Universitas e potere

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Irnerio e la fondazione della Schola

             La prima”schola” universitaria di studi giuridici fu fondata da Irnerio a Bologna, non si deve pensare a una scuola pubblica bensì a una iniziativa privata in cui manca un qualsiasi accenno di burocrazia.

Irnerio raduna nella sua casa alcuni uditori interessati e stringe con loro una convenzione, nella quale afferma la propria disponibilità ad insegnare per un determinato tempo quanto va studiando, dietro un compenso pattuito, in tal modo si costituisce una “societae” in cui il professore è detto “dominus” e gli auditori “soci”. Per seguire le lezioni occorre solo essere in grado di comprendere il maestro, non esistendo programmi rigidamente predeterminati e titoli di studio da esibire, anche la durata del corso è arbitraria dipendendo dalla capacità dello scolaro e dall’opinione del maestro.

Il controllo sull’apprendimento è quotidiano e duplice, sia da parte dello studente stesso, che da quella del dominus. Probabilmente fin dall’inizio il corso di studi finiva con un colloquio pubblico, in modo da sancire pubblicamente l’acquisita capacità di leggere e interpretare i testi giuridici romani.

Nei decenni iniziali non sembrano esistere particolari problemi di rapporto tra la “schola”così congegnata, il “comune civitatis”, che inizia a darsi una stabile organizzazione, e le altre corporazioni della città. Anche i rapporti con le autorità ecclesiastiche si esauriscono in alcune formalità, anzi si sviluppa un’interessata cooperazione per lo sviluppo della vita cittadina che permette alle arti, nell’ambito economico, alle università, in quello giuridico, di creare e rafforzare il proprio potere.

Se successivamente il comune e la scuola universitaria si scontreranno, questo si dovrà al fatto che ciascuna delle due organizzazioni tenderà ad esaurire lo spazio interno della città. In altre parole tutte le parti tendono a ingrassare il vitello per poi sfruttarlo meglio in concorrenza tra loro.

La “Schola” e l’Impero

A Irnerio succedono quattro discepoli: Bulgaro, Martino, Iacopo e Ugo. Ormai siamo alla metà del XII secolo e le scuole bolognesi vanno acquistando una notevole fama, con il conseguente affluire di giovani provenienti dalle più svariate parti dell’Europa.

Anche l’Imperatore, nella dieta di Roncaglia, convoca i quattro dottori bolognesi e chiede loro quali “iura regalia” spetti alla corona imperiale. I dottori rispondono con un lungo elenco di diritti imperiali, al quale segue una costituzione imperiale promulgata nel 1158, detta “Habita”. Non solo per compensarli del lavoro, ma soprattutto per legare all’autorità imperiale il nuovo potere politico costituitosi all’interno delle città, ai maestri affida il compito di esercitare una piena giurisdizione sugli scolari, sottraendo così una enorme massa di giovani al potere vescovile e del comune.

Agli studenti riconosce almeno tre privilegi: la libera circolazione per tutte le terre dell’impero, l’esentazione da qualsiasi tributo nella città come nella campagna, l’impossibilità di essere soggetti passivi di rappresaglia.

Gli studenti bolognesi si riuniscono secondo le regioni di provenienza dando origine alle “nationes” che eleggono i propri capi detti “rectores”. Più “nationes” attraverso trattative e intese promuovono la nascita di una “universitas scholarium” di marcato stampo corporativo e governata anche essa da propri “rectores”.

Fra la fine del XII secolo e i primi decenni del XIII secolo l’intera “universitas scholarum iuristarum” appare composta da due universitas: l’universitas ultramontanorum (d’oltre Alpe) e l’universitas citramontanorum (delle regioni italiane), ciascuna con un suo rector fornito d’ampi poteri. Ottengono che la giurisdizione civile e criminale sugli studenti, concessa ai professori da Federico I, passi nelle loro mani: assumono anche il pieno controllo dei rapporti fra studenti e professori, patteggiando e concludendo per tutti contratti che impegnano i professori all’insegnamento.

Responsabili del pagamento del compenso pattuito riescono ad accollare l’onere economico al comune, restando responsabili solo della raccolta delle “collectae” (frazione del pagamento spettante a ciascuno studente) che dovranno versare all’erario comunale. Per la raccolta delle collectae si formano i primi elenchi dei nuovi arrivati detti matricolae.

I rapporti tra Comuni e Universitas nel XIII secolo

Nei primi decenni del XIII secolo l’iniziativa passa dai domini agli studenti, mentre le scuole continuano a prolificare e a crescere. Ben presto il comune inizia a premere sulle organizzazioni studentesche per condizionarne le scelte e, attraverso violente lotte, il controllo degli studi e dell’organizzazione didattica passa nelle mani del comune e delle corporazioni di giuristi dottori.

