Volontariato e appalti pubblici. Riflessioni sulla sentenza della Corte di giustizia europea.

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Le associazioni di volontariato possono essere considerate imprese ai sensi delle disposizioni del Trattato europeo relative alla concorrenza. Questo principio affermato dalla Corte di giustizia europea, III sezione, nella sentenza del 29 novembre 2007 (Causa C-119/06) appare dirompente per l’ordinamento italiano, soprattutto se considerato sotto il profilo della tutela della concorrenza negli appalti pubblici. Infatti è orientamento consolidato nella giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regionali, sin dalla fine degli anni novanta, quello di ritenere illegittime le procedure di gara per l’appalto di servizi aperte anche alle associazioni di volontariato, per la particolare natura di tali organizzazioni delineata dalla legge di riferimento n. 266/91 che non consentirebbe una competizione sul mercato al pari delle altre imprese.
La sentenza in oggetto trae origine dalla segnalazione alla Commissione europea presentata da un’azienda di autonoleggio con conducente, che denunciava come l’accordo quadro tra la Regione Toscana e alcune associazioni di volontariato per lo svolgimento di attività di trasporto sanitario precludeva la partecipazione di altre imprese in violazione della direttiva 92/50/CEE, che invece imponeva la pubblicazione di un bando di gara e, in linea di principio, l’aggiudicazione dell’appalto mediante procedura aperta o ristretta.
Se pure l’esito della sentenza è stato quello di rigetto del ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE proposto dalla Commissione delle comunità europee – la Commissione infatti non ha prodotto alcuna prova del valore dell’appalto impugnato che, se superiore alla soglia stabilita dalla direttiva 92/50 CEE avrebbe comportato l’accertamento di inadempimento dello Stato italiano – tuttavia la pronuncia riveste notevole importanza per le considerazioni espresse dalla Corte sulla natura delle associazioni di volontariato e della loro attività, alla luce anche dei principi codificati nel D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture). 
La Corte rileva infatti che l’assenza di fini di lucro e la presenza di finalità di solidarietà sociale, evidenziate dallo Stato italiano per negare la natura di appalto pubblico all’accordo sottoscritto dalla Regione Toscana con le associazioni di volontariato, non esclude che tali associazioni esercitino un’attività economica e costituiscano imprese ai sensi delle disposizioni del Trattato relative alla concorrenza. Ne deriva pertanto che le associazioni interessate possano esercitare un’attività economica in concorrenza con altri operatori. Si tratta di un principio codificato nel D.Lgs 163/2006, in particolare il comma 19 dell’art. 3 che definisce prestatore di servizi “…una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalità giuridica…che offra sul mercato, rispettivamente, …la prestazione di servizi”: del resto, in base all’orientamento comunitario, qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, consistente nell’offrire beni e servizi su un determinato mercato contro un corrispettivo, assume i rischi dell’imprenditore e quindi rientra nella nozione di impresa.
La Corte inoltre aggiunge che la circostanza che i collaboratori di tali organizzazioni agiscano a titolo volontario, permettendo alle stesse di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli di altri offerenti, non impedisce loro di partecipare alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici previste dalla direttiva 92/50.
Proprio l’elemento della presenza prevalente di volontari nell’attività di queste organizzazioni, unitamente al fatto che la voce principale delle entrate sia costituita, in base alla legge n. 266/91, da rimborsi e solo marginalmente da corrispettivi derivanti da attività produttive, ha orientato i giudici amministrativi nel ritenere che tali organizzazioni siano giuridicamente inidonee a svolgere attività di impresa in concorrenza con altri operatori economici, precludendo loro la partecipazione a procedure di gara per l’affidamento di servizi. 
Si badi che questo orientamento giurisprudenziale è riferito solo alle associazioni di volontariato ex L. 266/91, poichè la posizione dei giudici amministrativi nei confronti di altri soggetti no profit (come ad esempio gli enti di promozione sociale, le fondazioni, le associazioni senza finalità di lucro, altri soggetti ONLUS) è quella di ammettere la loro partecipazione alle gare pubbliche al pari delle imprese commerciali (T.A.R. Lazio sez. III quater n. 5993/2006), operando il divieto solo per le associazioni di volontariato (T.A.R. Emilia Romagna sez.II Bologna n. 822/2005).
Occorre a questo punto esaminare la disciplina normativa delle associazioni di volontariato per verificare se effettivamente costituisca un ostacolo al libero dispiegarsi sul mercato di queste organizzazioni nell’erogazione di servizi alla pubblica amministrazione.
 
