Voucher, referendum il 28 maggio: per cosa andremo a votare

Redazione 14/03/17
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Si terrà il prossimo 28 maggio il referendum sull’abolizione dei voucher lavoro: lo ha reso noto oggi Palazzo Chigi dopo una riunione del Consiglio dei Ministri. Nel frattempo, però, importanti novità arrivano dalla Commissione Lavoro della Camera, che propone di modificare la normativa prima del referendum.
Si apre quindi un interessante bivio per i tanto discussi voucher: i buoni potrebbero essere eliminati definitivamente dal referendum oppure modificati radicalmente dal Governo e quindi mantenuti ma solo a determinate condizioni. Vediamo allora nel dettaglio quali sono le modifiche proposte e in quali casi i voucher potrebbero essere utilizzati in futuro.
Voucher, decisa la data del referendum per l’abolizione
Prima di tutto, la notizia ufficiale e potenzialmente più importante: il referendum per l’abolizione definitiva dei voucher, sostenuto in particolare dalla Cgil, si terrà il 28 maggio 2017.
Il referendum, che è stato ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale l’11 gennaio scorso, nasce in seguito alla pioggia di critiche da parte di lavoratori e sindacati sull’utilizzo dei voucher. I buoni lavoro, che sono nati nel 2003 come forma di pagamento per una lista molto ristretta di lavori occasionali e accessori, sono stati infatti estesi negli anni a tutte le attività produttive. In molti, troppi casi questo ha portato ad abusi e a vere e proprie situazioni di lavoro subordinato pagate tramite buoni.

Leggi anche: Voucher 2017: sì al referendum. Le novità sul lavoro accessorio

La nuova proposta di riforma dei voucher
Il referendum potrebbe però non raggiungere il quorum – e dunque i voucher potrebbero restare in vigore – se le modifiche alla normativa proposte dal Governo dovessero essere confermate. Proprio in questi giorni è stato infatti depositato alla Commissione Lavoro della Camera il testo unico sulla riforma dei buoni, che raccoglie ben 11 diverse proposte di legge.
I punti più importanti del testo di riforma riguardano ovviamente la limitazione all’utilizzo dei voucher: se le modifiche dovessero essere approvate, potrebbero utilizzare i buoni solo le famiglie e le aziende senza dipendenti (dunque, in sostanza, gli artigiani). Esclusi quindi, finalmente, gli imprenditori e le aziende con dipendenti.
Si tornerebbe di fatto, dunque, alle caratteristiche originarie dei voucher lavoro, che sono stati introdotti nel 2003 solo per regolarizzare quelle attività lavorative del tutto occasionali e marginali.
I nuovi limiti agli importi massimi e alle ore di lavoro
Ma non solo. Le modifiche proposte abbasserebbero gli importi massimi annuali che è possibile pagare con i buoni. La cifra massima che è possibile ricevere oggi tramite voucher è di 7.000 euro netti totali e di 2.000 euro netti per singolo committente: al di sopra di queste soglie, il lavoro non è più considerato accessorio e occasionale. Ebbene, le proposte di modifica vorrebbero abbassare questo limite fino a 5.000 euro annui. Il limite di ore di lavoro per singolo committente, inoltre, non potrà essere superiore a 50 al mese.
Un’ultima modifica riguarda l’importo dei voucher, che passerebbe dai 10 ai 15 euro per le imprese. Per le famiglie, invece, il valore del singolo voucher resterebbe di 10 euro.
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La tracciabilità dei voucher lavoro
Ricordiamo infine che, per effetto del decreto correttivo del Jobs Act pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso ottobre, il committente che vuole utilizzare i voucher è tenuto a comunicare alla sede territoriale dell’ispettorato del lavoro i dati anagrafici del lavoratore e la durata della prestazione.
In particolare:

i committenti che non appartengono al settore dell’agricoltura hanno l’obbligo di comunicare all’ispettorato del lavoro i dati anagrafici del lavoratore, insieme alla data e al luogo della prestazione e alle sue ore di inizio e di fine, almeno sessanta minuti prima dell’inizio dell’operazione;
i committenti imprenditori agricoli, invece, sono tenuti a comunicare, con le stesse modalità, i dati relativi al lavoratore e alla prestazione svolta “con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni“.

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