Usura e commissioni di massimo scoperto

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Sarà confermata la prevalenza della legge o il rispetto di circolari giustificherà, solo nei rapporti con le banche, un diverso criterio di calcolo del costo del denaro ai fini della verifica di usurarietà?

Saranno le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, a breve, a pronunciarsi sulla questione della rilevanza o meno, nella determinazione del TEG (tasso effettivo globale) e, dunque, ai fini della verifica di usurarietà, delle commissioni di massimo scoperto previste o addebitate nei rapporti di conto corrente[1].

Il problema -di estrema importanza visto che l’inclusione o meno di tale voce di costo nel calcolo del tasso effettivo influisce sul risultato che ne consegue in termini percentuali e, di fatto, quindi, sul superamento o meno del tasso soglia- è stato oggetto, soprattutto nell’ultimo decennio, di due opposti orientamenti giurisprudenziali.

Secondo la difesa bancaria, le commissioni di massimo scoperto -pur addebitate nel trimestre- non dovrebbero essere considerate quando si calcola il tasso di interesse effettivo, ossia il costo dell’operazione: ciò, malgrado la chiarezza della norma di cui all’art. 644 cod. pen. (secondo cui, ai fini della determinazione del tasso effettivo globale, deve tenersi conto di ogni commissione, remunerazione a qualsiasi titolo e delle spese “escluse imposte e tasse”)[2], in quanto la Banca d’Italia, dal settembre 1996 fino alle istruzioni emanate nell’agosto 2009, avrebbe divulgato agli intermediari le “istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” prescrivendo che dette commissioni non sarebbero dovute essere considerate ai fini della rilevazione del tasso medio trimestrale e raccomandando, tra l’altro, una formula (ma, in realtà, una mera addizioni di due frazioni) in base alla quale gli interessi sarebbero rapportati ai “numeri”, ossia, al capitale effettivo utilizzato mentre, invece, le spese e gli oneri all’importo “accordato” e, cioè, al fido. Tale tesi – in verità accolta da alcuni giudici di merito e, nel 2016, come si dirà appresso, da due pronunce, con motivazione pressochè analoga, emesse dalla I sezione civile della Corte di Cassazione- si contrappone ad un diverso orientamento seguito da una consistente giurisprudenza sia dei giudici di merito che di legittimità: nè le circolari della Banca d’Italia né un decreto ministeriale (come ricordato fin da Trib. Napoli, ufficio GIP, con ordinanza 21 giugno 2006)[3] possono derogare al chiaro dettato della legge che, nel caso di specie, all’art. 644 codice penale, ha previsto espressamente, si ripete, che per la determinazione del tasso effettivo deve essere considerata ogni voce di costo escluse, soltanto, imposte e tasse. E’ “La legge” -e solo la legge, in virtù della riserva espressa dal legislatore all’art. 644, terzo comma, c.p. – che “stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” (Art. 644, III comma) e il legislatore, con l’art. 2 della legge 7 marzo 1996 n. 108, ha previsto un preciso meccanismo in base al quale, ogni trimestre, deve essere individuato il tasso medio per categorie di operazioni che, con l’aggiunta di uno “spread” (prima della modifica di cui al d.l. 13 maggio 2011 n. 70, fissato nella metà del tasso medio e, ora, di un quarto cui si aggiungono ulteriori quattro punti percentuali con il conseguente innalzamento del limite rispetto alla previgente formulazione)[4], determina il cosiddetto “tasso soglia” superato il quale il tasso applicato è oggettivamente usurario[5] o, meglio, come sancito dall’art. 644 c.p., “(…) oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” . Ai fini dell’individuazione del tasso medio trimestrale, il legislatore ha attribuito la competenza esclusivamente al Ministero del Tesoro (ora, Ministero dell’Economia)sentita” la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi. Il legislatore, insomma, ai fini della rilevazione del tasso medio e della conseguente determinazione del tasso soglia non ha conferito alcun potere direttamente alla Banca d’Italia (al contrario di quanto ha previsto, per diverse finalità, in altre norme, contenute, ad esempio, nel Testo Unico Bancario): le circolari dell’Organo di Vigilanza, dunque, non sono comprese tra le “fonti” dell’ordinamento e nemmeno un decreto del Ministero dell’Economia -come sostenuto, in sostanza, da varie pronunce-[6] può derogare a quanto espressamente indicato dalle norme di legge.

