Un nuovo approccio al diritto e alla professione legale: il “Comprehensive Law Movement”

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A partire dall’ultimo decennio del ventesimo secolo, negli Stati Uniti è andato affiorando un nuovo, vasto movimento fondato su un approccio al diritto e alla professione legale globale, integrato, umanistico, interdisciplinare, riparativo e spesso terapeutico[1].
 
Questo movimento, definito da Susan Daicoff, avvocato e docente statunitense, “Comprehensive Law Movement”, è il risultato della sintesi di alcune nuove discipline che hanno rapidamente guadagnato visibilità, consenso e popolarità e che rappresentano emergenti, nuove o alternative forme di esercizio della professione legale, di risoluzione dei conflitti e di giustizia penale.
 
Le discipline più importanti che possono essere fatte confluire nel Movimento, definite “vectors”, sono le seguenti[2].
 
– Collaborative law
 
Si tratta di un metodo utilizzato soprattutto nei casi di separazione e divorzio. Come può leggersi nel sito del Collaborative Law Institute of Minnesota[3], in queste ipotesi i soggetti coinvolti si trovano nella condizione di dover elaborare un modo per risolvere i loro contrasti su tutte le questioni rilevanti.
 
In siffatto contesto, il collaborative law è configurato per minimizzare il conflitto, lavorando allo stesso tempo per il conseguimento dell’obiettivo di cui sopra.
 
Le parti e i loro avvocati si impegnano dunque ad effettuare, in buona fede, un tentativo di raggiungere una soluzione accettabile da tutti senza dover instaurare una lite innanzi a un giudice. Lavorando insieme, si sforzano di giungere a un accordo che soddisfi gli interessi non solo giuridici e finanziari ma anche emotivi di ciascuno.
 
Preliminarmente, le parti e i loro avvocati sottoscrivono un accordo in base al quale si impegnano a scambiarsi tutte le informazioni finanziarie pertinenti; a mantenere l’assoluta riservatezza riguardo tutto ciò che accadrà durante il procedimento, così che ciascun partecipante possa sentirsi libero di esprimere le proprie necessità e preoccupazioni; a tentare di raggiungere un accordo scritto su tutti i punti rilevanti al di fuori di un procedimento giudiziale contenzioso, autorizzando nel contempo gli avvocati ad utilizzare poi l’accordo eventualmente sottoscritto di fronte al giudice per ottenere il provvedimento di separazione o divorzio.
 
Gli avvocati si impegnano inoltre a rinunciare all’incarico nei confronti del proprio cliente nel caso non si riesca a siglare l’accordo. In tal modo, l’interesse dell’avvocato e del cliente vengono ad allinearsi perfettamente.
 
– Creative problem solving
 
Come può leggersi nel sito del Center for Creative Problem Solving della California Western School of Law[4], i media sono soliti ritrarre gli avvocati come “combattenti” (fighter). Sebbene questo ruolo sia qualche volta il più appropriato, i clienti e la società sempre più oggi richiedono d’altra parte agli avvocati di accostarsi in maniera più creativa ai problemi, senza rimanere confinati esclusivamente in quel ruolo. Altre dimensioni possibili per l’avvocato sono, per esempio, quelle del problem solver e del designer.
 
Scopo dell’approccio ora in esame è dunque quello di educare studenti e professionisti a metodi per prevenire i problemi, quando possibile, e per risolvere creativamente tali problemi quando essi siano già sorti[5].
 
Per far ciò, ci si focalizza sia sull’uso più creativo del tradizionale ragionamento analitico sia sull’uso di metodi di risoluzione dei problemi non convenzionali per il diritto, ripresi, esemplificativamente, dal mondo degli affari, dalla psicologia, dall’economia, dalle neuroscienze e dalla sociologia.
 
– Holistic justice
 
Come rilevato dalla stessa International Alliance of Holistic Lawyers[6], è difficile dare una definizione di holistic law (“diritto olistico”).
 
In ogni caso, è possibile individuare alcuni tratti ed obiettivi comuni negli avvocati che seguono un tale approccio: promuovere un sereno esercizio della professione e principi giuridici olistici; favorire la compassione, la riconciliazione, il perdono e la guarigione; sostenere il bisogno di procedimenti giudiziari più umani; contribuire alla costruzione della pace ad ogni livello; saper trarre gioia dalla professione; ascoltare consapevolmente e profondamente in modo da ottenere una completa comprensione; riconoscere l’opportunità nel conflitto; onorare e rispettare pienamente la dignità e l’integrità di ogni individuo.
 