Convenzioni con la pubblica amministrazione.
Il volontariato ha trovato una disciplina organica con la L. 266/91 (Legge quadro sul volontariato), che riconosce il valore sociale e la funzione dell’attività del volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo.
Tale normativa rappresenta uno dei primi interventi completi in materia di no profit organizations: essa definisce chiaramente l’attività di volontariato come quella attività “prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”.
Il legislatore del 1991, oltre che regolamentare una tipologia di organismo associativo no profit ulteriore rispetto alle forme classiche del Libro I del codice civile, si preoccupa anche di promuoverne lo sviluppo e di favorirne “…l’apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato, dalle regioni, … e dagli enti locali.” Si tratta di finalità proprie anche dello Stato e degli enti territoriali, a sottolineare il fenomeno di condivisione di obiettivi di pubblica utilità tra soggetti privati e soggetti pubblici secondo il principio di sussidiarietà orizzontale sancito oggi dall’art. 118, 3^ comma, della nostra Costituzione.
In particolare questa condivisione è strettissima con i comuni, enti chiamati dal nostro ordinamento a produrre “… beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”, come recita l’art.112 del Testo Unico degli Enti Locali.
Lo strumento per dare veste giuridica a questa forma di collaborazione tra pubbliche amministrazioni e volontariato è la convenzione, che l’art.7 della L. 266/91 introduce come una possibilità, a patto che le associazioni siano iscritte da almeno sei mesi nei registri istituiti presso le regioni e che dimostrino attitudine e capacità operativa. L’art.7 peraltro non spiega quale sia l’oggetto delle convenzioni ma si limita a prevederne l’esistenza e a disciplinarne a grandi linee il contenuto.
Nella concreta esperienza molte convenzioni hanno come oggetto attività concretamente finalizzate a produrre servizi a beneficio di utenti specifici o della comunità in generale. Il campo d’azione privilegiato, comunque, dalle associazioni di volontariato è quello dei servizi alla persona, in particolare i servizi socio-sanitari. Nel sistema degli interventi sociali le associazioni di volontariato sono chiamate dalla L.328/2000 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”), insieme agli altri soggetti del Terzo settore, non soltanto a gestire i servizi ma a co-programmare e co-progettare gli interventi insieme con le pubbliche amministrazioni competenti.
L’atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona in attuazione della L.328/2000 (D.P.C.M. 30 marzo 2001) specifica meglio il ruolo del volontariato nel sistema dei servizi socio-assistenziali. Infatti l’art. 3 recita “Le regioni e i comuni valorizzano l’apporto del volontariato nel sistema di interventi e servizi come espressione organizzata di solidarietà sociale, di auto-aiuto e reciprocità nonché con riferimento ai servizi e alle prestazioni, anche di carattere promozionale, complementari a servizi che richiedono una organizzazione complessa ed altre attività compatibili… con la natura e le finalità del volontariato. Gli enti pubblici stabiliscono forme di collaborazione con le organizzazioni di volontariato avvalendosi dello strumento della convenzione…”.
Così delineata la convenzione assume carattere di accordo di collaborazione per attuare il principio di sussidiarietà orizzontale, non contratto sinallagmatico a prestazioni reciproche ma accordo associativo con cui il soggetto pubblico e il volontariato, nel perseguire le medesime finalità di solidarietà sociale, condividono responsabilità, rischi e risorse.
In questa ottica si comprende la scelta del legislatore nell’aver individuato nella convenzione un canale privilegiato con le associazioni di volontariato, non come forma di trattativa privata (rectius: procedura negoziata) in deroga alle procedure di evidenza pubblica, (per una disamina delle trattative private speciali e delle convenzioni si veda F. Botteon, “Attività intellettuale e forme associative”, in “I contratti dello Stato e degli enti pubblici”, gennaio-marzo 2003, pag. 80) ma come strumento di partnership pubblico-privato sociale in cui al volontariato viene riconosciuto non il ruolo di semplice esecutore di attività, ma quello prezioso:
a)                                     di soggetto capace di leggere i bisogni del territorio, di attivare una rete di auto-aiuto e di portare una propria progettualità nella soddisfazione di nuovi bisogni che emergono nella società;
b)                                     di soggetto che collabora con l’ente pubblico nell’attuazione di interventi che vanno ad integrare servizi più complessi e strutturati, che devono invece essere gestiti dai comuni secondo i consueti canoni della normativa in vigore, e cioè direttamente o tramite le forme di affidamento a terzi, in linea di principio con procedure ad evidenza pubblica.
Il sistema di convenzionamento è stato ritenuto ammissibile dalla Corte di giustizia europea (sent. 17/06/97 Causa C-70/95) e non contrastante con l’ordinamento comunitario il fatto che una normativa nazionale possa consentire ai soli operatori che non perseguono fini di lucro di partecipare alla realizzazione di un sistema socio-assistenziale basato sul sistema della solidarietà, mediante la stipula di convenzioni.
Le forti contestazioni di questi anni, per ritornare al discorso iniziale del ricorso che ha originato la sentenza della Corte di giustizia in commento, da parte delle imprese commerciali nei confronti delle convenzioni stipulate con il volontariato sono dovute ad una evidente forzatura da parte degli enti pubblici, che utilizzano impropriamente lo strumento convenzionale sopra descritto per affidare servizi complessi, a volte anche essenziali, al volontariato eludendo le procedure ad evidenza pubblica, nell’ottica della riduzione delle spese.
 
