Articolo di Tiziano Tessaro tratto da www.lagazzettadeglientilocali.it
1. Premessa introduttiva
Non sembra revocabile in dubbio che una delle più rilevanti novità introdotte dal decreto-legge 13.8.2011, n. 138 sia quella inerente la tutela dei terzi nei confronti della segnalazione certificata di inizio attività; la disposizione (art. 6, comma 1) aggiunge il comma 6-ter all’articolo 19 della legge 241/1990 che cosi recita «6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3,del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104».
2. I termini del problema
È nota l’importanza e la corposità del dibattito sin qui svoltosi sulla natura giuridica della Dia, e ora della Scia, nella dottrina e nella giurisprudenza soprattutto dei tribunali amministrativi, che erano approdate a due conclusioni di segno opposto: si sosteneva, da un lato, che la dichiarazione di inizio attività fosse un mero atto di iniziativa privata che consentiva solo un intervento di tipo inibitorio, in difetto dei presupposti, della pubblica amministrazione; dall’altro, che la dichiarazione di inizio attività, per effetto del decorso del tempo assegnato all’amministrazione per esercitare il potere inibitorio, desse luogo sostanzialmente a una fattispecie, da taluni definita anche complessa o a formazione successiva, configurabile come titolo abilitativo tacito. Le due tesi, che si presentano variamente articolate al loro interno, comportano rilevanti conseguenze sul piano delle tutele, sia del dichiarante nei confronti dell’amministrazione, sia dei terzi contrari all’intervento edilizio, ammettendosi, in via alternativa: l’immediata impugnativa della dichiarazione di parte; l’impugnazione del silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza e quindi il mancato esercizio del potere inibitorio; l’impugnazione del provvedimento tacito che si forma per effetto combinato della dichiarazione del privato e del mancato esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione. Invero, secondo la prima di queste tesi il fondamento giuridico dell’attività privata si radica direttamente nella sfera normativa e non nell’intervento dell’amministrazione. In altri termini, diversamente dal modello autorizzatorio, nell’art. 19 in esame il precetto legislativo produce effetti direttamente sul piano della qualificazione delle posizioni soggettive, attribuendo al privato una posizione caratterizzata da originarietà (proprio in quanto essa trova la propria fonte direttamente nella legge), a fronte della quale difetta un potere amministrativo in grado di incidere in senso costitutivo-accrescitivo. Ed è proprio in ragione dei caratteri di originarietà ed autonomia della posizione soggettiva del privato, e dell’assenza di qualsivoglia potere autorizzatorio, che alla stessa deve essere riconosciuta natura e consistenza di diritto soggettivo.
All’opposto vi è la tesi – maggioritaria – che vede nella comunicazione del privato un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale che può, conseguentemente, essere impugnata dal terzo nell’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni (1). L’indirizzo interpretativo seguito dalla sezione VI del Consiglio di Stato (dec. n. 1550/2007) ha, infatti, superato il prevalente e precedente indirizzo giurisprudenziale che optava per la natura privatistica della comunicazione del privato e che, pertanto, escludeva che il terzo potesse seguire la strada dell’impugnazione innanzi al TAR della dichiarazione (2). Pertanto, nel caso della Dia, con il decorso del termine si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della Dia o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di Dia.
In tal senso un esplicito riconoscimento della natura provvedimentale della Dia era stato fornito dal legislatore, il quale aveva modificato l’art. 19, della legge 241/1990 ‑ con l’art. 3 del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, prevedendo in relazione alla Dia il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Da qui la considerazione per cui la Dia non è strumento di liberalizzazione dell’attività ma rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia. Va notato anche che aderendo a questa impostazione nel caso della Dia, con il decorso del termine, si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale;per contro la liberalizzazione di determinate attività economiche presuppone che non sia necessaria la formazione di un titolo abilitativo.
3. La modifica introdotta dal d.l.78/2010
Peraltro dopo la modifica introdotta all’art. 19 dalla novella del d.l. 78/2010, la delicata questione dell’impugnabilità da parte del terzo e della natura giuridica della Scia era stata nuovamente riproposta: se invero l’attività può essere iniziata dalla data della presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente, appare assai probabile che si debba negare la riconducibilità della Scia alla fattispecie del provvedimento tacito, dovendosi inquadrare la stessa preferibilmente nell’ambito delle attività c.d. liberalizzate.
