Violenza sessuale di gruppo con approfittamento

Redazione 13/10/17
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Violenza sessuale di gruppo, quando c’è abuso dell’inferiorità psichica

Violenza sessuale di gruppo: se la persona offesa ha assunto volontariamente sostanze alcooliche o droganti, che ne hanno alterato la condizione psichica e, successivamente, viene indotta a subire atti sessuali, si configura il reato di violenza sessuale di gruppo. E’ quanto affermato dalla terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 45589 dello scorso 4 ottobre 2017. I giudici di legittimità hanno precisato che, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale di gruppo con abuso dell’altrui condizione di inferiorità psichica, non rileva chi ha determinato tale condizione. Ciò che conta, invero, è che gli atti sessuali vengono commessi con modalità subdole e di approfittamento, aggredendo l’altrui sfera sessuale.

Le condizioni di inferiorità psichica

L’articolo 609 bis c.p. disciplina, al secondo comma, il caso dell’abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica. Tra queste, afferma la Corte, rientra l’ipotesi in cui la persona offesa abbia assunto stupefacenti o abbia ingerito alcoolici, in quanto, in tal modo, viene alterata la volontà della vittima, che finisce con lo subire la volontà e gli impulsi del soggetto agente. Il giudice del merito aveva erroneamente ritenuto che, avendo la persona offesa volontariamente assunto delle sostanze droganti e alcooliche, alcuna responsabilità potesse essere addebitata agli imputati. La valutazione non è però corretta. Infatti, per accertare se vi sia o meno volontà nel compimento dell’atto sessuale, deve prescindersi da chi concretamente provochi lo stato di inferiorità, rendendo la persona incosciente e inconsapevole di cosa stia succedendo.

Il consenso all’atto sessuale

L’elemento che deve essere accertato per affermare la sussistenza di un reato contro la libertà sessuale individuale, è l’assenza di volontà e consenso al momento del compimento degli atti. Qualora dalle circostanze del caso, la persona offesa non poteva dirsi cosciente e, dunque, consenziente, il delitto si configura, a prescindere da come e da chi abbia provocato lo stato di incoscienza della vittima, la quale potrebbe essersi posta in tale condizione, anche volontariamente.

La pronuncia si pone dunque in linea con la giurisprudenza ormai pacifica in materia, che intende tutelare al massimo la libertà personale – in cui rientra la sfera sessuale – dell’individuo, colpendo i fatti che aggrediscono la persona,  e fornendo un’interpretazione delle disposizioni normative che possa garantire la massima protezione. In questo caso, l’espressione “abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto” di cui all’art. 609 bis, comma 2, n.1, c.p., deve ritenersi prescindere dalle modalità con cui tali condizioni si siano integrate o dal soggetto che le abbia prodotte.

 

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Sentenza collegata

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