Cassazione: particolare tenuità del fatto rilevabile d’ufficio

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La particolare tenuità del fatto, così come modificata dalla riforma Cartabia, è rilevabile anche d’ufficio in Cassazione.
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 131-bis)

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Indice

1. La questione


La Corte d’appello di Bologna confermava, limitatamente ad uno degli imputati, la sentenza del Tribunale di Forlì con la quale costui era stato condannato per il reato di furto in luogo di privata dimora in continuazione e in concorso con altra imputata, separatamente giudicata.
Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione la difesa che, inoltre, depositava anche memoria scritta con la quale concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al fine di provvedere alla richiesta di applicazione di una pena sostitutiva e, segnatamente, il lavoro di pubblica utilità ovvero la detenzione domiciliare, chiedendo altresì che, all’indomani della nuova formulazione dell’art. 131 bis, cod. pen., di cui al d. lgs. n. 150/2022, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, che ha esteso l’applicabilità della causa di non punibilità di cui sopra a reati puniti con una pena minima non superiore ad anni 2, venisse dichiarata la non punibilità per particolare tenuità del fatto (precisando che all’epoca del commesso reato la violazione di cui all’art. 624 bis, cod. pen. era punita con la pena da uno a sei anni di reclusione).

2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte, in ordine alle argomentazioni giuridiche sostenute nella suddetta memoria per quanto concerne la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis del cod. pen., le riteneva astrattamente condivisibili alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto che il nuovo art. 131 bis, cod. pen., come modificato dall’art. 1, c. 1, lett. c), n. 1), d.lgs. n. 150/2022, prevede l’applicabilità generalizzata dell’istituto a tutti i reati puniti con pena minima pari o inferiore a due anni.
Pertanto, alla stregua di ciò, la Suprema Corte prendeva atto come, per effetto di questa riforma, sia venuto meno ogni riferimento al limite massimo della pena edittale cosicché, ferme restando le eccezioni previste dalla norma, a suo avviso, del tutto condivisibile, il nuovo istituto avrebbe potuto trovare applicazione rispetto a un numero più ampio di reati tra i quali, per esempio, i furti aggravati che, in larga parte, sono oggi diventati punibili a querela ad opera della stessa riforma e, tra le novità, con specifico riferimento ai parametri di valutazione, era segnalata anche quella che consente al giudice di considerare la condotta susseguente al reato.
Ciò posto, preso atto che la norma era entrata in vigore il 30 dicembre 2022, giusto disposto dell’art. 6 del d.l. n. 162/2022, gli Ermellini rilevavano come sulla natura della norma in esame soccorra il diritto vivente, nel senso che l’istituto ha natura sostanziale ed è applicabile, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 16 marzo 2015, n. 28, anche ai procedimenti pendenti davanti alla Corte di Cassazione e – solo per questi ultimi – la relativa questione, in applicazione degli artt. 2, c. 4, cod. pen. e 129, cod. proc. pen., è deducibile e rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 609, c. 2, cod. proc. pen., anche nel caso di ricorso inammissibile (Sez U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266593-01, in cui, in motivazione, la Corte ha specificato che, invece, ove non si discuta dell’applicazione della sopravvenuta legge più favorevole, la inammissibilità del ricorso preclude la deducibilità e ta rilevabilità d’ufficio della questione).
Da ciò se ne faceva discendere come la norma, come novellata, debba trovare applicazione anche ai fatti di reato commessi prima dell’entrata in vigore della riforma, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 2, c. 4, cod. pen., siccome legge più favorevole rispetto a quella previgente.
La relativa questione, pertanto, per il Supremo Consesso, ove non proponibile con il gravame o nel corso del giudizio di appello, è deducibile e rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 609, c. 2, cod. proc. pen. e, se la Corte di cassazione ne riconosce la sussistenza, può dichiararla anche d’ufficio ai sensi dell’art. 129, c. 1, cod. proc. pen., annullando senza rinvio la sentenza impugnata a norma dell’art. 620, c. 1, lett. i) cod. proc. pen. (sul punto, sempre Sez. U, n. 13681/2016).
Pur tuttavia, secondo la Suprema Corte, non sussistevano nella specie le condizioni per addivenire ex officio a una pronuncia demolitoria da parte della stessa Corte di legittimità dato che il tema non aveva formato oggetto di trattazione nel giudizio di merito e, pertanto, dalla sentenza non era dato rilevare alcun elemento al quale potesse essere agganciata la relativa valutazione.
Il motivo summenzionato, di conseguenza, era ritenuto infondato.


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3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito che la causa di non punibilità preveduta dall’art. 131-bis cod. pen., così come modificata dalla riforma Cartabia, può essere dedotta e rilevata anche d’ufficio ai sensi dell’art. 609, c. 2, cod. proc. pen. in relazione ai procedimenti pendenti in Cassazione, fermo restando che, se il Supremo Consesso ne riconosce la sussistenza, esso può dichiararla anche d’ufficio ai sensi dell’art. 129, c. 1, cod. proc. pen., annullando senza rinvio la sentenza impugnata a norma dell’art. 620, c. 1, lett. i), cod. proc. pen..
Ben quindi può chiedersi il riconoscimento di questa causa di non punibilità in sede di legittimità ove sia stato proposto ricorso per Cassazione in questo frangente temporale, tenuto conto altresì del fatto che, come appena visto, tale causa può essere rilevata anche d’ufficio da parte della medesima Suprema Corte.
Ad ogni modo il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché conforme alla giurisprudenza già elaborata dalla Cassazione in subiecta materia, non può che essere che positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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