Usura: spese, oneri e commissioni

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(Cassazione Sez. Un. Civili, 20 giugno 2018, n.16303)

 

SOMMARIO: 1.Introduzione; 2. La politica delle commissioni bancarie; 3. Usura: la formulazione dell’art. 644 c.p.; 4. Costo effettivo: vanno considerate tutte le spese sostenute dal correntista; 5. La commissione sul massimo scoperto; 6. Cassazione Sez. Un. Civili, 20 giugno 2018, n.16303; 7. Valuta; 8. Conclusioni

 

  1. Introduzione

            È sul piano costituzionale il primo esame da operare.

            Infatti, anche accettando che l’art. 644 c.p. è norma parzialmente in bianco, il regolamento non può contrastare o modificare una disposizioni di legge nel cui contesto si inserisce.

            In realtà la Banca d’Italia escludendo alcuni costi (spese e commissioni) dal rilevamento dei tassi medi trimestrali, contravviene, senza alcun dubbio ad una norma di legge, l’art. 644 c.p. che al contrario prevede che: “Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.”, e questa difesa, non vede come si possa sostenere la validità di tale regolamento di fronte ad una norma così chiara e già di per sé esaustiva.

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  1. La politica delle commissioni bancarie

La politica delle banche italiane di lucrare sulle operazioni finanziarie in generale ed in particolare su conti correnti con affidamenti mediante commissioni, oneri e spese varie (per evitare di far crescere troppo il tassi di interesse che a loro volta concorrono alla formazione dei tassi medi per il calcolo dei tassi soglia) è stata oggetto nel 2006, da parte della Commissione Europea di una indagine sul retail banking dalla quale è emersa l’illegittimità di molte spese incassate dalla banche.

Anche l’Antitrust, nel 2007 al termine di una indagine conoscitiva concludeva con il medesimo risultato (veniva rilevato un costo medio di tenuta conto di € 182,00, ben al disopra della media degli altri paesi europei e non).

In particolare la critica mossa sia dalla Commissione Europea che dalla autorità Antitrust mette in luce i prezzi eccessivi delle commissioni bancarie ed interbancarie gravanti sui correntisti e la generale mancanza di corrispettività, quindi di giustificazione, dei servizi offerti dalle banche rispetto le controprestazioni in denaro richieste dai clienti.

            I risultati di tali indagini, non possono che farci riflettere su cosa sia accaduto al sistema bancario nell’ultimo decennio.

            Appare, a chi scrive, lampante, che le banche abbiano sempre più mascherato i propri guadagni dietro termini dal contenuto più generico possibile come commissioni spese ed onori anziché riversare tutte le spese nel più comune tasso di interesse, e ciò (le circostanze sono inequivocabili), al solo fine di eludere la legge anti usura. Infatti nelle istruzioni per la rilevazione dei tassi medi ai sensi della legge sull’usura , del 2006, così come nelle precedenti versioni del documento, gli istituti di credito e le aziende associate all’ABI, sono sempre state invitate, ai fini di una uniforme interpretazione delle “nuove” disposizioni in materia di usura, a non calcolare nel TAEG la commissione di massimo scoperto, ai fini della rilevazione del tasso soglia della prestazione creditizia in rapporto al valore dei tassi applicati dalle banche.

            Chiaramente tale “invito” è stato accolto positivamente dalle banche e l’effetto, come sopra detto, è stato quello di riversare su commissioni spese ed oneri vari buona parte dei guadagni delle banche, guadagni che per un gioco fatto di circolari sono stati resi “immuni” dalla tanto fastidiosa legge 108/1996. 

            Che L. 108/96 sia apparsa da subito fastidiosa (e insidiosa per il sistema bancario), è dato proprio dalla chiarezza portata nel 4° comma dell’art. 644 c.p. che “Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”. 