La legge già indica in maniera analitica il procedimento per la determinazione del tasso soglia affidando al Ministero del tesoro “solo il limitato ruolo di ‘fotografare’ l’andamento dei tassi finanziari[7].

Con il decreto legge 185/2008, convertito in legge 2/2009, il legislatore, nel dettare alcuni limiti alla legittimità delle commissioni sullo scoperto e introducendo le commissioni sull’affidamento, ha precisato, all’art. 2 bis, che esse sono “comunque” rilevanti ai fini della verifica di usurarietà. La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 12028 del 2010 sopra ricordata, ha, non solo confermato il principio affermato dai giudici di merito secondo cui le commissioni di massimo scoperto devono essere incluse nel calcolo del TEG, ma ha anche ritenuto che la norma di cui alla legge 2/2009 debba ritenersi norma di interpretazione autentica e, quindi, con efficacia ex tunc escludendo, dunque, che tale inclusione nel TEG valga solo per il periodo successivo all’entrata in vigore della normativa del 2008-2009. Tale principio è stato confermato, con successive pronunce, sia da parte della stessa Corte di Cassazione, sezione penale, sia dai giudici di merito (per una rassegna di giurisprudenza relativa ad entrambi gli orientamenti, rinvio al mio “L’ usura nel contenzioso bancario”, II edizione, 2017, Maggioli Editore). Si ricorda, ancora, che la Corte di Cassazione, sezione penale, con sentenza del 19 dicembre 2011, n. 46669, nel ribadire la necessaria inclusione della commissione di massimo scoperto ai fini della valutazione di usurarietà le ha ritenute “fattore potenzialmente produttivo di usura” ricordando, peraltro, la preminenza della norma penale e l’irrilevanza, laddove in contrasto con la legge, delle circolari o Istruzioni della Banca d’Italia che, dunque, “non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d’Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell’elemento oggettivo”. Esse, inoltre, “ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia, neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell’ambiente del commercio che non presenta in sé particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito[8].

La Corte di Cassazione, sezione I civile, con sentenza del 22 giugno 2016 n. 12965 seguita da altra, in sostanza, identica nella motivazione (Cass. civ., sez. I, sent. 3 novembre 2016, n. 22270), ha manifestato un orientamento opposto a quanto è stato, finora, affermato dalla sezione penale e dalla prevalente giurisprudenza di merito: la disposizione contenuta all’art. 2 bis della legge 2/2009, di conversione del d.l. 185/2008, avrebbe natura innovativa e non di interpretazione autentica, ragion per cui, per il periodo precedente, in conformità a quanto indicato dalla Banca d’Italia, le commissioni di massimo scoperto non dovrebbero essere comprese nel TEG . Tale pronuncia, tuttavia, a cui non è seguita, finora, un’adesione unanime da parte dei giudici di merito, come osservato anche in alcune pronunce successive (tra le più recenti, vedasi Trib. Padova, sent. 23 gennaio 2018, n. 163)[9] non contiene una motivazione convincente[10] e, anche in virtù di quanto finora affermato dalla sezione penale della Corte oltre che dai giudici e corti territoriali, sembrerebbe fondata su premesse erronee o, comunque, non condivisibili. Si riterrebbe che, per il periodo precedente all’entrata in vigore delle nuove istruzioni emanate dalla Banca d’Italia, ossia, fino al 31 dicembre 2009, le commissioni di massimo scoperto non dovrebbero essere inserite nel calcolo del tasso effettivo in quanto, oltretutto, il confronto tra tasso effettivo applicato dalla banca e tasso soglia (determinato, come ricordato, in conseguenza della rilevazione dei tassi medi) non sarebbe in tal modo effettuato con dati “omogenei” dal momento che la Banca d’Italia, nel rilevare i tassi medi (rilevazione che costituisce la “base” per la determinazione del tasso soglia), le aveva espressamente fatte escludere e tenute separate dagli interessi.

