Un equilibrio necessario: norme, principi e valori costituzionali

Marzo Raffaele 04/04/13
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Per le prospettive di realizzazione umana e sociale che suscita la Costituzione ha conquistato un discreto numero di osservatori in tutti i campi delle scienze sociali e non solo. A tale osservazione ha fatto seguito una insistente evocazione di “maggiori diritti” e “più giustizia” alla quale, però, non ha corrisposto la necessaria consapevolezza sull’importanza dei valori costituzionali.

Prima di addentrarsi nella discussione, occorre esplicitare alcune complessità di carattere generale insite nel tema proposto. Queste riguardano sia all’ampiezza di taluni richiami ed influenze inerenti ad altre discipline (ad es. la sociologia, la filosofia, etc.) sia la conseguente difficoltà di isolare un piano di indagine propriamente tecnico-giuridico.

Il contributo in lettura, senza pretese di completezza, si prefigge di stimolare l’intendimento dei valori costituzionali, nella convinzione che questo è un punto di osservazione, tra altrettanti esistenti, necessario per capire come e in quale direzione la società italiana è proiettata.

  1. Costituzione e valori. Aspetti teorici.

Assorbita com’è oggi l’odierna società dalla pressante crisi economica in atto è facilmente intuibile che porsi il problema relativo all’esistenza o meno di alcuni valori nel testo costituzionale rappresenta uno studio a cui i giuristi preferiscono sottrarsi.

Tuttavia la scienza giuridica ha un grave compito, cui verrebbe meno, ove indirizzasse la discussione ad una lettura arida del testo costituzionale, sottraendosi ad indagare le categorie concettuali nel loro poliedricità.

Nell’ esperienza culturale del modo moderno e occidentale, «il termine “costituzione” evoca idee ed esperienze notoriamente molto diverse» (G. Florida, Costituzione: il nome e le cose, in Analisi e diritto, a cura di R. Guastini e P. Comanducci, Giappichelli, Torino,1994, p.131 e ss.) ma questo non rappresenta di per sé un ostacolo insormontabile per giungere ad intendimenti comuni.

Molte Costituzioni, ad es. quella francese o quella italiana, riproducono indubbiamente un manifesto politico. In tale accezione la Costituzione è intesa come un documento fondamentale, pieno di promesse, speranza, obiettivi e principi.

Nel preambolo della Costituzione americana (1787) si legge: «noi, popolo degli Stati Uniti, al fine di perfezionare la nostra Unione, garantire la giustizia, assicurare la tranquillità all’interno, provvedere alla difesa comune, promuovere il benessere generale, salvaguardare per noi e per i nostri posteri il bene della libertà, poniamo in essere questa Costituzione quale ordinamento per gli Stati uniti d’America». Quanto trascritto è un chiaro esempio di come solitamente nelle Costituzioni trovano posto principi di realizzazione comuni che “costituiscono” le fondamenta sulle qual issare una nuova e grande costruzione.

A seguito delle note e dolorose vicende storiche, l’ Italia ha sentito il bisogno e l’esigenza di dotarsi di un documento in grado di rappresentare “la casa degli italiani” e l’orizzonte a cui guardare per poter realizzare una stabile democratizza.

La Costituzione è ancora oggi, nonostante alcuni ostracismi di cui si dirà più avanti, un contenitore di idee, di principi e valori.

Gli osservatori storici sottolineano il compromesso tra le differenti forze politiche, che ha permesso all’Italia di dotarsi di un documento valido per tutti. Tuttavia sul piano propriamente giuridico, deve con pari intensità ammettersi che la Costituzione è anche fonte del diritto. Essa rappresenta il vertice della scala gerarchica delle fonti del diritto italiano, da cui derivano diritti e doveri, attribuzioni di potere e le regole per esercitare quest’ultimo.

Da questo carattere normativo discende l’obbligo per qualsiasi testo di legge di aderire nella forma e nella sostanza alla Costituzione.

Quanto appena detto non è per nulla scontato poiché la legge pur se corretta nella forma ed apparentemente giusta, può porsi in contrasto con testo costituzionale. Nel corso della storia, ispirandosi al bene supremo della giustizia, si sono consumate sanguinose rivoluzioni, sommosse, genocidi e crimini umanitari. E’ innegabile ammettere quanto «male è stato provocato sotto il vessillo della giustizia» (G. Colombo, Sulle regole, Feltrinelli, 2008, p. 24).

