Una diversa interpretazione della sospensione del processo penale per irreperibilità

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Trascorso oltre un anno dalla sua entrata in vigore, la legge 28 aprile 2014, n.67 che ha modificato e sostituito gli articoli 420-quater e 420-quinquies del codice di procedura penale in tema di irreperibilità e assenza dell’imputato al processo, viene ancora ritenuta dai più illustri commentatori quale fonte di incertezze interpretative e comunque priva di concreta funzionalità e operatività, attesa la carenza di collegamenti e comprensibilità che permea il testo varato dal Parlamento.

Autorevole dottrina[1], ha recentemente tentato la via di quella che ha, giustamente, definito “interpretazione funzionale” del novellato istituto della sospensione del processo per irreperibilità dell’imputato ex artt.420-quater e quinquies Cpp, ritenendo che le formalità previste dalle richiamate norme codicistiche siano state arbitrariamente interpretate da una parte del diritto vivente alla luce delle modulazioni previste dall’art.70 del Cpp in tema di accertamenti sulla capacità dell’imputato, frustrando in tal modo non solo la possibilità di emissione dei relativi provvedimenti direttamente in udienza, ma anche e soprattutto realizzando condizioni non ossequiose ai principi costituzionali e convenzionali.

Secondo quanto stabilito dal nuovo articolo 420-quater Cpp, se l’imputato non è presente al processo, fuori dai casi di cui agli artt.420-bis (imputato che ha espressamente rinunciato a presenziare al processo) e 420-ter (imputato non comparso per legittimo impedimento, caso fortuito o forza maggiore), il giudice deve rinvia l’udienza e dispone che l’avviso sia notificato personalmente all’imputato ad opera della polizia giudiziaria. Se detta forma di notificazione non è possibile (perché l’imputato non viene reperito a seguito di opportune ricerche della P.g.), il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo (fatta salva eventuale sentenza di proscioglimento ex art.129 Cpp) nei confronti dell’imputato assente, e si potranno eventualmente acquisire, su richiesta di parte, solamente le prove non rinviabili.

L’art.420-quinquies prevede poi che alla scadenza di un anno dalla pronuncia dell’ordinanza di sospensione, ovvero anche prima se ne ravvisi specifica esigenza, il giudice deve disporre nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso e provvedere analogamente ad ogni successiva scadenza annuale, qualora il procedimento non riprenda il suo corso.

Nel caso in cui le ricerche dell’imputato abbiano sortito effetto positivo, ovvero l’imputato abbia nominato un difensore di fiducia per il giudizio, oppure vi sia prova certa che l’imputato sia a conoscenza del procedimento a suo carico, il giudice procedente revocherà l’ordinanza di sospensione e fisserà una nuova udienza.

La lettera, tutt’altro che limpida, della legge, ha portato forte turbamento tra i commentatori, abili nel rilevare problemi interprativi e operativi di non poco conto, atteso che all’indomani dall’entrata in vigore della normativa in commento, si è prontamente affermata una “interpretazione formalistica” del dettato legislativo, fondata su un “ragionamento analogico” rispetto all’art.70 del Cpp, dal quale si è inteso dedurre che i relativi provvedimenti debbano essere emessi fuori udienza, tenuto conto che la stessa legge introduttiva n.67 del 2014 nulla precisa a tal riguardo.

Una simile esegesi formalistica del dato letterale, pone tuttavia seri problemi interpretativi laddove si consideri, ad esempio, la mera indicazione dell’avviso dell’udienza, senza potersi comprendere se il riferimento riguardi l’udienza passata, ovvero quella rinviata dal giudice.

Le norme in parola inoltre, non specificano affatto se la polizia giudiziaria debba effettuare successivi avvisi, né come debba comportarsi lo stesso giudice, andando con ciò ad escludere proprio quello che la nuova disciplina dovrebbe perseguire: garantire all’imputato la conoscenza indubbia dell’udienza e dell’addebito contestato.