Le larvatamente burocratiche strutture universitarie, che si formano nel XIII secolo, sono funzionali per questi spostamenti di potere.

Alla fine del XII e all’inizio del XIII secolo il movimento universitario, che ha avuto origine a Bologna, tende ad allargarsi in altre città italiane e straniere.

Il Comune di Bologna reagisce a questa spinta centrifuga, giungendo a proibire sotto giuramento e gravi sanzioni pecuniarie il trasferimento dei docenti in altre città.

Nelle città dell’Italia centro – settentrionale si aprono molte università, ma solo Padova, Siena e Perugia acquistano e conservano una duratura fama.

Una città, affinché diventi un centro urbano attivo e propulsivo, necessita di possedere una efficiente comunità culturale e scolastica che la differenzi dal mondo signorile circostante, viene pertanto a crearsi un difficile equilibrio fra comune, universitas e corporazione dei dottori giuristi. Il comune ha coscienza dell’importanza della presenza nella città di scuole universitarie; ma, al contempo, teme l’ingovernabilità della massa di studenti stranieri e le relazioni extracittadine dei doctores.

I giuristi e gli studenti per aumentare la loro autonomia si avvalgono di una estesa rete di relazioni internazionali e cittadine. Intervengono sia ai processi pubblici, come consiglieri o estensori degli atti, sia in processi privati, come avvocati o consulenti legali. In tal modo si vanno legando a chi detiene il potere politico ed economico, costituendo una sorta di internazionalismo del loro mestiere perfettamente coincidente con l’universalità dello ius commune.

La posizione dei doctores

I doctores mantengono la loro indipendenza, risolvendosi il tentativo di legarli stabilmente alla città in pattuizioni private o in una norma, che li impegna a non lasciare la città sotto pena di una forte multa. Altrettanto fitti sono i rapporti con le corporazioni delle arti e dei mestieri, inoltre non è da sottovalutare l’appoggio ottenuto dalla propria famiglia o da quella nobile o potente di cui il giurista è ospite, se di umili natali o in terra straniera.

Anche le relazioni degli studenti con le altre città o borghi sono fitte, seppure non molto importanti, lo sono molto di più quelle degli studenti ecclesiastici con le autorità religiose. Non ultime per importanza sono le relazioni mantenute dalle scuole, rappresentate dai domini, con gli imperatori e pontefici, che fruttano, oltre la costituzione imperiale “Habita”, l’invio a Bologna della prima raccolta di leggi da parte di Innocenzo III e l’obbligo formulato da Onorio III di applicare le leggi della Chiesa nei tribunali con la collaborazione degli stessi doctores.

All’inizio del XIII secolo aumentano le pressioni del riorganizzato ordinamento comunale sui giuristi di scuola. In questa situazione si inserisce l’iniziativa di Onorio III, che ha l’immediato favore dei doctores, giungendo nel 1219 a imporre che sia l’arcidiacono della Chiesa bolognese a conferire solennemente il dottorato.

In questi decenni inizia a crearsi una embrionale struttura amministrativo-burocratica.

Federico II e l’ Universitas di Napoli

Nel 1224 Federico II fonda nella città di Napoli uno “studium generale”, nasce la prima università statale d’Europa. Non si conoscono che pochi nomi di professori, ma si sa di certo che tutti, avendo studiato a Bologna, portarono con sé la nuova cultura cittadina che aveva permesso la riscoperta del diritto romano e canonico in senso anti-signorile, lontano dal mondo feudale. Tutto questo non dispiace a  Federico II, che proprio in quegli anni vara un programma di duro controllo dei poteri feudali e della loro legittimità.

Nei primi tempi non si studiano nell’università napoletana le costituzioni regie, questo per due motivi. Il primo è che i doctores sono abituati a Bologna dove si studia solo il Corpus Iuris Civilis, strumento del loro potere corporativo, tentandone una diffusione anche nel meridione mirano ad accrescere il loro potere e prestigio. Il secondo è che il loro discorso, il quale mira a separare il “pubblico” dal “privato”, permette una legittimazione del potere sovrano congeniale alla visione federiciana del Regnum opposta al potere feudale.

Certo, nelle lezioni qualche volta accade che vengano citate normative regie e locali, ma sempre con intenti esemplificativi e con una visuale romanistica dei termini giuridici. Non si deve pensare a una tendenza praticistica dei doctores meridionali, che rimangono sempre dei teorici senza alcun interesse per l’interpretazione e la divulgazione delle normative locali. Svolgono anche attività pratiche nelle deboli strutture burocratiche del Regnum, senza essere influenzati nelle loro opere.