– Preventive law
 
Questo approccio cerca di evitare o prevenire la lite[7].
 
Si chiede quali misure possano essere approntate per prevenire future controversie o futuri problemi legali. Consente agli avvocati di intervenire nelle vite dei clienti prima dell’insorgere dei problemi; al cliente possono essere così risparmiati gli effetti traumatizzanti di un contenzioso.
 
Il preventive law enfatizza il ruolo della relazione avvocato-cliente, delle relazioni in generale e della pianificazione.
 
Esso prende inoltre in considerazione il fatto che le relazioni interpersonali, come quella tra marito e moglie, o tra datore di lavoro e lavoratore, potrebbero perdurare anche dopo le difficoltà contingenti, e dunque che una “soluzione” la quale comporti oggi una compromissione irreparabile del rapporto potrebbe condurre in futuro ad altri problemi legali, rivelandosi pertanto una non-soluzione.
 
Viene perciò dato il massimo risalto a un buono e duraturo rapporto tra avvocato e cliente ed a una comunicazione aperta.
 
E’ probabilmente il più risalente dei vettori del Movimento, essendo emerso negli anni cinquanta del secolo scorso.
 
Il preventive law è stato recentemente integrato con il therapeutic jurisprudence (“diritto psicoterapeutico”), di cui si dirà. Per praticare con efficacia questo approccio combinato (“therapeutically-oriented preventive law”), all’avvocato sono richieste eccellenti abilità comunicative e sensibilità interpersonale, così come anche una certa familiarità con la psicologia.
 
Problem solving courts
 
Negli Stati Uniti, principalmente sulla base dell’interesse dimostrato dai giudici per il diritto psicoterapeutico, sono state create un certo numero di “problem solving” courts specializzate, fondate sui principi di quella disciplina[8].
 
L’approccio di questi tribunali al giudizio è a lungo termine, relazionale, interdisciplinare e centrato sulla guarigione.
 
Esempi di simili tribunali in ambito americano sono le corti per la salute mentale, la violenza domestica, il trattamento della tossicodipendenza, le quali si focalizzano sul trattamento e la risoluzione dei problemi interpersonali e psicologici che stanno dietro la questione legale, piuttosto che sulla punizione dell’imputato o l’attribuzione di responsabilità.
 
Procedural justice
 
Questo approccio suggerisce che la lite in sé non è necessariamente quel che le persone vogliono dalla legge; piuttosto esse vogliono avere l’opportunità di raccontare la loro storia, di essere trattate con rispetto dalle autorità e che la decisione eventualmente presa nei loro confronti da un terzo sia loro spiegata in termini comprensibili[9].
 
Non si tratta, di per sé, di un modo di praticare la professione o amministrare la giustizia, ma le sue intuizioni hanno, sottolinea Daicoff, rilevanti conseguenze per gli avvocati, i loro clienti e i magistrati.
 
Restorative justice
 
Negli ultimi anni l’approccio della giustizia riparativa ha destato interesse, oltre che a livello internazionale e comunitario, anche in Italia.
 
La giustizia riparativa può essere definita, in prima approssimazione, come una forma di risposta al reato che coinvolge il reo e, direttamente o indirettamente, la comunità e/o la vittima nella ricerca di possibili soluzioni agli effetti dell’illecito e nell’impegno fattivo per la riparazione delle sue conseguenze[10].
 
Il fenomeno criminoso viene letto, in tale ottica, non solo come trasgressione di una norma e lesione (o messa in pericolo) di un bene giuridico, ma come evento che provoca la rottura di aspettative e legami sociali simbolicamente condivisi, che richiede l’adoperarsi per la ricomposizione del conflitto e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo.
 
La Risoluzione sui principi base sull’uso dei programmi di giustizia riparativa in ambito penale dell’Economic and Social Council delle Nazioni Unite (2000/14 del 27/07/2000)[11] definisce “restorative process” quel procedimento in cui “the victim, the offender and/or any other individuals or community members affected by a crime actively participate together in the resolution of matters arising from the crime, often with the help of a fair and impartial third party. Examples of restorative process include mediation, conferencing and sentencing circles”.
 
Tra le forme/azioni di giustizia riparativa si evidenzia quale forma più compiuta la mediazione. Allo stato, nell’ordinamento italiano, la mediazione penale ha trovato applicazione già da alcuni decenni in ambito minorile con riferimento agli artt. 9, 27 e 28 del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), mentre, più di recente, è stata prevista espressamente dall’art. 29 D.L.vo 28 agosto 2000 n. 274, in relazione ai reati procedibili a querela di parte di competenza del giudice di pace[12].
 
