Vittima disattenta? Esclusa l’aggravante della destrezza

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LA VICENDA

In data 16 marzo 2012, all’interno di un esercizio commerciale, Q.P. portava via un computer portatile, prelevato dal bancone in un momento di distrazione della titolare e dei clienti presenti. Tratto a giudizio per rispondere del delitto di furto aggravato dall’aver commesso il fatto con destrezza, ammetteva la propria responsabilità. Il Tribunale di Torino, con sentenza in data 14 aprile 2016, resa all’esito di giudizio abbreviato, ravvisava tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, compresa l’aggravante di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen. e condannava l’imputato alla pena di giustizia. La Corte di appello di Torino, investita del gravame dello stesso P.Q. con sentenza resa in data 17 maggio 2016, confermava la pronuncia di primo grado. Avverso detta decisione ricorreva l’imputato per il tramite del difensore, per chiederne l’annullamento sulla base di un unico motivo, col quale deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546 e 605 cod. proc. pen. ed all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen. quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’aver agito con destrezza.

La Quarta Sezione penale, con ordinanza in data 21 dicembre 2016-17 febbraio 2017, rimetteva la decisione del ricorso alle Sezioni Unite.

 

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LA DECISIONE

Le Sezioni Unite della Cassazione con l’ordinanza n. 2196 della IV Sez, Pen. sono state investite della questione “se nel delitto di furto, la circostanza aggravante della destrezza, prevista dall’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., sia configurabile quando il soggetto agente si limiti ad approfittare di una situazione di temporanea distrazione della persona offesa”.

A tal proposito si rammenta che, sebbene la disposizione di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., consideri il furto aggravato, perché commesso ‘con destrezza’, la stessa non offre indicazioni e definizioni esplicite, causando un forte dissenso di opinioni, soprattutto in riferimento alla possibilità di ravvisare la “destrezza” quando l’agente si limiti ad approfittare di una situazione di distrazione del possessore del bene non intenzionalmente provocata.

Il quesito posto alle Sezioni Unite assume valore non soltanto sul piano dogmatico, ma riveste rilievo concreto perché la soluzione prescelta incide sul regime di procedibilità dell’azione penale, essendo l’autore del furto aggravato, e non di quello semplice, perseguibile d’ufficio e dipendendo dal riconoscimento della fattispecie aggravata, col conseguente innalzamento dei limiti
sanzionatori, la possibilità di applicazione della causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen..

L’ordinanza di rimessione ha preso in esame due orientamenti contrastanti, ricordando come secondo un primo orientamento in tema di furto, sussiste l’aggravante della destrezza quando l’agente approfitti di una condizione contingente favorevole, o di una frazione di tempo in cui la parte offesa ha momentaneamente sospeso la vigilanza sul bene, in quanto impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a curare attività di vita o di lavoro.Secondo tale visione ai fini della configurabilità della destrezza non sarebbe richiesto l’uso di una eccezionale abilità, essendo sufficiente che si approfitti di una qualunque situazione soggettiva ed oggettiva, favorevole ad eludere la normale vigilanza dell’uomo medio.

Un diverso orientamento riteneva, invece, che fosse necessario un quid pluris per ritenere configurata l’aggravante della destrezza, affermando che questa sussistesse in presenza di condotte caratterizzate da una speciale abilità nel distogliere l’attenzione della persona offesa dal controllo e dal possesso della cosa”. Così tale aggravante era stata esclusa nell’ipotesi di furto commesso dall’agente, approfittando della situazione di assenza di vigilanza sulla “res” da parte del possessore. Si era scritto sul punto che in tal caso la condotta non sarebbe caratterizzata da una particolare abilità nell’eludere il controllo della vittima, ma dalla semplice capacità di cogliere un’opportunità in assenza di controllo da parte di quest’ultima. Secondo detto orientamento la configurabilità dell’aggravante in questione richiedeva un’attività che, per abilità, astuzia e rapidità, sia funzionale a superare l’attenzione della vittima, con la conseguenza che essa andava esclusa qualora l’agente si fosse limitato a sfruttare un momento di disattenzione della vittima, che egli non abbia determinato.

Le Sezioni Unite ritengono di aderire a questo secondo indirizzo.

Tuttavia, sottolinea la Corte, è necessaria l’esistenza di un nesso di interdipendenza tra abilità dell’agente, di qualunque natura essa sia, e la sorveglianza della persona offesa sulla res. Ha quindi, ritenuto che, non offrendo soluzioni immediate il criterio dell’interpretazione letterale della norma, si debba fare ricorso al criterio ermeneutico logico e sistematico e quindi a quello teleologico. Pertanto, si afferma, che la modalità della condotta con destrezza deve esprimersi in un quid pluris rispetto all’ordinaria materialità del fatto di reato e che quindi, il semplice prelievo di un oggetto dal luogo ove si trova, sia esso un’abitazione privata, un esercizio di vendita o ambiente di lavoro, attuato in un momento di altrui disattenzione, che offre l’occasione favorevole all’apprensione, non integra la fattispecie circostanziata in esame perché non richiede nulla di più e di diverso da quanto necessario per consumare il furto. Si ritiene così che il furto di un bene perpetrato da chi colga a proprio vantaggio l’occasione propizia offerta dall’altrui disattenzione, non artatamente e preventivamente cagionata, non presenta i caratteri della destrezza, ossia dell’elemento strutturale della fattispecie di furto circostanziato, tipizzato dall’art. 625, primo comma, n. 4, c.p., configurabile soltanto quanto il soggetto attivo si avvalga di una particolare capacità operativa, superiore a quella da impiegare per perpetrare il furto, nel distogliere o allentare la vigilanza sui propri beni, esercitata dal detentore. Infatti, se il furto si realizza a fronte della distrazione del detentore, o dell’abbandono incustodito del bene, anche se per un breve lasso di tempo, che non siano preordinati e cagionati dall’autore, né accompagnati da altre modalità insidiose e abili che ne divergono l’attenzione dalla cosa, il fatto manifesta la sola ordinaria modalità furtiva base.

Le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione, risolvendo il relativo contrasto, con la sentenza n. 34090/2017 hanno affermato il seguente principio di diritto: “La circostanza aggravante della destrezza di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, c.p., richiede un comportamento dell’agente, posto in essere prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza sul bene stesso; sicché non sussiste detta aggravante nell’ipotesi di furto commesso da chi si limiti ad approfittare di situazioni, dallo stesso non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore dalla cosa.”

Sentenza collegata

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Avv. Fornaro Pasquale

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