Appare quindi evidente che l’orientamento interpretativo letterale e formalistico del dettato normativo si è riallacciato a mere presunzioni di conoscenza, prive di indubbia certezza e “non aderenti ai principi costituzionali e convenzionali connessi alle esigenze di funzionalità ed efficienza del processo”.

Ciò che la citata autorevole dottrina propone, dunque, è una diversa opera esegetica di tipo funzionale, evidenziando la necessità di “abbandonare la miopia delle presunzioni civilistiche dei fatti sintomatici per imboccare la strada maestra che consiste nell’assicurare la conoscenza della data certa dell’udienza e dell’addebito… atteso che la nuova legge presenta una forte carenza di collegamenti e non risulta adeguata ai principi della giurisprudenza di Strasburgo”.

Come interpretare dunque in maniera funzionale la nuova disciplina dell’irreperibilità dell’imputato?

La soluzione proposta si articola in alcuni passaggi logici che presuppongono, in ogni caso, la pronuncia di tutti i provvedimenti in udienza. Vediamoli riassuntivamente:

a) Effettuato il tentativo di notifica ex art.420-quater nel corso dell’udienza di rinvio, il giudice dovrà eventualmente dare atto a verbale che la P.G. non ha potuto notificare l’avviso all’imputato a mani proprie;

b) Il giudice dovrà quindi ordinare alla P.G. di immettere il nome dell’imputato e l’avviso della nuova udienza fissata all’anno successivo, negli archivi CED del Ministero dell’Interno;

c) La P.G., qualora riesca a reperire l’imputato, potrà condurlo direttamente in ufficio per la notifica dell’avviso;

d) In tal caso il giudice verrà informato dalla P.G. nel corso della nuova udienza e revocherà la sospensione del processo, che proseguirà alla presenza dell’imputato comparso, ovvero assente consapevole;

e) Nel caso in cui l’imputato non venga invece rintracciato, l’udienza verrà nuovamente rinviata di un anno, ordinando ancora l’inserimento del relativo avviso nel CED, al fine di consentire così alla P.G., di anno in anno, la pronta notifica all’imputato eventualmente reperito della data di nuova udienza;

Tutti i provvedimenti, come si può facilmente notare, vengono emessi in udienza e l’istituto dell’irreperibilità viene applicato in maniera funzionale e autonoma, non utilizzando le farraginose norme di cui all’art.70.

I provvedimenti pronunciati in udienza si mostrano in tal modo rispettosi del dettato costituzionale della ragionevole durata del processo e vengono altresì rispettati i principi della Corte europea.

Finché l’imputato sarà irreperibile il processo resterà sospeso, potranno essere comunque assunte le prove non rinviabili e la parte civile potrà coltivare le proprie pretese dinnanzi al giudice civile.

La disciplina appena indicata appare maggiormente semplice e chiara, tanto da fare auspicare un intervento della Corte di Cassazione, teso ad “illuminare questo impervio ma non impraticabile percorso”.

Laddove la proposta interpretazione funzionale non fosse invece accolta, “si rischierebbe di aver creato una disciplina che tutela il non reperibile di oggi, ma che lascia privo di tutela il reperito di domani, al quale si faranno le notifiche tradizionali, contribuendo ad aggravare ulteriormente quei rigurgiti inquisitori che, nella materia in esame, continuano a scappare dalla penna del legislatore”.

 


[1] Cfr.: in Dir.pen.proc.8/2015, a cura di Paolo Tonini;  F.Alonzi (in Dir.proc.pen., P.Gaeta e G.Spangher); R.Bricchetti-L.Pistorelli; D.Chinnici; A.Ciavola; A.De Caro; F.Focardi; S.Quattrocolo; P.Silvestri; P.Tonini.C.Conti; G.Ubertis e AA.VV.

Avv. Buzzoni Alessandro

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