– Therapeutic jurisprudence
 
Per therapeutic jurisprudence, “diritto psicoterapeutico”, si intende lo studio del ruolo del diritto come agente terapeutico[13].
 
Tale disciplina si focalizza sull’impatto che il diritto ha sulla vita emotiva e sul benessere psicologico, aree sinora oggetto di scarsa attenzione, preoccupandosi del lato umano, emozionale e psicologico del diritto e della giustizia.
 
Fondamentalmente, il diritto psicoterapeutico è una prospettiva che considera la legge una forza sociale generatrice di comportamenti e conseguenze. Qualche volta queste conseguenze ricadono nell’ambito di ciò che viene definito terapeutico; altre volte, nell’ambito di ciò che invece è antiterapeutico.
 
Questo approccio richiede che si sia consapevoli di ciò e che, pertanto, si cerchi di capire se le leggi possano essere scritte e applicate in accordo a un punto di vista maggiormente terapeutico.
 
Il diritto psicoterapeutico vuole essere quindi una maniera di guardare al diritto in un modo più ricco, portando all’attenzione alcuni di quegli aspetti che precedentemente rischiavano spesso di passare inosservati[14].
 
– Transformative mediation
 
Sebbene la “mediazione trasformativa” abbia origini che risalgono agli anni settanta del secolo scorso, il termine e l’approccio sono venuti alla ribalta solo a seguito della pubblicazione, nel 1994, del libro di Robert Baruch Bush e Joe Folger “The Promise of Mediation”[15].
 
Questo libro contrappone due differenti approcci alla mediazione: problem solving e trasformativo[16].
 
Lo scopo del primo è quello di raggiungere un accordo reciprocamente accettabile che ponga fine alla lite contingente. In esso gioca spesso un ruolo determinante il mediatore.
 
L’approccio trasformativo alla mediazione, invece, non ricerca la risoluzione del problema immediato, ma piuttosto persegue il “potenziamento” e il “reciproco riconoscimento” delle parti coinvolte.
 
Potenziamento (empowerment), secondo Bush e Folger, significa rendere le parti capaci di definire da sé le questioni che le interessano e di cercare da sé le relative soluzioni. Riconoscimento (recognition) significa invece mettere le parti in grado di diventare consapevoli del punto di vista dell’altro e di capirlo; di comprendere come l’altro concepisce il problema e perché ricerchi una data soluzione (senza che ciò, si sottolinea, comporti l’essere d’accordo con quel punto di vista).
 
Spesso, empowerment e recognition  preparano la strada per una soluzione reciprocamente accettabile, ma questo, per la mediazione trasformativa, è solo un effetto secondario.
 
Lo scopo principale della mediazione trasformativa rimane infatti quello di promuovere il potenziamento e il reciproco riconoscimento delle parti, mettendole così in grado di affrontare il loro problema corrente, così come i problemi successivi, con una visione più forte e al contempo più aperta. Nella mediazione trasformativa, la responsabilità in ordine ai risultati ricade direttamente sulle parti.
 
Secondo Susan Daicoff, i “vettori” sopra brevemente accennati presentano due caratteristiche comuni, che permettono appunto di unificarli in un unico movimento[17].
 
La prima caratteristica comune è data dal fatto che tutti i vettori espressamente riconoscono e valorizzano il potenziale del diritto come agente di cambiamento individuale e interpersonale positivo e cercano di raggiungere un risultato positivo – quale guarigione, integrità, armonia, benessere – come parte della risoluzione di qualunque questione legale.
 
Innanzitutto, dunque, i vettori del Movimento ricercano soluzioni giuridiche che migliorino la situazione delle persone coinvolte nella questione legale, o quantomeno non la peggiorino. Esplicitamente o implicitamente, le varie discipline cercano tutte di ottimizzare il benessere psicologico ed emotivo degli individui coinvolti.
 
Tutti i vettori cercano perciò di risolvere il caso in un modo che preservi, migliori le relazioni interpersonali degli individui, il loro benessere psicologico, le opportunità di crescita personale, la loro salute mentale, la loro soddisfazione circa il procedimento seguito e i risultati raggiunti.
 
I vettori intuitivamente accolgono la ben conosciuta scoperta delle scienze sociali secondo cui relazioni positive e buona comunicazione con la famiglia, gli amici, i colleghi, i pari e la comunità conducono a un migliore benessere e funzionamento psicologico e, di conseguenza, spesso operano per preservare, ripristinare o creare buone relazioni interpersonali.
 