4. Le modifiche introdotte dal d.l. 138/2011
Ed è questa la soluzione cui aderisce il legislatore con tutta evidenza: la esplicita previsione secondo cui “Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104” non fa che confermare il fatto che i poteri amministrativi prima attribuiti ed esercitati in sede regolatoria, si collocano ora in quella della vigilanza e del controllo.
Coerentemente con la sopra riportata conclusione, la norma inoltre rigetta la tesi della natura provvedimentale della Scia – che pure trovava esplicito riferimento nella permanenza della disposizione dell’art. 19 novellato di poteri di autotutela in capo all’amministrazione, ai sensi degli artt. 21-quinquies e nonies, sulla Scia alla stessa stregua di un atto amministrativo – sottolineando come la Scia e la Dia non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili.
5. I risvolti processuali
5.1. La tutela dei terzi con il rito del silenzio
Il che vale quanto meno ipotizzare, pur dinanzi al giudice amministrativo, un’azione di accertamento con la quale il privato controinteressato contesti al dichiarante la realizzabilità dell’intervento o, quanto meno, la sua assentibilità mediante la procedura della Scia.
Secondo questa ricostruzione, che affonda le sue radici in un orientamento giurisprudenziale (3) peraltro minoritario, il terzo che ritenga di essere leso da una denuncia di inizio di attività è legittimato ad agire avverso il silenzio tenuto dall’amministrazione, sulla scorta di un giudizio di cognizione tendente all’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti fissati dalla legge per la libera intrapresa della attività, e quindi della illegittimità del silenzio medesimo.
A tal fine, nei confronti dell’amministrazione che abbia omesso di esercitare il suo potere inibitorio entro il termine decadenziale fissato dalla legge, il terzo può esercitare un’azione di accertamento circa la legittimità di tale comportamento (con ogni conseguenza sulle opere già eseguite, in caso di accoglimento del ricorso), a cui è intimamente connessa un’azione risarcitoria, ove ne ricorrano i presupposti, ed è strumentalmente collegata un’ulteriore azione cautelare per assicurare interinalmente, in presenza di un pregiudizio grave ed irreparabile, gli effetti della decisione sul ricorso. L’orientamento giurisprudenziale in questione –che ha trovato la sua consacrazione nella esplicita enunciazione del legislatore d’estate secondo cui Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 – ritiene applicabile quindi il procedimento previsto per i “ricorsi avverso il silenzio dell’amministrazione” anche alle controversie riguardanti il silenzio serbato dall’amministrazione sulla denuncia di inizio attività (4). Il privato danneggiato dall’attività contra legem di altro privato dovrebbe dunque sollecitare la p.a. all’esercizio dei poteri repressivi e proporre ricorso avverso l’eventuale persistente inerzia ovvero il rifiuto (5). In tal modo l’azione prevista dall’art. 31, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 assume vieppiù i connotati di vera e propria azione di adempimento nei confronti di una inerzia della p.a. ed i contorni di un rimedio generale azionabile tutte le volte in cui il silenzio assuma (per la previsione espressa di una norma dell’ordinamento, ovvero per la sussistenza di un preciso obbligo per la p.a. di provvedere) valore significativo.
Il soggetto terzo, essendo titolare di una situazione soggettiva di controinteresse rispetto al soggetto che si giovi della c.d. Scia, onde tutelarsi in sede giurisdizionale deve quindi previamente diffidare l’amministrazione a che proceda a verifica della stessa Scia e, all’esito, esperire le azioni a difesa dei propri interessi o diritti (6). In base a questa ricostruzione infatti la regola della previa necessaria impugnazione dell’atto amministrativo, preclusiva per il privato della richiesta della autotutela, implica l’esistenza di un provvedimento della p.a., che nella denuncia di attività non sussiste; onde deve riconoscersi la pretesa del privato pregiudicato dall’attività realizzata a seguito della Scia di ottenere una risposta dalla p.a. in ordine alla mancata attivazione dei suoi poteri repressivi ex art. 21, comma 2, legge 241/1990.