Il problema fondamentale allora è stabilire se la Costituzione sia essa stessa una “legge”, se entri a far parte del “sistema”, se le sue norme siano a tutti gli effetti norme dell’ordinamento positivo, e non semplici direttive rivolte al legislatore.

La risposta non è affatto scontata. In Italia, ad esempio, che la Costituzione e la legislazione non siano “sfere separate”, per cui le disposizioni costituzionali non avrebbero modo di entrare direttamente a far parte dell’ordinamento giuridico, è una convinzione che in origine ha fatto fatica ad imporsi (R. Bin, La costituzione tra testo e applicazione, in Ars interpretandi, Annuario di ermeneutica giuridica, n.14/2009, pp.111-129).

A sciogliere il nodo è stata la prima sentenza della Corte Costituzionale sentenziando che la Costituzione «è pienamente atto normativo che si affianca al resto del “materiale” da interpretare» e mantiene una potenziale prevalenza in caso di accertato e ineliminabile conflitto tra norme (cfr. Corte Cost. sent. n.1/1956).

Non è azzardato ritenere che i valori enunciati dalla Costituzione Italiana sono valori che entrano nel tessuto sociale attraverso la corrispondenza che le leggi devono -rectius dovrebbero- avere con riferimento a tale Legge Fondamentale.

I valori accomunano tutti perché la Costituzione intesa come “prima legge”, entra nella vita di tutti attraverso l’ossequio, sostanziale e formale, di tutti i provvedimenti legislativi.

L’obiezione più eclatante sorta a tal proposito (si ricordi la vicenda dell’ex Ministro della Funzione Pubblica) può essere riassunta con queste parole: «stabilire che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla poiché la parte valoriale della Costituzione ignora temi e concetti fondamentali quali il mercato, al concorrenza e il merito (R. Brunetta, in Cambiamo la carta a partire dall’art. 1, Quotidiano ‘Libero’, 2 gennaio 2010).

Solo ragionando in modo domestico e riduttivo del testo Costituzionale può concordarsi con l’interpretazione appena accennata con in trascritto virgolettato. Infatti è noto che la Costituzione contiene un elenco veramente impressionante di valori dal quale si può, con facilità, percepire tanto «il rilievo quantitativo» (con specifico riferimento al valore del lavoro v. M. Luciani, Radici e conseguenze della scelta costituzionale di fondare la repubblica democratica sul lavoro, Conferenza univ. Di Padova, 12 marzo 2012, pubbl. in www.unipd.it/scuolacostituzionale/documenti, p. 17 e ss.) quanto quello qualitativo.

 

2. La centralità dei valori nella Costituzione Italiana.

La Costituzione Italiana rappresenta senza dubbio lo strumento mediante il quale osservare le linee portanti non solo dell’apparato statale, ma anche e soprattutto dell’evoluzione dell’intera società.

Tuttavia, nel corso del tempo alcuni luoghi comuni hanno prodotto pericolose ed irragionevoli derive, fino a perpetrare una strisciante delegittimazione della Carta Costituzionale e dei suoi valori.

Alcuni valori come ad es. la precedenza della persona umana rispetto allo Stato, i diritti di libertà, i diritti sociali e la limitazione del potere statale continuano ad avere, a distanza di più di mezzo secolo dalla loro formale statuizione, stringente attualità.

Molte delle norme previste dalla Costituzione secondo la condivisibile interpretazione di Federico Del Giudice, assurgono a «valori supremi» (F. Del Giudice, La Costituzione esplicata, (a cura di), ed. Simone, Napoli, 2012, p.13) e, come tali, saldamente radicati nel tessuto sociale.

Basta leggere pochi frammenti di articoli costituzionali per meglio intendere: «L’Italia è una Repubblica democratica…» (art. 1); «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…» (art. 2); «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge…» (art. 3); ed ancora, «La Repubblica è una e indivisibile…» (art. 5); «L’Italia ripudia la guerra…» (art. 11).

Spesso si giunge a ritenere che la Costituzione esprima dei valori solo ed esclusivamente nella prima parte dedicata ai principi fondamentali.

