Usucapione di parti comuni.

Redazione 08/11/07
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Con la sentenza in commento la S.C. torna a pronunciarsi su alcuni principi ormai consolidati in tema di usucapione di beni comuni.
Ammessa la possibilità, in linea di principio, che il singolo comproprietario di un bene  possa invocare l’usucapione del cespite per l’intero, qualora lo abbia posseduto per il tempo richiesto dalla legge, il S. C. si sofferma sugli elementi che dalle risultanze istruttorie devono emergere affinché il giudice possa fondatamente ritenere provato l’intervenuto possesso ad usucapionem
Il caso
Tizio esponendo di aver goduto, in via esclusiva, per ben per 35 anni di un immobile cointestato ad altri congiunti e tanto per essere stato l’unico ad interessarsi dei lavori di manutenzione e di ogni incombenza inerente la gestione, la destinazione del cespite, la contribuzione agli oneri condominiali, vede accolta in primo grado la domanda di usucapione della residua parte del bene.
Sul gravame dei comproprietari, il giudice di appello riforma la sentenza ritenendo non raggiunta la prova dell’utilizzazione esclusiva dell’immobile e segnatamente della chiara volontà di escludere gli altri comproprietari dal godimento della cosa.
Contro la sentenza viene proposto ricorso per cassazione lamentando, il soccombente, l’erronea valutazione degli elementi probatori emersi dall’espletata istruttoria
Il Supremo Collegio rigetta il ricorso, ritenendo che il giudice di secondo grado abbia fatto buon governo dei principi più volte affermati in ordine agli elementi probatori al ricorrere dei quali deve ritenersi sussistere  il possesso ad usucapionem.
La sentenza, sul punto, così motiva:
“ai fini della prova, non è sufficiente che gli altri comproprietari si siano limitati ad astenersi dall’uso della cosa, né che l’istante abbia compiuto atti di gestione consentiti al singolo proprietario oppure atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazioni di spese per il miglior godimento della cosa comune ovvero per la sua manutenzione, non possono dar luogo ad una estensione del possesso, occorrendo, per contro, la prova che il comproprietario usucapente ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale, cioè, da evidenziare, al di fuori di una possibile altrui tolleranza, un’inequivoca volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo agli altri ogni atto di godimento o di gestione (ex pluri Cass. n. 9903 del 2006; Cass. n. 16841 del 2005; Cass. n. 5226 del 2002).”
Questioni
Con la sentenza in rassegna, dunque, la Suprema Corte conferma il consolidato orientamento secondo cui il comproprietario che abbia il godimento autonomo del bene comune, per poter efficacemente invocare l’usucapione dell’intero, deve fornire la prova di averlo utilizzato in maniera esclusiva, di aver cioè da un certo momento in poi esteso il possesso a tutto il bene, tanto da potersi ragionevolmente ritenere che sia stato il solo ad avere avuto una relazione con la cosa ( c.d. corpus) e il solo, tra i comproprietari, a comportarsi all’esterno come il proprietario esclusivo ( il c.d. animus possidendi)
Giova succintamente rammentare, in considerazione del carattere necessariamente breve della presente nota e tralasciando quindi l’ampia tematica dell’istituto in parola, che l’usucapione è un modo di acquisto originario della proprietà in forza del possesso continuato per un certo tempo ( art. 1158 c.c.)
Il fondamento dell’usucapione, risalente com’è noto alla tradizione romanistica,  riposa sull’esigenza di eliminare le situazioni di incertezza circa l’appartenenza dei beni e di garantire conseguentemente la certezza dei diritti sulle cose
Si può ben comprendere che l’insicurezza sulla reale titolarità dei beni può costituire un limite alla loro circolazione: chi intende acquistare un immobile, in mancanza di un titolo che attesti la proprietà in capo al venditore, può essere ciononostante  indotto alla compravendita se vi è prova che l’alienante ha posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo
Com’è noto il possesso è il potere di fatto sulla cosa corrispondente al contenuto del diritto di proprietà ( art. 1140 c.c) 
Per rimanere all’esame delle problematiche sottese alla pronuncia in rassegna ci limitiamo ad evidenziare che ai fini dell’usucapione, il possesso deve ricorrere nel caso concreto con i due elementi di cui tradizionalmente si connota: il corpus ( la relazione con il bene)  e l’animo di possedere
Ai fini dell’acquisto della proprietà nella sua interezza, dunque, il compossessore dovrà fornire la prova di aver esteso  il dominio anche alle quote a lui non appartenenti per il tempo richiesto dalla legge e di aver manifestato all’esterno i comportamenti tipici di chi eserciti un potere di signoria sulla cosa, estromettendo gli altri proprietari dal compossesso dell’immobile ( si pensi, per fare un esempio, alla concessione del bene a terzi a titolo oneroso, con riscossione a proprio nome dei canoni e godimento esclusivo dei frutti)
Nella sentenza in epigrafe, peraltro, i giudici di legittimità hanno avuto cura di precisare che dalle risultanze probatorie deve potersi escludere che il godimento autonomo del bene sia avvenuto come conseguenza dell’altrui tolleranza.
Per completezza si impone, allora, pur nello stretto ambito assegnato al presente commento, ricordare che ai sensi dell’art. 1144 c.c non può dirsi ricorrere una situazione di possesso in capo a chi compie atti di godimento della cosa con la tolleranza altrui
Tale situazione si verifica, secondo l’insegnamento della S.C., allorquando il proprietario della cosa acconsente- per ragioni amicizia,  di buon vicinato, di cortesia manifestata al destinatario- che altri utilizzino temporaneamente o saltuariamente la cosa propria.
In dottrina ( Sacco) peraltro si è precisato che la tolleranza di cui all’art. 1144 c.c. non necessariamente deve essere accompagnato da un sentimento di liberalità, potendo  ricorrere anche nel caso di chi si limita a subire l’intrusione di altri
Ciò che però deve necessariamente sussistere, secondo i giudici di legittimità, affinché possa dirsi che il potere di fatto sulla cosa è esercitato con la tolleranza altrui è la condiscendenza del dominus derivante dai rapporti sopra menzionati e dalla consapevolezza, parte del beneficiario, che il godimento può essere fatto cessare in qualsiasi momento con un atto di proibizione da parte del proprietario
È stato perciò escluso che ricorra una situazione di tolleranza in presenza di situazioni di godimento della cosa altrui che incidano in maniera rilevante sulla stessa come la costruzione e l’utilizzazione di opere stabili
L’argomento trattato nella sentenza in rassegna sollecita, in conclusione, brevissime considerazioni sulla problematica, non affrontata dal S.C., della usucapibilità, da parte del singolo partecipante al condominio, di taluni spazi comuni.
L’ orientamento assai risalente nel tempo che risolveva negativamente la questione, trattandosi di parti non divisibili, può dirsi oggi superato richiedendosi ai fini dell’usucapione, anche in questo caso, la prova da parte del singolo condomino di aver sottratto la cosa all’uso comune, possedendola animo domino e in modo esclusivo
 
D’Arienzo Giuseppe
Avvocato in Salerno
  

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