Volontariato e giurisprudenza amministrativa.
Occorre ora chiarire se il “privilegio” di beneficiare della corsia preferenziale del convenzionamento (che caratterizza non solo come abbiamo visto i rapporti tra pubblica amministrazione e volontariato ma anche quelli con altri soggetti no profit come ad esempio gli enti di promozione sociale, le cooperative sociali, gli enti di patronato, gli enti della cooperazione internazionale, secondo le rispettive leggi di riferimento) implica una discriminazione a rovescio, nel senso che la convenzione resta l’unico canale di accesso agli affidamenti pubblici impedendo la partecipazione paritaria e concorrenziale alle gare pubbliche in quanto soggetti prestatori di attività commerciali (si veda P. Santoro, “Associazioni no profit e cooperative sociali di fronte agli appalti pubblici”, in “I contratti dello Stato e degli enti pubblici”, aprile/giugno 2001 pag. 181).
Se per gli enti no profit, come accennato all’inizio, si apre uno scenario più aderente ad un mercato comunitario aperto che rifiuta privilegi ma anche discriminazioni, con la conseguenza che non è più possibile, anche secondo la giurisprudenza amministrativa, precludere la partecipazione alle gare pubbliche delle organizzazioni non lucrative che dimostrino la capacità di offrire un servizio qualitativamente ed economicamente competitivo, resta invece un “pregiudizio” nei confronti delle associazioni di volontariato.
Questa posizione della giurisprudenza amministrativa si può far risalire alla ormai “storica” sentenza del T.A.R. Lombardia del 1999 (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 12/1/99 n.108), seguita a distanza di un anno da un’altra sentenza dello stesso tenore (T.A.R. Lombardia, sez. III, 9/3/2000 n.1869).
Il ragionamento del tribunale lombardo si fonda sul dato normativo della L.266/91. Punto di partenza è la nozione di volontariato definita, come abbiamo visto, come prestazione personale, spontanea e gratuita da svolgere tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte senza fini di lucro, anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà. Questo dato ha fatto ritenere che alle organizzazioni di volontariato, per il loro particolare modello organizzativo e gestionale, è vietato svolgere un’attività che abbia a che vedere con la logica del mercato e, dunque, che le stesse non possono partecipare a una gara pubblica con altre imprese caratterizzate dal fine principale del conseguimento del profitto in regime di libera concorrenza. Peraltro questa preclusione sarebbe giustificata dal canale privilegiato dal convenzionamento visto come strumento tipico ed esclusivo per avvalersi, da parte degli enti pubblici, delle prestazioni rese dal volontariato.
Tale conseguenza drastica che i giudici amministrativi fanno discendere dalla lettura della norma è sembrata frutto di una forzatura (si veda R. Manservisi, “Il Terzo Settore tra appalto e convenzione”, in “IPAB oggi”, n.6/2001 pag. 28), poichè il richiamo alla natura spontanea e gratuita del volontariato nella legge è riferito all’attività del volontario piuttosto che a quella dell’organizzazione.
L’interpretazione dei giudici non sembra convincente neanche sotto il profilo del rapporto tra scopo solidaristico e scopo lucrativo (si veda F. Mazzonetto, “Riflessioni sulla possibilità per le associazioni di volontariato di partecipare a una pubblica gara…”, in “I contratti dello Stato e degli enti pubblici”, aprile/giugno 2000, pag.208). Infatti nella legge non è detto che l’attività del volontariato o dell’organizzazione deve necessariamente essere non economica, ma solo che laddove il volontario sia parte di un rapporto giuridico non può ottenere da questo nessun vantaggio economico. Non solo, la tesi per cui l’attività di volontariato dovrebbe essere sempre non economica è contrastata dalla stessa legge 266 che all’art. 5 prevede tra le risorse economiche del volontariato le entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.
Proprio questo spiraglio è escluso dalla giurisprudenza successiva, che esclude la compatibilità tra possibilità di svolgere attività produttive marginali e la partecipazione a gare pubbliche (si veda la più recente su Lexitalia, T.A.R. Campania, sez. I, sent. n.3021 del 2/4/2007).
Infatti non può essere definita attività produttiva marginale un servizio svolto per un ente pubblico, se non altro per gli interessi generali che esso sottende e per l’impegno che esso per ciò stesso richiede (T.A.R. Veneto, sez. I, sent. N.481 del 3/3/2004). Né possono rientrare tra i proventi derivanti da attività produttiva marginale i corrispettivi derivanti da appalti pubblici, che presuppongono l’espletamento di una procedura fondata sulla comparazione delle offerte con criteri concorrenziali di convenienza tecnico-economica, incompatibile con la natura del volontariato (T.A.R. Piemonte, sez. II, n.1604 del 31.3.2006).
 