Indubbiamente gli articoli contenuti nella prima parte recano criteri indefettibili. Tuttavia la lettura minuziosa della Costituzione permettere di cogliere altri ed importanti valori presenti in altre sue parti.

Si pensi alla previsione che sancisce «La libertà personale è involabile» (art. 13); ed ancora alla previsione contenuta nel titolo II che esprime il valore della famiglia «come società naturale fondata sul matrimonio». Ed ancora, «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero» (art. 21); «La difesa è diritto involabile in ogni stato e grado del procedimento» (art. 24, co. 2); «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento..» (art. 33).

Tanto è errata la convinzione secondo la quale la Costituzione Italiana esprimerebbe valori solo all’interno dei principi fondamentali (artt. 1-11) che alcune attuali vicende legislative sono, in tal senso, emblematiche. Il dibattito e la successiva riforma del principio del giusto processo, ancor prima delle modifiche apportate al ‘sistema giustizia’, ha richiesto un intervento sull’art. 111 Cost.. Tale circostanza da contezza, ove mai vi fosse ulteriore bisogno, che i valori sono equamente distribuiti in ogni articolo della Carta Costituzionale.

E’ legittimo allora affermare che i 139 art. della Cost. sono tutti, suppur in modo diverso, portatori sani di un’eredità valoriale, punto di riferimento dal quale far partire una rinnovata coscienza civile.

Oggi la società italiana è complessa, frammentata, policentrica, a stratificazioni multiple. Accettare e prendere coscienza di tale complessità, significa evitare di ripiegare su facili ed inutili semplificazioni anche con riferimento ai valori.

Il confine rappresentato dai valori che il Testo Costituzionale enuncia è frutto di alcuni accadimenti storici, sociali, politici, etici, religiosi e giuridici. Per tutti un’es.: l’importanza della persona umana, principio che ispira l’intera Costituzione Italiana, è il nucleo/valore fondamentale, condiviso dai Costituenti cattolici e laici, redatto per invertire l’ordine posto dal regime totalitario. Dall’importanza della persona umana, discendono “a cascata” le altre norme della Costituzione che disegnano un ordinamento libero e democratico. Ove, per assurdo, si volesse ritenere superato il valore della persona umana e della sua dignità in quanto essere preesistente alla Stato, verrebbe meno non un qualsiasi valore ma il fondamento della nostra civiltà democratica. Così anche il diritto alla vita diviene un valore parimenti irrinunciabile; tant’è che continuare ad agitarlo per difendere pretestuose posizioni politiche svilisce «la garanzia accordata al bene fondamentale della vita, che è il primo dei diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’art. 2» (cfr. Corte Cost. sent. n. 223/1996).

Come si è cercato di dimostrare, i valori sono irrinunciabili proprio in ragione della loro perpetuità. A ragione di quanto appena asserito basti pensare che il Giudice delle Leggi ha definito i principi fondamentali come norme che «caratterizzano in profondità l’ordinamento costituzionale».

L’ordinamento democratico –sempre secondo la lettura della Corte Costituzionale- «verrebbe letteralmente meno trasformandosi in un ordinamento diverso nel caso in cui detti principi non fossero osservati e fatti oggetto di specifica tutela poiché i valori elencati assumono in tal modo una valenza giuridica di tale “essenzialità”, da poter affermare che l’organizzazione dei pubblici poteri sia prevalentemente funzionale al loro svolgimento ed alla loro attuazione» (Corte Cost., I diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, Relazione predisposta in occasione dell’incontro con la delegazione della Corte Costituzionale con il Tribunale costituzionale della Polonia, 30-31 marzo 2006, in www.cortecostituzionale.it/documenti/relazioni).

In ultimo, la nota sent. n. 1146/1988, ancora oggi pietra miliare per importanti contributi scientifici, indica la Costituzione Italiana come contenitore di «alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale nemmeno da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali…principi che appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana ed hanno, quindi, una valenza superiore» (anche in Corte Cost. sent. 366/1991).

 

  1. Costituzione e contraddizioni (ovvero valori in conflitto).

Il riferimento ad ipotesi di conflitto è evidentemente una provocazione forte ma necessaria.