            Per assurdo, il legislatore, allora, usò una chiarezza disarmante proprio per evitare che insorgessero dubbi su “cosa” dovesse essere “misurato” ai fini dell’usura. Sia da una interpretazione letterale che sul piano della ratio legis è indubbio (anche le discussioni parlamentari in merito lo confermano) che lo scopo del legislatore fosse quello di determinare il costo delle operazioni finanziarie nella loro globalità e cioè comprensiva di tutti quei costi sopportati dal correntista che pesano in varia misura sull’effettiva prestazione restitutoria del debito.

            Per la prima volta, infatti commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito vengono prese in considerazione in un testo di legge.

 

  1. Usura: la formulazione dell’art. 644 c.p.

La formulazione usata nell’art. 644 c.p. non può essere fraintesa in nessun modo ed anche il ritenere, il 4° comma, norma parzialmente in bianco non determina certamente una “delega” ad altri organismi, a modificare il contenuto di una norma di legge.

Proprio la disomogeneità tra il contenuto dell’art. 644 c.p. e le circolari della Banca d’Italia, ed il fatto che uno degli elementi essenziali del reato fosse da ricercare in un atto di natura regolamentare , peraltro, frutto di una complessa procedura amministrativa, aveva portato a sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 644 c.p., comma 3 e della L. 7 marzo 1996, n. 108, l’art. 2 per contrasto con l’art. 25 Cost., sotto il profilo che le predette norme, nel rimettere la determinazione del “tasso soglia”, oltre il quale si configura uno degli elementi oggettivi del delitto di usura, ad organi amministrativi, determinerebbero una violazione del principio della riserva di legge in materia penale.

La Corte Costituzionale, tuttavia, dichiarando manifestamente infondata la questione sollevata, osservava che il principio di riserva di legge è in realtà rispettato ” in quanto la suddetta legge indica analiticamente il procedimento per la determinazione dei tassi soglia, affidando al Ministro del tesoro solo il limitato ruolo di “fotografare”, secondo rigorosi criteri tecnici, l’andamento dei tassi finanziari. Non v’è dubbio che la legge abbia determinato con grande chiarezza il percorso che l’autorità amministrativa deve compiere per “fotografare” l’andamento dei tassi finanziari.

  1. Costo effettivo: vanno considerate tutte le spese sostenute dal correntista

Non vi sono dubbi, a parere di chi scrive, che per determinare il costo effettivo (evitando di usare nomenclature come TEG TAEG TEAGM ecc. tutte formule matematiche che invece di semplificarsi e diminuire, aumentano e diventano sempre meno comprensibili nel loro scopo e facili strumenti per occultare guadagni) di una operazione finanziaria, nella fattispecie di un fido su conto corrente, si debbano considerare tutti i costi sostenuti dal correntista e ciò, semplicemente, perché lo dice espressamente la legge.

Se poi la Banca d’Italia ha sviato dal dettato normativo creando un indice, il tasso medio e conseguentemente il tasso soglia, ciò non significa che l’interprete si debba adeguare ad un regolamento piuttosto che ad una legge.

            È chiara l’asimmetria dei dati che vengono messi a confronto, ma ciò è causato da una anomalia, direi, di “sistema”, dove organismi diversi dal legislatore si sono arrogati il diritto di alterare “le regole del gioco” , ma ciò non può e non deve tradursi in una disapplicazione della legge, ma anzi in una affermazione della stessa che altrimenti finirebbe mortificata nel suo contenuto più nobile che trova nella sovranità popolare sancita dall’art. 1 della nostra COSTITUZIONE, la sua origine.

            La stessa Corte di Cassazione con la citata sentenza 12028 del 2010 ha chiarito che:” Questo Collegio ritiene che il chiaro tenore letterale dell’art. 644 c.p., comma 4(secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la Commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all’erogazione del credito, giacchè ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l’onere, a cui l’intermediatario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente. Ciò comporta che, nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto, ove praticata. Tale interpretazione risulta avvalorata dalla normativa successivamente intervenuta in materia di contratti bancari. Al riguardo occorre richiamare il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2 bis convertito con la L. 28 gennaio 2009, n. 2. Tale articolo al comma 1 disciplina le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto, ridimensionandone l’operatività. Al comma 2 precisa che: “gli interessi, le commissioni, le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente (..) sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e della L. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3”.

