Verso un diritto processuale civile pan-europeo?

Redazione 27/01/20
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di Elisabetta Silvestri*

* Professore Associato di Diritto processuale civile

«Il diritto processuale civile è direttamente rilevante per milioni di cittadini ed imprese della Unione Europea. Regole di procedura semplici, trasparenti e chiare possono aiutare le persone e le società a tutelare meglio i propri diritti quando sono parti di una controversia»: è questo l’incipit di un recente documento che riassume i risultati di uno studio commissionato dal Parlamento Europeo, dal titolo «Common minimum standards of civil procedure»[1]. Lo studio analizza quale «valore aggiunto» potrebbe derivare dalla elaborazione a livello europeo di standards minimi comuni nella disciplina del processo civile, standards destinati a costituire la base su cui sviluppare l’armonizzazione dei diritti processuali civili nazionali. Al di là dei vantaggi che lo studio quantifica attraverso complessi calcoli compiuti analizzando il costo globale delle cause civili e commerciali negli Stati Membri, quale è nel momento attuale e quale potrebbe essere se si adattassero standards minimi comuni applicati da tutti i sistemi giuridici interessati, lo studio enfatizza l’importanza di qualunque iniziativa volta a ridurre la frammentazione delle norme processuali di matrice europea, nella prospettiva di assicurare un più efficace accesso alla giustizia e di rafforzare la fiducia reciproca tra gli apparati giudiziari degli Stati dell’Unione.

Il documento in oggetto non è il primo pubblicato dal Parlamento Europeo sulle possibili forme di armonizzazione del diritto processuale civile come aspetto fondamentale nel rafforzamento della cooperazione giudiziaria. In realtà, nel 2015 e nel 2016 altri studi avevano affrontato il medesimo problema[2]. In tutti era presente un’analisi dell’acquis comunitario in materia di processo civile e delle forme attraverso le quali è stato realizzato: i cd. «strumenti opzionali», ossia i regolamenti che delineano procedure parallele e facoltative rispetto a quelle nazionali (ad esempio, il Regolamento n. 861/2007 istitutivo del procedimento europeo per le controversie di modesta entità); l’armonizzazione settoriale imposta da alcune direttive concernenti materie specifiche, come la Direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori o anche la Direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale; infine, i cd. «strumenti orizzontali», che contengono disposizioni riconducibili al diritto processuale civile in senso lato, ma hanno una portata trasversale, come la Direttiva 2002/8/CE contenente norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato nelle controversie transfrontaliere e la Direttiva 2008/52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione nelle controversie civili e commerciali.

L’attivismo delle istituzioni europee nella produzione di norme processuali non sembra avere generato i risultati sperati: al contrario, il diritto processuale civile europeo continua a presentarsi come un puzzle i cui tasselli stentano a comporre un insieme coerente. Una studiosa ha plasticamente descritto questa situazione, parlando di «decostruttivismo procedurale»[3]: se in architettura il decostruttivismo ha un significato di destabilizzazione della geometria convenzionale, che può anche essere apprezzato come specchio di una società in cui le regole tradizionali sembrano aver perso valore ed il disordine non ha più una connotazione necessariamente negativa, nel diritto processuale il decostruttivismo è quanto mai dannoso, perché favorisce la moltiplicazione dei modelli procedimentali e mette a rischio l’accesso alla giustizia. È necessario, quindi, che le istituzioni europee compiano un’inversione di rotta ed inizino ad occuparsi del processo civile secondo un progetto ordinato, quale può essere – appunto – un progetto che abbia come obiettivo l’individuazione di standards minimi relativi alla disciplina del processo civile, dal suo inizio fino alla sua conclusione, quanto meno dinanzi al giudice di primo grado.

Nella prospettiva di giungere all’armonizzazione della disciplina del processo civile dei diversi Stati Membri, le proposte formulate sono molteplici: tutte passano attraverso l’individuazione di un gruppo di principi basilari (o standards minimi) ai quali il diritto processuale civile nazionale dovrebbe adeguarsi. Su come questo adeguamento potrebbe essere ottenuto, le alternative possibili, di fatto, sono solo due: escluso il ricorso ad uno strumento di «soft law», che difficilmente sarebbe idoneo a persuadere i legislatori nazionali ad intraprendere riforme nel senso voluto dalle istituzioni comunitarie, la scelta è tra un regolamento ed una direttiva. Non è questa la sede per analizzare i pro ed i contro del ricorso all’uno o all’altra. Va segnalato, tuttavia, che il Parlamento europeo sembra avere una netta preferenza per lo strumento della direttiva. In effetti, nel 2017 una risoluzione del Parlamento aveva sollecitato la Commissione a proporre una direttiva proprio sugli standard minimi comuni nella disciplina del processo civile, formulando una proposta dettagliata, il cui obiettivo era indicato dall’art. 1 della futura direttiva nel «ravvicinamento dei sistemi di procedura civile, al fine di garantire il pieno rispetto del diritto ad un ricorso effettivo e a un equo processo, come riconosciuto dall’articolo 47 della Carta e dall’articolo 6 della CEDU, attraverso la definizione di norme minime sull’avvio, lo svolgimento e la conclusione del procedimento civile dinanzi agli organi giurisdizionali degli Stati membri»[4].

Ad oggi, però, la Commissione non ha dato seguito alle sollecitazioni formulate dal Parlamento e ciò forse giustifica la pubblicazione del nuovo studio promosso sui vantaggi che l’Unione potrebbe trarre da un maggiore coordinamento tra le norme processuali degli Stati membri. Va detto, comunque, che non appaiono infondati i rilievi formulati dalla Commissione a proposito della necessità di tenere comunque in conto le peculiarità dei diritti nazionali, in considerazione delle diverse tradizioni giuridiche di cui tali diritti sono espressione[5] e – sembra opportuno aggiungere – del contesto culturale nel quale ipotetiche norme processuali armonizzate dovrebbero operare.

[1] Il documento, pubblicato nel novembre 2019 e disponibile soltanto in lingua inglese, è consultabile all’indirizzo http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2019/642804/EPRS_STU(2019)642804_EN.pdf.

[2] Cfr., in particolare, European Parliament, Common minimum standards of civil procedure. European Added Value Assessment Annex I (2016), consultabile all’indirizzo http://www.europarl.europa.eu/cmsdata/105660/EPRS_CIVIL_PROCEDURE.pdf; European Parliament, Working Document on establishing common minimum standards for civil procedure in the European Union – The legal basis (21.12.2015), consultabile all’indirizzo http://www.europarl.europa.eu/doceo/document/JURI-DT-572853_EN.pdf?redirect.

[3] Si tratta di Xandra Kramer, Procedure Matters: Construction and Deconstructivism in European Civil Procedure (Erasmus Law Lectures 33, Eleven International Publishing 2013), consultabile all’indirizzo http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2372713.

[4] Cfr. Norme minime comuni di procedura civile – Risoluzione del Parlamento europeo del 4 luglio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme minime comuni di procedura civile nell’Unione europea (2015/2084(INL)), in G.U.C.E., 19 settembre 2018, C 334/39.

[5] Cfr. il documento indicato alla nota 1, contenente il link (a p. 23, nota 82) ad un altro documento che costituisce la risposta della Commissione alla Risoluzione del Parlamento.

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