Malgrado la debolezza del Regnum, molti giuristi di più modeste aspirazioni entrano nell’amministrazione regia e se ne appagano. Una condotta più complessa conducono i doctores universitari i quali, mancando dell’appoggio di una forte corporazione, non disdegnano sia di servirsi dell’autorità regia, sia di intrattenere proficui rapporti economico-politici con potenti casati feudali.

Le corporazioni dei doctores nei rapporti con i Comuni e le Signorie

XIII e XIV secolo

Alla metà del XIII secolo si accentua una progressiva consolidazione delle aggregazioni  corporative dei giuristi dottori, mentre le organizzazioni studentesche perdono potere a vantaggio dei comuni o delle signorie.

Una corporazione di giuristi dottori si è andata formando a Bologna e nelle altre città universitarie, finché, verso la metà del XIII secolo, si costituisce in un “Collegio dei giuristi dottori” avente un ampio controllo sulla nomina dei “doctores legentes”, ossia degli insegnanti. Ma affinché il doctores possa aprire la sua scuola occorre il “gradimento” degli studenti e del comune o signoria, dalle cui casse vengono prelevate le somme necessarie per gli stipendi.

Con il venire meno dell’autorità studentesca il problema si riduce a un rapporto di forze fra Comune o Signoria e Collegio dei dottori giuristi. Ben presto possono insegnare solo coloro che, appartenendo al Collegio, ottengano un contratto con l’ordinamento cittadino.

Così a Bologna il “Collegio” si viene a dividere in vere e proprie fazioni, che tentano di assicurarsi il controllo di queste elezioni mediante legami parentali o di interessi con la Signoria. Dal canto suo la Signoria crea una apposita magistratura detta dei “Riformatori dello Studio”, con l’incarico di scegliere e contattare i docenti.

L’elezione dei professori diventa una questione di rapporti di forze politiche, come lo dimostra l’elezione di Taddeo Pepoli , signore di Bologna, a docente universitario. Inizia la decadenza delle Università italiane che diventerà palese nel ‘400.

Lo schema delle lezioni

Le strutture universitarie hanno raggiunto una certa stabilità e burocratizzazione. Le lezioni durano da quattro a sei anni: “de mano” e “de sero”.

Nella mattina avvengono le lezioni principali che vertono per i diritto civile: sul Digestum e sul Codex, mentre per il diritto canonico:  sul Decretum, le Decretales, il Liber Sextus e le Clemetinae. Nel pomeriggio avvengono le lezioni meno importanti.

Nella scuola non circolano molti libri, si studia insieme sulla copia posseduta dal maestro            a causa del proibitivo costo di un codice. Nel corso del XII e soprattutto del XIII secolo la produzione libraria si ravviva, migliorando sensibilmente la qualità del prodotto e la chiarezza della scrittura.

Si aprono botteghe di “stationarii”      nelle quali si prestano per un corrispettivo i libri di testo o li si commercia, mentre ordinazioni pervengono dalle più varie regioni d’Europa.

Lo schema della lezione consiste fino alla metà del XIV secolo nella lettura e nel commento dei testi legislativi. Fino all’ XI secolo le note e i testi sono pochi, diventando particolarmente fitte tra il XII e il XIV secolo, quando si diffonde l’abitudine che il professore prepari prima della lezione il testo legislativo già commentato.

La discussione sulle norme dello ius commune impegna tutti i presenti, ma è il maestro o uno dei suoi migliori allievi a trarre le conclusioni con brevi note ai margini del testo, dette “glossae”.

Alla fine di un corso annuale si presenta un reticolo di apparati e note (glossae), detto “apparatus”, intorno a una parte del Corpus Iuris Civilis. Può accadere che si formi un nuovo apparato a fianco di quello già esistente, in questo caso il più notevole e importante verrà detto “apparatus maior”, il meno ampio “apparatus minor”, ma più spesso avviene che l’appartenenza delle glosse all’uno o all’altro apparatus non sia distinguibile.

A partire dalla metà del XIII secolo gli apparati di glossae si cristallizzano e acquistano il valore di “apparati ordinari” per i testi romani e canonici. La lezione ha il fondamentale obiettivo di spiegare le norme per mezzo degli apparati esistenti, che vanno anch’essi studiati, le eventuali aggiunte agli apparati di glosse acquistano il nome di “additiones”. Vengono a formarsi pure degli elenchi di glossae contrastanti, che acquistano il nome di “glossae contrariae”.

Nel trecento acquista particolare importanza la “Magna Glossa” di Accursio , intorno alla quale si concentra l’attività didattica. La Magna Glossa viene idolatrata e sui testi originali giustinianei prevale l’autorità dei giuristi delle epoche passate.