Nel caso in cui non sussistano le condizioni che legittimavano l’inizio di una attività “libera” sulla base della Scia e si tratti di attività per la quale sia richiesto il preventivo rilascio di un atto, l’amministrazione ha quindi l’obbligo di rispondere sulla istanza del terzo legittimato in ordine alla mancata attivazione dei suoi poteri repressivi ex art. 21, comma 2, legge 241/1990.
5.2. Una differente ricostruzione (ripudiata dal legislatore)
Non va peraltro dimenticato che in passato un differente orientamento giurisprudenziale, pur ribadendo la natura privata della denunzia di inizio attività, aveva criticato la ricostruzione anzidetta, sottolineando come il comportamento silente della p.a. in relazione ad una denuncia di inizio di attività non è giuridicamente qualificabile come “inadempimento” e, come tale, non è impugnabile da parte di un terzo secondo il rito speciale di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104: in altri termini, il rito speciale è preordinato ad imporre all’amministrazione che rimanga inerte l’esercizio della potestà amministrativa di cui è titolare, e non a soddisfare in via diretta la pretesa sostanziale del ricorrente.
Il silenzio serbato dall’amministrazione, non può quindi oggettivamente assumere il valore di un implicito provvedimento di controllo positivo, sottintendendo una mera attività di verifica effettuata ab externo, assolutamente priva di qualsivoglia effetto provvedimentale di tipo costitutivo. Del resto, secondo il parametro legale, i soli poteri di cui l’amministrazione è titolare, nel termine considerato, sono quelli inibitori, che si estinguono allo scadere del termine stesso. Non è pertanto giuridicamente ipotizzabile una pronuncia che imponga all’amministrazione l’esercizio di una specifica potestà di cui non è più titolare. Invero, in base a questa ricostruzione (7), deve essere esclusa la possibilità di un’impugnazione diretta della denuncia di inizio attività non avendo essa natura di provvedimento amministrativo (8), ritenendo ammissibile anche un’azione di mero accertamento che prescinde dalla tecnica di tutela tipica del rito del silenzio (9).
Ad avviso di questo orientamento, al riguardo doveva essere affermata l’inapplicabilità alla fattispecie del rito speciale del silenzio, con conseguente inammissibilità di un ricorso eventualmente proposto in tal senso dal terzo a tutela degli interessi che assuma lesi da un’attività intrapresa a seguito di una denuncia di inizio attività, dovendo al contrario ricercare la tutela anzidetta necessariamente nell’ambito dei mezzi e delle azioni che l’ordinamento offre nei confronti del “comportamento” della pubblica amministrazione: tanto più ora che il nuovo art. 19 devolve tali controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Di conseguenza la tutela dell’interesse legittimo del terzo nei confronti dell’amministrazione che abbia omesso di esercitare il suo potere inibitorio entro il termine decadenziale fissato dalla legge, si risolveva in un’azione di accertamento circa la legittimità di tale comportamento (con ogni conseguenza sulle opere già eseguite, in caso di accoglimento del ricorso), a cui era intimamente connessa un’azione risarcitoria, ove ne ricorrano i presupposti, ed era strumentalmente collegata un’ulteriore azione cautelare per assicurare interinalmente, in presenza di un pregiudizio grave ed irreparabile, gli effetti della decisione sul ricorso (10).
La diversa opzione del legislatore sbarra peraltro per tabulas ad ogni diversa ricostruzione e strada e riconduce la tutela nell’ambito, in caso di inerzia, dell’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
6. Conclusioni
Conclusivamente, la dichiarazione si sostanzia in un atto soggettivamente ed oggettivamente privato, che non legittima di per sé l’intrapresa delle preannunciate attività, né sostituisce giuridicamente alcun titolo, non potendo quindi costituire oggetto di specifica impugnativa in sede giurisdizionale amministrativa. Il fondamento giuridico dell’attività privata, infatti, si radica direttamente nella sfera normativa e non nell’intervento dell’amministrazione. In altri termini, diversamente dal modello autorizzatorio, nell’art. 19 in esame il precetto legislativo produce effetti direttamente sul piano della qualificazione delle posizioni soggettive, attribuendo al privato una posizione caratterizzata da originarietà (proprio in quanto essa trova la propria fonte direttamente nella legge), a fronte della quale difetta un potere amministrativo in grado di incidere in senso costitutivo-accrescitivo. Ed è proprio in ragione dei caratteri di originarietà ed autonomia della posizione soggettiva del privato, e dell’assenza di qualsivoglia potere autorizzatorio, che alla stessa deve essere riconosciuta natura e consistenza di diritto soggettivo.