Conclusioni
Pur di fronte ad un orientamento così consolidato dei tribunali amministrativi, il dato certo su cui far leva per aderire al concetto comunitario di impresa valido anche per il volontariato è la possibilità per quest’ultimo di svolgere attività commerciali e produttive marginali. Sarebbe del tutto coerente anche con il dato normativo della L.266/91, che infatti all’art.3 comma 2 consente alle organizzazioni di volontariato di assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata compatibilmente con lo scopo solidaristico, lo svolgimento da parte del volontariato di attività di impresa, con i due limiti del rispetto dello scopo solidaristico e del suo carattere marginale, cioé limitato, collaterale e non determinante rispetto alla principale attività di volontariato.
Peraltro la normativa di carattere fiscale sulle O.N.L.U.S. (D.Lgs. 460/97) consente agli organismi non lucrativi di utilità sociale, di cui il volontariato fa parte di diritto, di svolgere attività di impresa strumentale rispetto a quella principale svolta per finalità di solidarietà sociale, perché fa parte della realtà del no profit la possibilità di finanziare l’attività principale con attività di impresa svolta marginalmente e non professionalmente.
Appare dunque poco ragionevole precludere ad una organizzazione di volontariato, strutturata e con capacità imprenditoriale adeguata, pur se riferita all’attività produttiva marginale non prevalente rispetto a quella altruistica, la partecipazione ad una gara pubblica e ammettere in linea di principio un altro soggetto no profit che in concreto potrebbe essere privo della capacità di offrire un servizio adeguato nei confronti della pubblica amministrazione. Semmai è in punto di valutazione della capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale che si gioca la possibilità di partecipare ad un appalto pubblico da parte di un soggetto no profit, piuttosto che sulla natura e tipologia del prestatore di servizio.
Resta da vedere se il riconoscimento della natura imprenditoriale del volontariato, operata dalla Corte di giustizia europea, spingerà il legislatore italiano verso questa direzione: infatti il disegno di legge di riforma del volontariato (d.d.l. Magistrelli-Treu) attualmente in discussione presso la commissione Affari sociali della Camera esalta ancor di più la natura altruistica e gratuita del volontariato, escludendo del tutto le possibilità imprenditoriali, che in ambito sociale sono riconosciute attualmente dall’ordinamento alle cooperative sociali e alle imprese sociali.
 
Roberto Onorati
Segretario comunale e formatore per gli enti locali

Avv. Onorati Roberto

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