L’esame delle problematiche sottese alla fattispecie necessitano tuttavia una valutazione anche sul piano del diritto intertemporale date le novità legislative in merito alla commissione sul massimo scoperto – d.l. 29 novembre 2008 n. 185 convertito con legge 29 gennaio 2009 n. 2 e successivamente d.l. 1 luglio 2009 n. 78 convertito con legge 3 agosto 2009 n. 102 – e le istruzioni emanate dalla Banca d’Italia nell’agosto del 2009 che ha espressamente previsto che ai fini del calcolo del TEGM si deve tener conto anche di tale commissione, anche se con modalità di calcolo, ancora una volta, discutibili, e che di seguito verranno commentate.

Tale novità, prova la necessità, da parte del legislatore, di (tentare di) restituire liceità al sistema bancario italiano che ha indubbiamente sviato le intenzioni del legislatore del 1996 e quindi dal dettato normativo.

Necessita quindi, esaminare la condotta della banca in funzione della collocazione temporale del rapporto di affidamento che risulta essere a cavallo delle due normative.

Le banche applicano, infatti in maniera strumentale, la circolare della Banca d’Italia dell’8.03.2003, la quale non può e non deve (diversamente si dovrebbe procedere alla disapplicazione della circolare stessa per le motivazioni anzidette) certamente essere letta, come già detto, in guisa da porre nel nulla il comma 3° dell’art. 644 c.p., in quanto, come dalla stessa circolare specificato, essa ha finalità meramente statistiche e di rilevazione dei dati e non può certamente derogare ad una norma gerarchicamente di rango superiore.

È evidente l’ambiguità della circolare della Banca d’Italia, ma se si procede ad una lettura completa della stessa, si può giungere ad una interpretazione coerente con il dettato normativo. Infatti, nel paragrafo C5, si legge: “Metodologia di calcolo della percentuale della commissione sul massimo scoperto” e di seguito: “la commissione sul massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG”, ovviamente il motivo di tale direttiva è che il paragrafo si riferisce esclusivamente al metodo di calcolo della percentuale della commissione sul massimo scoperto, quindi è esclusa nel calcolo de TEG solamente ai fini del metodo di calcolo della stessa e niente più. Se infatti si legge la circolare, nella sua completezza e complessità, si noterà che al paragrafo precedente, il C4, rubricato “Trattamento degli oneri e delle spese ai sensi di legge” (per legge ovviamente non può che intendersi l’art. 644 c.p.) “ai sensi della legge il calcolo del tasso deve tener conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo, e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, e collegate all’erogazione del credito; in particolare sono incluse: le spese di istruttoria, spese di chiusura pratica ….” – tale formulazione è specificatamente trattata dalla circolare della Banca d’Italia in commento, la stessa circolare che le banche utilizzano per giustificare il rilevamento di un tasso decisamente fuorviante, non in linea con la legge. Successivamente la stessa circolare, al punto 6, recita: “ogni altra spesa contrattualmente prevista, connessa con l’operazione di finanziamento”. Quindi l’esclusione della commissione sul massimo scoperto può essere ritenuta frutto di una lettura superficiale della normativa di riferimento in quanto il paragrafo C5 tratta tale commissione a parte non per escluderla dal tasso, bensì solamente per dare un “metodo di calcolo”, mentre il precedente paragrafo, il C4, è chiaro nelle sue esplicazioni che ovviamente non potevano che essere il linea con l’art. 644 c.p., ricomprendendo nel calcolo del TEG le “… commissioni , remunerazioni a qualsiasi titolo, e delle spese, escluse” solamente ” quelle per imposte e tasse”[1].