Non sembra, tuttavia, che quella appena menzionata e le ulteriori pronunce che hanno aderito alla “tesi” bancaria abbiano finora dato risposta ad alcuni interrogativi che, forse, avrebbero dovuto costituire l’imprescindibile premessa: chi ha autorizzato la Banca d’Italia a dettare “istruzioni” in contrasto con quanto espressamente previsto nell’art. 644, terzo comma, cod. pen.? E’ possibile che, per misurare un costo dell’operazione, vi siano diversi criteri o formule (se formula può qualificarsi, tra l’altro, una mera addizione di frazioni che non può rappresentare l’uguaglianza col TEG)? Per quale motivo[11] la stessa Banca d’Italia[12], a fini statistici ex art. 51 TUB, sin dal 1998, ha dettato alle banche una formula corretta e conforme a quanto previsto dall’art. 644 c.p.[13] e, invece, ai fini delle rilevazioni dei tassi medi trimestrali, ha indicato di escludere le commissioni di massimo scoperto indicando, per il resto, una “mera addizione di frazioni” dove, oltretutto, le spese e altre voci di costo sono rapportate all’accordato piuttosto che all’utilizzato?

Si consideri, tra l’altro, che se è vero che nelle nuove istruzioni della Banca d’Italia le commissioni sono inserite ai fini della determinazione del TEG, esse, tuttavia, sono rapportate all’ “accordato”, piuttosto che all’importo “utilizzato”.

La reiterazione della formula con l’addizione di due frazioni, nella quale gli interessi sono rapportati al credito “utilizzato” mentre, invece, commissioni, spese ed oneri all’“accordato”, qualora utilizzata anche per il calcolo del tasso effettivo globale della singola operazione, si presta, comunque, come è matematicamente dimostrabile[14], a risultati inferiori e divergenti dal tasso effettivo concretamente applicato e risultante laddove si utilizzi l’unica formula ritenuta corretta e aderente al dettato di cui all’art. 644 cod. pen. . In sostanza, qualora si ritenesse che, ai fini della determinazione del tasso effettivo e del conseguente confronto col tasso soglia, tutte le voci di costo, tranne gli interessi, siano rapportate all’importo accordato, si consentirebbero agevoli elusioni della norma penale divenendo sufficiente che parte del profitto sia imputato a costi diversi dagli interessi. Non potrebbe che condividersi, allora, quanto è stato attentamente osservato, ossia, che “se ciò fosse stato l’intento del legislatore, gli usurari criminali avrebbero a disposizione la scappatoia tecnica per ‘promettere’ 1.000.000,00 di euro di credito (accordato), prestarne concretamente 10.000,00 al tasso del 5%, in aggiunta a commissioni e spese per € 5.000,00 all’anno, con il sorprendente risultato di un tasso effettivo del 5,5% anziché del 55%” [15].