Nel modello dell’art. 19, pertanto, la legge da una parte conferisce al privato la titolarità di un diritto soggettivo che lo legittima ad intraprendere autonomamente l’attività senza l’intermediazione di titoli ulteriori, mentre dall’altra attribuisce all’amministrazione un potere di verifica circa la sussistenza dei prescritti requisiti e presupposti normativi (da esercitare a seguito della presentazione della dichiarazione), che la legittima ad intervenire, eventualmente, in chiave repressiva o secondo i casi inibitoria.
Così il diritto del privato non si risolve unicamente in facoltà attive, ma viene viceversa conformato dalla legge in modo“relazionale”, nel senso che il suo esercizio è subordinato ad un “contatto necessario” con la pubblica amministrazione, da attivare attraverso la presentazione della dichiarazione di inizio attività.
La stessa denominazione di Segnalazione certificata di inizio attività sembra tradire ora questa sua natura di atto privato che trova fondamento unicamente nel dettato normativo e che prescinde da qualsiasi intervento della p.a. Conclusivamente, è da ritenere che la riforma dell’art. 19 abbia prodotto un effetto “liberalizzante” –esplicitamente dichiarato dalla norma in commento- nel senso di consentire l’intrapresa dell’attività senza l’intermediazione di qualsivoglia potere di tipo autorizzatorio-costitutivo, senza con ciò sottrarre l’attività stessa dal regime amministrativo, e dal conseguente necessario contatto con la p.a. cui compete un potere di verifica circa la sussistenza dei requisiti e dei presupposti normativi, ed eventualmente sanzionatorio o secondo i casi inibitorio.
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(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 172/2003; TAR Piemonte n. 1885/2006
(2) Ex multis, cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3916/2005; Cons. Stato, sez. V, n. 3586/2006; Cons. Stato, sez. V, n. 948/2007.
(3) TAR Lombardia, Brescia, sentenza 1.6.2001, n. 397.
(4) I primi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali fin qui emersi per la verità hanno interpretato restrittivamente la disposizione in parola, essendo stato affermato in qualche caso (v. in particolare Consiglio di Stato, commissione speciale – parere 17 gennaio 2001, n. 1242), che la norma de quo sarebbe applicabile solo nei casi di silenzio-rifiuto (o silenzio-inadempimento) e non anche nelle ipotesi di silenzio-rigetto o di silenzio-accoglimento (e cioè in tutti i casi di silenzio significativo).
(5) Nello stesso senso si vedano anche TAR Lombardia, Brescia, 13.4.2002, n. 686, in www.giustamm.it, 2002, n. 4 e TAR Campania, Napoli, sez. I, 6.12.2001, n. 5272, in www.giustamm.it 2001, n. 12.
(6) TAR Campania, Napoli, sez. I, 6.12.2001, n. 5272.
(7) TAR Liguria, sez. II, 22.1.2003, cit. e TAR Abruzzo, Pescara, 23.1.2003, cit.
(8) TAR Abruzzo, L’Aquila, 14.2.1995, n. 30, in “Tar”, 1995, I, p. 1803.
(9) TAR Puglia, Bari, sez. II, 13.11.2002, n. 4950, in www.giustamm.it, 2003, n. 1.
(10) TAR Liguria, sez. II., 22.1.2003, cit. Cfr. anche Travi in Silenzio assenso, denuncia di inizio di attività e tutela dei terzi controinteressati, in “Dir. proc. amm.”, 1/2002, p. 16, che sostiene che nel caso di denuncia di inizio di attività, la tutela del terzo nei confronti dell’amministrazione che ha omesso di esercitare il suo potere inibitorio entro il termine perentorio si risolve in una tutela risarcitoria.
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