Infatti una circolare che escludesse dal computo del tasso effettivo globale alcune delle spese, commissioni o remunerazioni , violerebbe una norma di legge, l’art. 644 c.p. (nonché la legge 108/96 che ha modificato tale articolo) gerarchicamente sovraordinata, e come tale dovrebbe comunque essere disapplicata dal giudicante. La lettura della circolare così posta apparirebbe, in limine litis, accettabile.

  1. La commissione sul massimo scoperto

Che la commissione sul massimo scoperto incida direttamente sul consto dell’affidamento, è provato dalla incoerenza tra la sua definizione e la relativa applicazione. Come noto, “Nella tecnica bancaria la commissione sul massimo scoperto viene definita come la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del cliente. Quando la banca concede un fido deve, di riflesso, predisporre disponibilità finanziarie, indipendentemente dall’effettivo prelevamento”, “nella pratica operativa tuttavia, gli intermediari bancari usano commisurare la CMS, non all’importo affidato, ma allo scoperto massimo di conto verificatosi nel periodo di riferimento: con tale metodologia di calcolo è indubbio che la CMS viene ad assumere appieno la configurazione di una componente aggiuntiva del costo del finanziamento” [2].

Infatti, se vogliamo dare un minimo di spazio alla logica, la CMS dovrebbe essere calcolata sulla somma non utilizzata, che comunque la banca deve tenere a disposizione del cliente, e non certamente al massimo scoperto, senza peraltro rapportarlo al fattore tempo, in quanto una tale metodologia di calcolo non potrà che portare a palesi effetti di iniquità vessazione e usura.

Nelle situazioni di abituale scopertura su c/c, essendo la CMS applicata sul massimo utilizzo, la relativa incidenza sul costo del credito si amplifica notevolmente per la parte eccedente il credito medio, in funzione diretta con il divario tra utilizzo massimo e utilizzo medio e in funzione inversa con il numero di giorni per i quali permane tale divario, in tali circostanze il costo del credito può (come nel caso in contestazione) superare il tasso di usura.

  1. Cassazione Sez. Un. Civili, 20 giugno 2018, n.16303

La nuova normativa – d. l. 29 novembre 2008 n. 185 convertito con legge 29 gennaio 2009 n. 2 e successivamente d.l. 1 luglio 2009 n. 78 convertito con legge 3 agosto 2009 n. 102 – e le istruzioni emanate dalla Banca d’Italia nell’agosto del 2009 – disciplina in base alla quale ai fini del calcolo del TEGM si deve tener conto anche di tale commissione, tuttavia nel prevedere l’incidenza della CMS nel calcolo del TEGM, fa riferimento al fido accordato e non a quello utilizzato, modalità di calcolo, ancora una volta favorevole alla banca.

Non sono mancate critiche “secondo cui se gli interessi in senso stretto vengono rapportati al capitale erogato mentre gli altri costi vengono rapportati al fido, con la formula adottata dalla Banca d’Italia si ottiene un indicatore di costo spurio non idoneo a misurare né il costo del credito né il costo del fido“[3] .

La Cassazione Sez. Un. Civili, 20 giugno 2018, n.16303 esprime il seguente principio di diritto:“Con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni di cui al Decreto Legge n. 185 del 2008, articolo 2 bis, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata – intesa quale commissione calcolata in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento – rispettivamente con il tasso soglia e con la “CMS soglia”, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi della predetta L. n. 108, articolo 2, comma 1, compensandosi, poi, l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati”.Infatti, secondo la Corte considerato che:

  • La L. n. 108 del 1996, articolo 2, comma 1, stabilisce, che “il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari (…) nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione (…) sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale”;
  • la funzione dei decreti è dunque quella di rilavare i dati necessari ai fini della determinazione del tasso soglia, in vista della comparazione, con questo, delle condizioni praticate in concreto dagli operatori;
  • che la rilevazione dell’entità delle CMS è contenuta nei decreti emanati nel periodo precedente all’entrata in vigore del Decreto Legge n. 185 del 2008, articolo 2 bis.