Credo che la delicatezza e rilevanza del contenzioso bancario non siano determinate solo dal diritto ed interesse dell’utente a vedersi rideterminata la posizione contabile ed, eventualmente, ad ottenere la restituzione di quanto corrisposto in eccedenza rispetto al dovuto. Ritengo, in sostanza, che non siano “in gioco” solo meri “numeri” a debito o a credito per una delle parti ma, quasi sempre, ad essere esposti alle operazioni bancarie e soggetti alle determinazioni della banca e dei suoi funzionari vi siano ulteriori diritti, tra i quali, alcuni, probabilmente, ricompresi tra quelli fondamentali della persona umana. Si pensi, solo a titolo esemplificativo, all’abuso del nome di una persona associato a un importo non dovuto o a una situazione non conforme a realtà nelle segnalazioni effettuate dalla banca alle centrali rischi; ai gravi pregiudizi che subisce un imprenditore il quale -magari, anche esercitando il diritto-dovere di amministrare l’impresa nel rispetto della legge- si rifiuti di pagare importi che ritiene non dovuti o che, confidando nella legge, non intenda soddisfare pretese che sarebbero contrarie all’ordinamento (perchè, ad esempio, contrarie a norme imperative) e che, tuttavia, prima ancora che agisca o sia convenuto in giudizio, viene segnalato “a sofferenza” nelle varie centrali rischi come cattivo pagatore: subisce in questi casi, quasi sempre, il diniego di accesso al credito o, addirittura, la revoca delle agevolazioni creditizie concesse da altre banche con inevitabili, a volte fatali,  ripercussioni sull’impresa e sul diritto all’iniziativa economica protetto anche dalla Carta Costituzionale[16]. Si pensi, ancora, all’imprenditore il quale, in seguito ad ingiusto recesso da parte della banca dal rapporto di apertura di credito, si trovi nell’impossibilità di pagare gli stipendi o i contributi con la conseguente impossibilità di ottenere dichiarazioni o certificati necessari per partecipare ad appalti o per la prosecuzione dell’impresa o, ancora, all’utente che, lamentando l’usurarietà o altri vizi del rapporto di mutuo, subisca, nelle more del giudizio, la svendita della propria abitazione[17] o sia costretto a lasciarla ancora prima che sia venduta[18] o subisca seri danni di carattere biologico[19].

La giurisprudenza degli ultimi 20 anni dimostra che spesso, all’esito di una causa di opposizione avverso il decreto ingiuntivo notificato dalla banca con il quale quest’ultima aveva ingiunto il pagamento del saldo di un rapporto di conto corrente, il credito vantato è risultato notevolmente ridotto e, non poche volte, si è accertato, perfino, che la banca piuttosto che creditrice era debitrice. Quante sono le imprese o i cittadini rimasti vittime di pretese indebite o usurarie? E’ sicuro che vittime degli abusi bancari siano solo i singoli clienti della banca e che i danni non si ripercuotano sull’intera collettività?

Credo che gli effetti dell’ingiusta chiusura o del fallimento di un’impresa, soprattutto laddove determinata da pretese che, all’esito del giudizio, si rivelano infondate, non ricadano solo sul singolo imprenditore ma sull’intera economia, sulla produzione nazionale e, indirettamente, su tutti i contribuenti.

Sono queste, forse banali, considerazioni che, secondo me, non possono essere ignorate da alcun cittadino e, soprattutto, da chi è preposto a fare rispettare la legge e proprio sul cui rispetto il cittadino e l’imprenditore onesto ripongono fiducia (mi permetto di richiamare quanto scritto nella mia nota “Contenzioso bancario: la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo e i diritti fondamentali della persona, pubblicata sulla rivista giuridica Diritto.it al seguente link, cliccare qui).