In quest’ottica, a causa della devastazione emotiva che può conseguire dalle tradizionali controversie di tipo avversariale, molti dei vettori altresì esplicitamente perseguono soluzioni non contenziose ai problemi legali.
 
Inoltre, alcuni vettori sono esplicitamente terapeutici per gli individui coinvolti e alcuni solo indirettamente terapeutici. Molti utilizzano metodi collaborativi per risolvere le questioni legali; in ogni caso, alcuni esplicitamente riconoscono che anche la lite, posizioni rigide e la coercizione possano esse stesse essere, in determinate situazioni, terapeutiche e si avvalgono perciò anche di tali ultime vie per perseguire i loro obiettivi.
 
La seconda caratteristica unificante dei vettori del Movimento è data dal fatto che, spiega ancora Susan Daicoff, ciascun vettore cerca di integrare e valorizzare all’interno del diritto anche interessi extragiuridici, fattori che vanno oltre i diritti e i doveri strettamente intesi.
 
Tali fattori, definiti da Pauline H. Tesler, co-fondatrice del collaborative law, “rights plus” includono: bisogni, risorse, obiettivi, moralità, valori, credenze, questioni psicologiche, benessere personale, potenziamento e sviluppo dell’uomo, relazioni interpersonali, benessere della comunità.
 
L’approccio tradizionale, e dominante, che si trova nella professione, afferma Daicoff, solitamente sottovaluta, se non ignora, questi profili. Non dà importanza alle conseguenze emozionali dei procedimenti seguiti e dei loro risultati nell’ambito della risoluzione di questioni legali o a fattori diversi dai diritti.
 
Se è vero che un buon avvocato “tradizionale” può, implicitamente o inconsciamente, prendere simili interessi in considerazione nello svolgimento dell’incarico ricevuto dal cliente, il Comprehensive Law Movement differisce dall’approccio tradizionale alla professione in quanto esplicitamente valorizza gli aspetti interpersonali, emozionali, psicologici e relazionali. Esso esalta l’importanza di siffatti fattori nel diritto e cerca di preparare gli avvocati a trattare efficacemente con essi.
 
La natura rivoluzionaria del Movimento, sottolinea Daicoff, diviene così evidente.
 
Al di là delle due caratteristiche comuni sopra brevemente illustrate, avverte ancora Daicoff, i vettori del Movimento si differenziano d’altra parte sotto vari profili.
 
Ulteriori qualità sono condivise infatti solo da alcuni dei vettori, come in parte accennato, ma non da tutti. Tra esse:
          approcci collaborativi o non contenziosi alla risoluzione delle liti
          centralità della spiritualità e della fede
          espliciti obiettivi terapeutici
          approcci interdisciplinari
          uguale potere condiviso anziché strutture gerarchiche di potere
          centralità delle relazioni interpersonali
          centralità del procedimento piuttosto che dei risultati.
 
In ogni caso, sono le caratteristiche unificanti a conferire al Movimento la sua grande forza d’impatto, e non le differenze.
 
I vettori del Movimento spaziano dal massimo grado di teoricità alla massima concretezza.
 
Secondo David Wexler, uno dei fondatori del movimento del diritto psicoterapeutico, riporta Daicoff, i vettori più teorici – therapeutic jurisprudence, preventive law, procedural justice, creative problem solving, holistic justice – possono essere pensati come lenti attraverso cui un avvocato può vedere uno specifico caso. Le lenti aiutano il professionista a valutare sia il problema che le sue potenziali soluzioni, dicendogli come il caso potrebbe essere affrontato.
 
I vettori più concreti – collaborative law, transformative mediation, restorative justice e problem solving courts –, invece, forniscono al professionista specifici metodi per mezzo dei quali risolvere il caso, sia in materia di diritto privato che in materia di diritto penale.
 
E’ opinione di Susan Daicoff che il diritto inteso come professione terapeutica abbia un grande potenziale trasformativo. Può essere un mezzo per cominciare ad affrontare la “crisi tripartita” della professione legale negli Stati Uniti, dovuta alla perdita di professionalità, alla bassa stima di cui godono gli avvocati nell’opinione pubblica e all’elevato livello di stress di cui soffrono i professionisti. Può rendere il sistema legale un luogo più stimolante, umano e ospitale per i clienti, gli avvocati, i giudici e, in definitiva, la società nel suo complesso[18].
 