Precedentemente si è fatto riferimento senza alcun distinguo a principi e valori. In realtà una netta separazione tra il concetto di principio da un lato e valore dall’altro è praticabile solo in funzione descrittiva. Perciò non pare aberrante lo scambio terminologico precedentemente utilizzato posto che alcuna dottrina ha assimilato indistintamente i principi e i valori a dei «concetti giuridici che danno senso sostanziale al sistema giuridico» (in Longo, I valori costituzionali come categoria dogmatica. Problemi e ipotesi, Esi, Napoli, 2007, p. 360 e ss.).

La Costituzione assume a se valori e principi che permangono contestualmente solo laddove vi sia uno stato di quiete. I valori costituzionali primeggiano congiuntamente solo in astratto, poiché non vi sono ragioni che impediscano di affermare un valore unitamente ad un altro. In tal modo i valori coesistono, astrattamente, tutti nella loro essenzialità.

Nella realtà, però, accade qualcosa di più complesso. In concreto un valore costituzionale può entrare in conflitto con un altro valore di pari rango. Qui il dilemma: quale valore scegliere? Esiste una gerarchia di valori? Quale? Ed ancora si può scegliere tra valori? Come?

A tali interrogativi la produzione giuridica propone caute riflessioni non del tutto univoche. Si è ben conci che il diritto inteso come tecnica di soluzione dei conflitti, impone al giurista «un atteggiamento aperto al dubbio e alla possibilità che non vi siano risposte esatte» (così R. Bin, Come si studia il diritto, il Mulino, Bologna, 2008, p. 31).

Spesso l’uomo comune appare disorientato quando il valore della vita si scontra con quello della libertà; quando il valore della salute sfida il bene del lavoro, quando l’anelito di libertà e giustizia stride con il valore della pacifica convivenza e sicurezza. Predisporre una gerarchia dei valori contemplati nella Costituzione è operazione particolarmente complessa. Per alcuni, impossibile.

Il conflitto, inevitabilmente, sorge allorquando si pone come necessaria una scelta. “Scegliere” costringe al sacrificio di una parte della realtà (attualizzando, il caso Ilva di Taranto è emblematico: tutela del lavoro o della salute?).

Scegliere un valore rispetto ad un altro rappresenta un’operazione delicata in quanto presuppone la riduzione di un valore importante al cospetto di un altro egualmente importante. Quando la scelta ha ad oggetto i valori previsti dalle norme supreme, quali sono quelle della Costituzione, allora le contraddizioni appaiono, in prima analisi, enigmatiche.

Su questo punto i giuristi accademici ancora discutono circa l’esistenza o meno di una chiara gerarchia dei valori.

Più limitatamente, e giustamente, si discorrere di un ordinare variabile dei valori fondamentali in ragione del caso concreto. Il concetto di ordine a cui si fa riferimento, è di gran lunga differente da qualsiasi ordine che ogni individuo egoisticamente è pronto a redigere, prediligendo solo quei valori che soddisfano propri bisogni contingenti.

Parlare di ordine, almeno nell’impostazione giuridica, non genera alcuna preventiva guerra dei (e sui) valori.

L’ordine in parola infatti è quello che si desume dalla lettura della Costituzione.

Più semplicemente potrebbe ammettersi che tutti i valori che la Costituzione enuclea sono parimenti necessari ed importanti sicché in ipotesi di conflitto necessitano di un “bilanciamento” in relazione al caso concreto (in tal senso si v. la lucida analisi di A. Morrone, Bilanciamento (Giustizia costituzionale), Enciclopedia del diritto, Annali, Milano, 2008, vol. II, pp. 185 e ss.).

Così chiarita l’importanza e l’attualità dei valori contenuti nella Carta Costituzionale, alcun pregio può avere l’obiezione di chi si ostina a parlare di vuote formule che frenano il progresso.

 

 

  1. L’attuale processo di dissoluzione della Costituzione e dei suoi valori.

Il sospetto è che in tempi di crisi, come quello attuale, si miri a realizzare degli interventi che solo formalmente sembrano non incidere sulla Costituzione ma che invece finiscono per far mutare, poco a poco, l’approccio costituzionalmente orientato dell’agire riformatore.