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Fermo restando che l’usurarietà è solo una delle più frequenti eccezioni formulate dall’utente bancario che lamenti la non corrispondenza del saldo vantato dalla banca rispetto a quello legittimo, il contrasto che si è determinato tra i giudici sia di merito che di legittimità circa la rilevanza delle commissioni di massimo scoperto nella determinazione del tasso effettivo globale [20] continua a fare riflettere se davvero la disciplina desumibile dalla norma di cui all’art. 644 codice penale e dall’art. 2 della legge 108/1996 possa ritenersi così equivoca da avere determinato un tale contrasto, oppure, se le suddette disposizioni (alla luce anche dei lavori preparatori)[21] non siano state, piuttosto, di estrema chiarezza. Vi è il rischio che ogni giustificazione di condotte poste in essere in contrasto con l’unico criterio di calcolo espressamente indicato dal legislatore nell’art. 644 cod. pen. motivata dall’avere osservato, le banche, circolari divulgate dall’Organo di vigilanza -che, però, non può negarsi contengano disposizioni non solo non aventi alcun valore di legge (non essendo, di certo, tra quelle che sono le uniche fonti dell’ordinamento previste nell’articolo 1 delle preleggi) ma contrastanti con quanto previsto dalla legge penale- possa apparire il risultato di un  ragionamento difficilmente condivisibile. Anzi. Vi è il rischio che proprio il mancato rispetto di quanto previsto dall’art. 644 c.p. e dall’art. 2 legge 108/1996 -e, in particolare, del criterio per rilevare il tasso medio e per determinare il tasso effettivo globale- possa costituire e confondersi con la stessa pretesa giustificazione, legittimandosi, così, comportamenti da parte degli intermediari in palese contrasto con quella che è stata la ratio delle modifiche dell’art. 644 cod. pen. e dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ. da parte del legislatore della legge 108/1996: è possibile che, a fronte di una precisa disposizione di legge, piuttosto che valutarsi se il comportamento posto in essere dalla banca rientri nella fattispecie prevista -previa determinazione del tasso di interesse effettivo- si possa giustificare il superamento del tasso soglia e, dunque, consentire il tasso usurario solo perchè un organo non avente potere legislativo e “a composizione societaria bancaria” [22], all’indomani dell’entrata in vigore della legge 108/1996, ha divulgato alle banche delle istruzioni con le quali[23] indicava che le commissioni di massimo scoperto non sarebbero dovute essere incluse ma dovevano essere rilevate separatamente?

Si avverte la sensazione che una simile giustificazione, oltre a potere determinare alcuni paradossi e conseguenze che sembrano in stridente contrasto con l’ordinamento[24], possa significare che, piuttosto che pretendersi da chiunque l’osservanza della legge, se ne possa giustificare la violazione nei casi in cui le banche e i loro responsabili (piuttosto che seguire la Legge od astenersi dal compiere un comportamento in contrasto con quanto era ed è indicato dalla norma penale o segnalare che l’osservanza delle circolari sarebbe stata in contrasto con la normativa che non potevano non conoscere) hanno osservato istruzioni emanate da un organo privo di potere legislativo o di qualsivoglia autorizzazione ad emanare norme in contrasto con quanto previsto dalla legge. Non si può non considerare, poi, che il legislatore, con la legge n. 108/1996, modificando la norma di cui all’art. 644 cod. pen. ha previsto il fatto che il reato sia commesso nell’esercizio dell’attività bancaria, così come che sia commesso ai danni di chi esercita attività imprenditoriale, quali circostanze aggravanti e non come cause di esclusione del reato; allo stesso modo non possono essere trascurati i noti principi più volte ribaditi dalla giurisprudenza secondo cui chi svolge una determinata attività ha il dovere di conoscere la normativa che disciplina il settore (Cass. pen. sent. 19 febbraio 2011, n. 46669), nel dubbio sulla liceità di una determinata condotta deve astenersi dal compierla (Cass. pen. sent. 46669/2011, cit.) e non deve eseguire l’ordine qualora illegittimo.

Consentire che un tasso effettivo sia computato escludendo dal calcolo alcune rilevanti voci di costo malgrado siano state addebitate al correntista lascerebbe, probabilmente, al cittadino la sensazione che lo stesso tasso effettivo superiore al massimo consentito (ossia al tasso soglia), qualora preteso da un usurario “di strada”, determinerebbe l’arresto di quest’ultimo e la condanna alle severe pene previste dall’art. 644 cod. pen. ma se, invece, preteso dal direttore di banca o dai suoi funzionari o procuratori, quello stesso tasso andrebbe “smacchiato dall’usurarietà”, ossia, “ripulito” e “abbassato”: alcuni costi, come le commissioni di massimo scoperto, pure se addebitate al correntista, non conterebbero, ragion per cui, a parità di importo oggetto del “prestito”, della durata di utilizzo e del costo, il tasso effettivo che ne risulterebbe sarebbe diverso a seconda che a chiederlo sia l’usuraio “cravattaro” o l’usuraio “con la cravatta”: corrisponderebbe ad una determinata percentuale nel primo caso e ad altra, più ridotta e “infra soglia”, nel secondo. Ne discenderebbe un risultato opposto a quello che la ratio della legge avrebbe voluto, ossia la punizione di “chiunque si fa dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari”: si affermerebbe [25] l’inconfigurabilità dell’usura bancaria e, dunque, la sua impunità.

