolo 3, p. 1259

  2. [2]

    S. Sessa, La giustizia riparativa nell’ordinamento penale italiano, in “Giurisprudenza penale Web”, 2019, 10, p. 2

  3. [3]

    Ivi.

  4. [4]

    R. Muzzica, Il ruolo dell’autorità giudiziaria nei programmi di giustizia riparativa, in “Sistema Penale”, fascicolo 2/2023, p. 32

  5. [5]

    Tribunale di Vicenza, sezione penale, La giustizia riparativa (artt. 42-67, d.lgs. 150/2022), in “Giustizia Insieme”, scheda n. 18, 2022.

Francesca Raffaelli

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