La decadenza

             Dalla metà circa del XII secolo in poi, in un periodo dell’anno si dibattono nelle città universitarie specifiche questioni giuridiche originate da fatti della realtà. Vi è l’obbligo per il professore di organizzare almeno due dispute all’anno, ridotte nel secolo XIII a una.

Le dispute delle quaestiones avvengono fra il professore e la sua scolaresca o fra più doctores legentes e un vasto pubblico. E’ obbligatorio comunque redigere un verbale sulle quaestiones disputate.

Prima il maestro espone il problema, successivamente gli astanti svolgono le loro argomentazioni: prima i favorevoli a una soluzione, poi i contrari. Tutti i pareri vengono registrati, giungendo alla solutio affidata alla responsabilità del professore.

Lo studente presentato da un maestro deve discutere due puncta, assegnati da una commissione di dottori giuristi. Prima è esaminato dal presentatore che si accerta delle sue capacità, successivamente sostiene una discussione privata sui puncta con la commissione e viene licentiatus.

Per ottenere il doctoratus deve inoltre sostenere una terza discussione con la stessa commissione, ma in un luogo pubblico che di solito è costituito dalla cattedrale.

L’azione dei doctores nella pratica

            Gli studenti che conseguono la licentia o il livello massimo del doctoratus si riversano dalle università verso tutte le regioni italiane. Nel meridione entrano nell’amministrazione locale delle grosse città di Napoli e Palermo o in quella regia, se ritornano nel loro paese apportano alle consorterie di cui facevano parte, prima di partire, il prestigio del loro titolo dottorale.

Nell’Italia centro-settentrionale di disperdono nell’amministrazione comunale o signorile, solo pochi doctores restano su posizioni indipendenti, acquistando un enorme potere politico grazie alle conoscenze e alle parentele con potenti o a una grossa disponibilità economica. Pochissimi doctores rientrano nel mondo feudale da cui sono usciti, segno del valore “cittadino” della nuova cultura.

I doctores ricercano e ricevono incarichi speciali che non compromettono la loro indipendenza, anzi la rafforza e la alimenta. La stesura di programmi, di mozioni e di discorsi assembleari, permette al giurista doctores di esprimere il proprio pensiero politico e quello della corporazione di cui è membro.

Altre volte accade che venga commissionata dalla città la stesura di lettere ufficiali particolarmente importanti o che singoli doctores diventino membri di ambascerie del comune o della signoria, che in tal modo si avvalgono del prestigio e della sottigliezza dialettica dei giuristi doctores. Meno importanti sono le lettere private dei doctores riguardanti affari personali o cittadini, nelle quali si colgono le tematiche caratteristiche del tempo viste in chiave personalizzante.

Altri scritti riguardano la loro attività pratica, forense o consultiva, questa attività si svolge entro un rapporto di forze caratterizzato da una parte dall’indipendenza e dal potere delle corporazioni di doctores, dall’altro dall’ordinamento comunale.

Gli interventi diretti dei doctores avvengono in veste di avvocati e raramente di procuratori: mentre il processo assume le forme degli schemi ricavati dal diritto romano-canonico, gli scritti dottorali consentono una fruttuosa reciproca trasposizione di esperienze tra il foro e la scuola universitaria.

Gli interventi indiretti avvengono prevalentemente come consulenti dei giudici (consules de iustitia) che, per tutto il XII secolo, sono solitamente uomini politici. I giudici si rivolgono ai giuristi privati per risolvere la controversia che viene successivamente avvallata dal loro potere legittimo.

All’inizio del XIII secolo il comune assume dei tecnici del diritto, detti assessores, ma nonostante questo i giudici continuano a rivolgersi per un consilium  a giuristi privati, ai quali anzi delegano l’intero processo. Contemporaneamente si ha un progressivo passaggio dall’anonimato alla paternità ben definita, questo per permettere l’individuazione del centro di potere di cui il doctores è espressione.

Alla metà del XIII secolo le richieste di consilia si fanno più frequenti interessando papi e regnanti, feudatari e mercanti. Le risposte possono avvenire anche in forma collettiva, in tal caso si potrà notare che il collegio che ha fornito il consilium è formato da allievi e parenti del doctores, segno dell’enorme potere politico ed economico rappresentato dai consilia.

Nel Trecento invale l’uso di raccogliere i consilia dati dai giuristi, ma già sul finire del Quattrocento le raccolte diventano rare e introvabili, mentre i consilia stessi entrano in crisi per il rafforzarsi del potere centrale e il conseguente diminuire dello spazio politico concesso alle corporazioni di giuristi. Del resto la riprova è data dalla scarsa circolazione delle raccolte di consilia in Sicilia e nel Regnum, dove prevale l’aspetto pratico della giurisprudenza ed è palese l’incorporazione del giurista nella burocrazia centralizzata.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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