E’ auspicabile che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, qualunque sia la decisione, diano risposta esaustiva ai suddetti interrogativi.

[1] La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite da Cass. civ., sez. I, ord. 20 giugno 2017, n. 15188.

[2] Art. 644, quarto comma, cod. pen. “Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.

[3] Trib. Napoli, GIP Giordano, ord. 21 giugno 2006, ricordata nel mio L’usura nel contenzioso bancario, II ediz., Maggioli, 2017, pagina 38 e in Anatocismo bancario e vizi nei contratti, V edizione, Maggioli, 2015, pagina 49 e seguenti.

[4] Con d.l. 13 maggio 2011 n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106, è stato modificato l’art. 2, quarto comma, della legge 7 marzo 1996, n. 108 prevedendosi, ora, che “Il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio

non può essere superiore a otto punti percentuali”.

[5] con l’applicazione delle norme sanzionatorie di cui agli articoli 644 codice penale e 1815, secondo comma, cod. civ.

[6] Trib. Napoli, Gip Giordano, ord. 21 giugno 2006 cit; Cass., II sez. pen., sent. 19 dicembre 2011, n. 46669; Cass. pen., II sez., sent. 19 febbraio 2010, n. 12028; Cass. pen., sez. II, sent. 14 maggio 2010, n. 28743 in R. Di Napoli L’usura nel contenzioso bancario, II ediz., 2017, Maggioli.

[7] Cass. pen., sent. 19 febbraio 2010, n. 12028, cit. ;

[8] Cass., II sez. pen., sent. 19 dicembre 2011, n. 46669.

[9] Trib. Padova, sent. 23 gennaio 2018, n. 163; Trib. Potenza, sez. penale, sent. 19 giugno 2017 (dep. 11 settembre 2017), pubblicata sul sito dell’associazione Sos Utenti al seguente indirizzo http://www.sosutenti.net/download.php?id=616, di particolare rilevanza, oltre che per avere accertato la consumazione del reato con conseguente condanna penale, anche per avere riconosciuto la rilevanza delle commissioni di massimo scoperto così come degli oneri anatocistici nel calcolo del TEG; a tale ultimo proposito, infatti, è stato considerato come, a prescindere dalla legittimità o meno dell’anatocismo, la capitalizzazione trimestrale determina l’aumento del “tasso che paga il debitore”; Trib. Udine, sent. 4 gennaio 2017, n. 23; Trib. Torino, Giudice C. Marino, sent. 3 gennaio 2017; Trib. Palermo, sez. V civ., sent. 14 luglio 2016, n. 4218; Trib. Padova, Giudice Maiolino, sent. 3 novembre 2016.

[10] Per ulteriore approfondimento sulle ragioni per le quali non appare convincente la motivazione di Cass. civ, sent. 12965/2016 e Cass. civ. 22270/2016, sia consentito il rinvio a quanto già rappresentato nel mio L’usura nel contenzioso bancario, II edizione, Maggioli 2017, pagine 70 e seguenti.

[11]  come attentamente osservato dal dott. Gennaro Baccile in alcune sue considerazioni pubblicate sul sito dell’associazione Sos Utenti e ribadite nella relazione al convegno tenutosi a Taranto, il 10 novembre 2017, presso l’Università degli studi Aldo Moro, sezione di Taranto, su “Usura e indebiti bancari, approccio giurimetrico e modalità rivendicative”, pubblicata al seguente link (cliccare qui); esse sono ricordate anche nel mio L’usura nel contenzioso bancario, cit. pagine 87 e seguenti.