La presunta inutilità (e/o inattualità) della Carta Costituzionale rappresenta la continua quanto sterile obiezione sollevata dai detrattori dell’ultima ora. Costoro, presi come sono dall’inutile ricerca di “altri” valori supremi, si spingono al punto da mettere in dubbio la portata normativa-prescrittiva della Carta del 48’.

La società posta-moderna -per dirla alla Bauman- oltre che a percepire la Costituzione come un ammasso di norme inutili e stantie, ha finanche smarrito il senso della sua portata di valori. A tal riguardo Giovanni Pitruzzella ha parlato di un «processo di dissoluzione dell’idea stessa di costituzione» (G. Pitruzzella, La necessità del dialogo costituzionale, in La Carta di Tutti. Cattolicesimo italiano e riforme costituzionali (1948-2006), Ave, Roma, 2006, p. 155) che ormai sembra aver perpetrato i cittadini e, cosa ancor più grave, i soggetti chiamati da questi ultimi a ruoli rappresentativi all’interno delle istituzioni.

Oggi è evidente che qualsiasi testo legislativo che non abbia ad oggetto momentanei ed impellenti bisogni è percepito come lontano, inutile, e vessatorio.

Onestà intellettuale impone ammettere che a tale circostanza ha contribuito l’opera di alcuni giudici i quali hanno in alcuni casi intrapreso tortuose vie interpretative distaccandosi ruvidamente dalle norme costituzionali. Ad es. il noto caso dell’equiparazione tra unioni omosessuali e matrimonio ha costretto la Corte Costituzionale a ribadire nuovamente «l’ impossibilità di superare il precetto costituzionale dell’art. 29 per via ermeneutica perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una prassi interpretativa» (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 138/2010, p.9; Corte Cassazione, sentenza n. 4184, p. 3.1).

Fortunatamente i Giudici Costituzionali hanno specificato che nessuno né tanto meno un giudice può spingersi fino al punto da incidere consistentemente sul nucleo fondamentale delle norme costituzionali (si permesso un richiamo a R. Marzo,
La famiglia «società naturale fondata sul matrimonio»: tra diritto costituzionale, “diritto creativo” e trend europeo, in “Filodiritto.it”).

L’annosa questione che vede parte dell’odierna società reclamare l’esistenza di “nuovi diritti” in ragione dei cambiamenti avvenuti nelle relazioni umane, sta producendo una terrificante decomposizione delle norme e dei valori Costituzionali considerati cavilli ostili allo sviluppo della società.

Il cittadino comune percepisce la veemenza e l’idolatria con cui l’economia e la finanza sovrastano qualsiasi posizione politica. Oggi il denaro, i profitti e le banche hanno totalmente annientato l’importanza che dovrebbe avere la persona umana.

E’ certamente errato negare l’urgenza di alcuni interventi necessari per arginare la deriva dei conti pubblici, la razionalizzazione della spesa e il taglio agli sprechi. Per far ciò però occorre operare oculatamente evitando di invertire l’annoso rapporto tra Costituzione ed economia; evitando cioè di minare lo spirito e l’intendimento delle norme Costituzionali per le quali l’essere umano precede di gran lunga l’economia.

Tra molte incertezze non può che richiamarsi l’idea del «costituzionalismo come limitazione anche al potere economico» (A. Algostino, In tema di riforme Costituzionali. Brevi note sulla proposta di riduzione del numero dei parlamentari, in riv. A.I.C., n. 2/2012).

Il paradosso del Paese Italia costantemente ripiegato su crisi economiche, politiche e sociali rende evidente l’utilizzo spropositato di interventi emergenziali, i quali dovrebbero essere l’eccezione e non la regola.

La Costituzione, i suoi valori, il suo spirito, i suoi articoli, il suo modo di organizzare l’architettura istituzionale dell’Italia esprimono una sacralità tale da non poter essere profanata nemmeno da quella tanto acclamata importanza dei mercati.

Tale preoccupante delegittimazione amplifica ulteriormente il dubbio secondo il quale «i difetti di una Costituzione inattuata si curano passando ad una diversa Costituzione» (F. P. Casavola, Per discutere della Costituzione, in “Coscienza”, n.11/1994, p. 4 e ss.).

Sarebbe necessario ribadire con forza che la materia costituzionale è del tutto indisponibile in assenza di un chiaro e rinnovato processo costituente che accomuni tutte le forze politiche.