Accanto al Comprehensive Law Movement, si vanno affermando anche altri movimenti più o meno ad esso correlati, come quello che sostiene la pratica della meditazione di consapevolezza (mindfulness meditation) quale mezzo per migliorare – anche – il rendimento professionale in senso lato[19].
 
Essere più consapevoli e capaci di monitorare il proprio stato mentale, le proprie emozioni e reazioni può essere infatti d’ausilio nel lavoro quotidiano dell’avvocato, in modo particolare se il professionista pratica il comprehensive law, il quale enfatizza, come si è visto, l’abilità di identificare e trattare le emozioni e gli stati mentali altrui.
 
Sebbene sinora riferito specificamente all’esperienza statunitense, il Comprehensive Law Movement presenta profili di sicuro interesse e spunti di riflessione anche per il giurista italiano impegnato a far fronte alle nuove sfide del diritto e della professione forense. Alcuni dei suoi vettori sono d’altronde, come si è avuto in parte occasione di accennare, già oggi oggetto di studio e applicazione anche nel nostro Paese[20].
 
 
© 2006 Giuseppe Briganti – www.iusreporter.it
 
 
 
 


[1] S. Daicoff, Law as a Healing Profession: The Comprehensive Law Movement, in Pepperdine Dispute Resolution Law Journal, Fall 2005, disponibile anche nel sito dell’UCLA School of Law, www.law.ucla.edu, all’indirizzo www.law.ucla.edu/docs/daicoff__susan_-_comprehensive_law_movement.pdf.
[2] Salvo diversa indicazione, le varie discipline vengono illustrate con riferimento, essenzialmente, all’ambito statunitense.
[5] Combinandosi così con il preventive law di cui infra.
[7] S. Daicoff, op. cit., pp. 17 ss.; v. anche www.preventivelawyer.org.
[8] S. Daicoff, op. cit., pp. 37 ss.; v. anche il sito www.courtinnovation.org.
[9] S. Daicoff, op. cit., pp. 19 ss.; v. anche M. Maiese, Procedural Justice, in Beyond Intractability, www.beyondintractability.com, www.beyondintractability.org/essay/procedural_justice/.
[10] Sul punto, v. il sito del Ministero della Giustizia, www.giustizia.it, alla pagina www.giustizia.it/ministero/struttura/dipartimenti/dirgen/giusrip1.htm; v. anche il portale www.restorativejustice.org, secondo cui per giustizia riparativa si intende “a theory of justice that emphasizes repairing the harm caused or revealed by criminal behaviour. It is best accomplished through cooperative processes that include all stakeholders”.
[11] Disponibile nel sito del Centre for Justice & Reconciliation, www.pficjr.org, all’indirizzo www.pficjr.org/programs/un/
[12] Nell’ambito dell’esecuzione della pena dei condannati adulti particolare rilievo assumono le norme di cui all’art. 47, comma 7, L. 26 luglio 1975 n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e all’art. 27, comma 1, D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà).
[13] Sul punto, v. D. Wexler, Therapeutic Jurisprudence: An Overview, all’indirizzo www.law.arizona.edu/depts/upr-intj, e autori ivi citati.
[14] V. www.law.arizona.edu/depts/upr-intj, sito dell’International Network on Therapeutic Jurisprudence.
[15] R.A. Baruch Bush e J.P. Folger, The Promise of Mediation: Responding to Conflict Through Empowerment and Recognition, Jossey-Bass Publishers, San Francisco, 1994.
[16] V. www.colorado.edu/conflict/transform, sezione dedicata alla mediazione trasformativa a cura di H. Burgess e G. Burgess nel sito del Conflict Research Consortium dell’Università del Colorado, http://conflict.colorado.edu; v. anche il sito web dell’Institute for the Study of Conflict Transformation raggiungibile all’indirizzo www.transformativemediation.org
[17] S. Daicoff, op. cit., pp. 3 ss.
[18] S. Daicoff, op. cit., p. 4.
[19] V. le pagine web della Initiative on Mindfulness in Law and Dispute Resolution at the University of Missouri-Columbia School of Law all’indirizzo http://law.missouri.edu/csdr/programs/mindfulness, a cura di L.L. Riskin.
[20] Per aggiornamenti e approfondimenti sull’argomento, si invita a consultare la sezione dell’Osservatorio di www.iusreporter.it dedicata al Comprehensive Law Movement, raggiungibile all’indirizzo www.iusreporter.it/lawmovement.htm.

Briganti Giuseppe

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