[12] Qualificata come “organo di composizione societaria bancaria” da Trib. Benevento, ord. 30 dicembre 2015, pubblicata sulla rivista giuridica telematica ilcaso.it al seguente indirizzo http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/14158.pdf

[13] Vedasi, ad esempio, paragrafo 4.3) dell’Appendice metodologica al Bollettino Statistico n. 29 del marzo 1998, intitolato “Le rilevazioni sui tassi di interesse” laddove viene specificato che “Tali tassi vengono calcolati, sulla base delle competenze (comprendendovi provvigioni, commissioni e spese) e dei numeri computistici relativi ai singoli affidati, attraverso la formula: (Competenze × 36,5)/Numeri computistici (…)”; circolare n. 251 del 17 luglio 2003, richiamata sempre nell’Appendice metodologica al bollettino statistico trimestrale pubblicato dalla Banca D’Italia con il n. II 2016 laddove, al paragrafo 2.3, viene confermato che “Sulla base dei dati rilevati, i tassi di interesse pubblicati nelle tavole statistiche vengono calcolati come media ponderata dei tassi effettivi applicati alla clientela – escludendo le operazioni a tasso agevolato – secondo la formula : t(%) = (Competenze × 36,5)/Numeri computistici (…)”; G. Grigolin, Bankitalia, i conti non tornano. Divergenze tra le formule usate per rilevare Tegm e Tir, pubblicato su Italia Oggi del 24 ottobre 2016.

[14] Utili appaiono gli esempi forniti da R. Marcelli, La soglia d’usura ha raggiunto un livello pari a 100 volte l’Euribor: il presidio di legge è un argine o una copertura? pagg 10 e seguenti, pubblicata sul sito www.assoctu.it e da G. Baccile in www.sosutenti.net richiamati anche nel mio L’usura nel contenzioso bancario, II edizione, Maggioli, 2017, pagine 65 e seguenti.

[15] G. Baccile, cit.

[16] Art. 41 Cost.  L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

[17] mancata tutela che, a volte, potrebbe apparire in contrasto con quello che dovrebbe essere il fine di incoraggiamento all’acquisto della proprietà dell’abitazione che la Repubblica dovrebbe favorire (e, dunque, anche salvaguardare) ai sensi dell’art. 47, secondo comma, della Costituzione “1. La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. 2. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione , alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”.

[18] Maggiore riflessione dovrebbe essere posta dal legislatore ma anche dalla giurisprudenza, inoltre, su quanto sancito dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo  ratificata e resa esecutiva in Italia in forza della l. 4 agosto 1955, n. 848“ 1.  Protezione della proprietà. —  Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

 Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.

[19] Per approfondimenti anche sui pregiudizi non patrimoniali di carattere biologico che possono derivare da abusi bancari, sia consentito il rinvio al mio “Anatocismo bancario e vizi nei contratti”, V edizione, Maggioli Editore, 2015, pagine 431 e seguenti.

[20] Ci si permette di ricordare che oggetto di contenzioso bancario (e di difesa delle banche fondata, essenzialmente, su ulteriori circolari della Banca d’Italia) è anche la rilevanza degli interessi moratori o di altri oneri quali i premi per polizze assicurative nonché gli effetti dell’eventuale accertamento di usurarietà.

[21] così come ho ricordato nel mio L’usura nel contenzioso bancario, II ediz., cit., pagina 88

[22] come qualificato da Trib. Benevento, ord. 30 dicembre 2015, vedasi, retro, nota 12.

[23] ai fini, peraltro, “della rilevazione” dei tassi medi e non della “determinazione” del tasso effettivo applicato, in concreto, nel singolo caso.

[24] Sia consentito il rinvio a quanto da me ritenuto in L’usura nel contenzioso bancario, II edizione, Maggioli, 2017, pagine 65 e seguenti.

[25] in un periodo storico in cui, tra l’altro, più di una volta, anche in altri ambiti quali quello della tutela del risparmio, si è avuta l’impressione che la certezza del diritto possa essere sacrificata in nome di ritenute esigenze di salvataggio di banche non seguite da esemplari punizioni nei confronti dei responsabili di non corretta amministrazione.

Avv. Roberto Di Napoli

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