Nessuno immagina o pensa alla Costituzione come un testo immobile o immutabile. Ciò sarebbe, senz’altro, anacronistico. La migliore interpretazione dei costituzionalisti discorre della Costituzione quale «prodotto della storia, non già un reperto della storia» (R. Bin, Storia e Costituzione: quale realtà? in www.forumcostituzionale.it). Ammettere l’importanza della Costituzione, non significa sottrarre la stessa da un confronto con i mutamenti avvenuti nella società.

Tuttavia la Costituzione, pur con la sua veneranda età, è l’elemento che precedere ogni nuova vicenda sociale; sia essa economica, politica o culturale.  

Spesso le norme della Costituzione sono con estremo vigore reclamate solo in particolari circostanze di tensioni sociali, salvo poi uniformarsi alle mode imposte da tendenze culturali circa il modo di pensare e giudicare la vita, fino ad accogliere, come vincolanti, mode effimere e sprezzanti valori individualistici.

Ulteriore appunto, ma che apre scenari ben più preoccupanti, può farsi con riferimento alla scarsa efficacia con cui l’italiano medio si rivolge al testo costituzionale.

Se il diritto è un modo di risoluzione dei problemi non si capisce perche il diritto che promana dalla Carta Costituzionale debba essere ritenuto un diritto minore o un non diritto.

Spesso l’uso strumentale della politica, intesa come l’insieme dei soggetti chiamati a rappresentare il popolo, ha contribuito a tale nefandezza. Parlare della Costituzione come un vessillo da agitare in battaglie di parte è pericoloso perché finisce per trasformare un tale testo fondamentale in un qualsiasi documento lasciato alla disponibilità di variabili politiche.

 

 

  1. Conclusioni e prospettive. L’attualità della Costituzione nella complessità delle relazioni.

L’Italia oggi è un Paese notevolmente diverso da quello che era nel momento in cui la Costituzione è entrata in vigore. Sarebbe nefasto, però, pensare che la stessa come un qualsiasi oggetto possa essere sostituita da modelli nuovi e più funzionali offerti dal mercato o pubblicizzati dalle effimere mode del tempo.

«Se non esistono prodotti del passato sottratti all’usura del tempo -diceva Giorgio La Pira-, è sulla parte migliore della propria storia che una società civile costruisce gradualmente ed in modo sempre nuovo il propri futuro» (G. La Pira, Il valore della Costituzione Italiana, in Cronache sociali, n. 2/1948 poi pubbl. in M. Glisenti – L. Elia, Cronache sociali: 1947-1951, (antologia a cura di), Ed. Landi, Roma, 1961, vol. I, pp. 100 e ss.).

La Costituzione contenendo i valori e i principi fondamentali riconosciuti e preesistenti, rappresentata il riferimento per eccellenza che condiziona, a sua volta, ogni altro atto che voglia in qualche modo incidere sulla vita del cittadino italiano.

Il Modugno ha parlato di una eclatante «primizia della nostra Costituzione» (così in F. Modugno,Appunti dalle lezioni sulle fonti del diritto, Giappichelli, Torino, 2002, p.4), che certamente oggi andrebbe, con maggior vigore, esaltata.

Malgrado preoccupanti aspetti a cui si è accennato, la Costituzione seppur largamente inattuata e non di rado contraddetta, resta la piattaforma che accomuna il Paese.

L’Italia agli occhi degli osservatori europei e mondiali si presenta come una nazione divisa da continue e laceranti tensioni. Gode ancora di un flebile rispetto solo ed esclusivamente per le solide fondamenta valoriali contenute nei famosi centotrentanove articoli.

Amaramente deve constatarsi che il concetto di valore (costituzionale) ha ceduto a nuove e difformi derive. Valore, cioè, è diventato ciò che ha senso e significato “per me”. Ne consegue un preoccupante distacco dal quadro di riferimento dei valori costituzionali. Il gelido pragmatismo degli economisti ha irrigato la via dell’ ingiustizia nelle cui nicchie trovano collocazione valori in-costituzionali.

Altro ancora si potrebbe dire. Le parole, però, da sole non conducono da nessuna parte. Occorre un forte richiamo ai “valori” costituzionali nei quali è possibile scorgere il tanto auspicato “rinnovamento”.

Marzo Raffaele

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