La mancata inclusione della CMS nel TEGM non osta, la comparazione con i dati in concreto trattandosi comunque di un dato formale non incidente sulla sostanza e sulla completezza della rilevazione prevista dalla legge.

La Corte ritiene che l’ esigenza di omogeneità, o simmetria, è indubbiamente avvertita dalla legge: tale assunto solleva tuttavia delle perplessità sul potere giurisdizionale di adeguare il contenuto dei decreti ministeriali.

È parere di chi scrive che la disomogeneità e l’asimmetria siano originate, da un lato dalle circolari della Banca d’Italia nell’indicare alle banche i criteri di raccolta dei dati, e di aggregazione nel c.d. TEGM, circolari che non hanno effetti sui rapporti tra banche e clienti e che pertanto non sono a questi ultimi opponibili, dall’altro dall’impossibilità giuridica del giudici di apportare modifiche a decreti ministeriali, che, laddove ritenuti illegittimi in quanto non conformi al dettato normativo, potranno solamente essere disapplicati, ma non certo modificati con correttivi che trovano l’origine in iniziative della Banca d’Italia.

Che il legislatore avesse l’intenzione di garantire omogeneità e simmetria tra i dati da comparare non pare esservi alcun  dubbio, tuttavia l’ambiguità dell’operato della Banca d’Italia nel fornire istruzioni sulla raccolta e aggregazione dei dati, ha creato una situazione che non può essere risolta a livello giudiziario, ma solo legislativo. 

Allo stato, dunque la ricerca della simmetria ad opera dei giudici sta creando solamente una diversità di applicazioni su tutto il territorio nazionale aprendo le porte a numerose tesi di calcolo quasi mai coincidenti tra loro.

  1. Valuta

Il costo del denaro è altresì accentuato dalle condizioni di VALUTA. Tale elemento di costo (occulto) trova la sua collocazione normativa nell’art. 120 TUB e nell’art. 2 c. 1 del d.l. 78/2009 convertito con legge 3 agosto 2009 n. 102.

In merito si ricorda la Cass. 26 luglio 1989 n. 3507 secondo la quale la banca non è libera di effettuare la registrazione degli accrediti senza limiti di tempo, ma deve a ciò provvedere con la massima rapidità consentita dagli strumenti tecnici disponibili.

  1. Conclusioni

Senza dilungarsi oltre sulle questioni giuridiche (o meglio fantagiuridiche) delle varie metodologie di calcolo del TEG e del TAEG e della loro compatibilità (o meglio liceità) con il dettato normativo, lo scrivente conclude sul punto che “l’esplicita definizione del costo del credito espresso dal TAEG, per le anticipazioni e aperture in conto corrente, prevista dalle disposizioni sulla trasparenza delle operazioni bancarie, renderà evidente la contraddizione con il TEG, ….., rimettendo ancora una volta, in ultima istanza alla Magistratura la scelta tra il TAEG e TEG nella verifica di rispetto della’rt. 644 c.p.“[4]

Note

[1] Trib. Palmi 8 novembre 2007 n. 1732

[2] S. Ambrosiani – P.D. Demarchi Banche, consumatori e tutela del risparmio, 2009 – pag. 461.

[3] R. Marcelli, Tesg e Teg: la contraddizione non trova soluzione. Le nuove disposizioni della Banca d’Italia in materia di trasparenza e rilevazione dei tassi d’usura, nota 11 in www.ilcaso.it

[4] Roberto Marcelli Taeg e Teg: la contraddizione non trova soluzione – 22.09.2009 pag. 22- www.ilcaso.it.

 

Avv. Morini Giampaolo

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