Trump su Twitter per sondaggio: una pratica pericolosa?

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Elon Musk riammette Trump (e non solo lui) su Twitter con un sondaggio che non promette nulla di buono

Vox populi, vox dei: così ha twittato qualche giorno fa il nuovo padrone di Twitter, Elon Musk, che all’esito di un sondaggio che ha coinvolto almeno 15 milioni di persone nel mondo ha deciso di revocare il ban a vita dell’ex Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e riammetterlo sulla sua piattaforma dell’uccellino che cinguetta.

Dopo aver comprato il social per la somma di 44 miliardi di dollari, la più grande acquisizione di una azienda tech nella storia, pare che l’imprenditore miliardario e uomo più ricco del mondo stia mantenendo ciò che aveva promesso: trasformare Twitter in una pubblica piazza, dove la libertà di parola e di espressione non conoscono sostanzialmente limiti, in aperto contrasto con la recente approvazione del Digital Services Act, il nuovo Regolamento Europeo che stabilisce regole per il mercato dei servizi digitali, tra cui maggiori controlli e tracciabilità sugli operatori nei mercati online per garantire la sicurezza dei prodotti e dei servizi e maggiore trasparenza e responsabilità delle piattaforme (che non potranno più farsi scudo di algoritmi misteriosi, ma al contrario dovranno effettuare disclosure per quanto riguarda la moderazione dei contenuti).

Per realizzare il progetto, Musk ha usato un metodo aspramente criticato, ovvero un sondaggio in cui con una semplice domanda (riammettere l’ex Presidente Trump, sì o no) ha demandato al “suo” popolo della rete una decisione strategica che avrebbe, come minimo, dovuto essere discussa in sede di consiglio di amministrazione, poiché Trump era stato bannato dal social non per un mero capriccio del management precedente, ma perché reiteratamente e con più tweet aveva violato i termini e le condizioni d’uso stabiliti da Twitter stesso, cui tutti gli utenti sono sottoposti. Se a questo aggiungiamo il fatto che Trump ha già annunciato di voler nuovamente correre per la presidenza degli Stati Uniti nel 2024, il gesto assume connotazioni politiche potentissime.

Il Garante della Privacy italiano, con un duro intervento dell’avv. Guido Scorza, componente del Collegio, ha definito “inaccettabile” il sondaggio proposto da Musk.

È già opinabile che il gestore di un social network possa decidere in autonomia di condannare all’ostracismo digitale perpetuo una persona, a maggior ragione se Presidente in carica di una Nazione…  Ma è semplicemente inaccettabile che il gestore di una piattaforma dopo aver adottato la sua decisione decida di rivederla non attraverso un procedimento interno di revisione tecnico-giuridica volto a verificare eventuali errori di valutazione ma attraverso un voto popolare. Abbiamo oltrepassato la linea di sostenibilità democratica. I diritti e le libertà di una persona non possono essere affidati alle urla digitali di una folla invitata ad esprimersi dal sovrano di una piattaforma quasi si trattasse – ma, questo è evidentemente l’equivoco culturale del quale è vittima Elon Musk – di un fatto tutto privato e che, quindi, spetti a lui, come capo supremo degli uccellini cinguettanti, decidere, eventualmente sentito il “suo” popolo, se concedere la “grazia digitale” all’ostracizzato Trump e riammetterlo nel suo impero” (fonte: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/scorza-perche-il-sondaggio-di-musk-su-trump-e-inaccettabile-ne-va-dei-diritti-di-tutti/).

Peraltro, non è il primo gesto da imperatore del social che Elon Musk ha compiuto dal momento dell’acquisto di Twitter. Oltre a quello dell’ex Presidente degli Stati Uniti sono stati riattivati altri account estremamente controversi, che erano stati chiusi per ripetute violazioni delle condizioni di utilizzo. Tra i casi più eclatanti ricordiamo:

Andrew Tate, ex campione di kikboxing e influencer, sospeso da Twitter nel 2017, dopo aver pubblicato commenti pesantemente sessisti e giustificatori della cultura dello stupro. L’emittente statunitense NBC ha riferito che la sospensione di Tate è stata decretata dopo che l’influencer aveva scritto sul proprio profilo che le donne dovrebbero assumersi la responsabilità delle aggressioni sessuali di cui sono vittima.

Kanye West, rapper statunitense, sospeso un mese fa dopo aver pubblicato un tweet antisemita in cui sosteneva di voler compiere violenza contro “la gente ebrea”;

The Babylon Bee, un sito satirico di destra, sospeso lo scorso marzo per aver pubblicato un commento transfobico contro Rachel Levine, assistente segretario alla Sanità degli Stati Uniti.

Tuttavia, l’assolutismo della libertà di parola, di cui lo stesso Elon Musk si è fregiato, non gli ha impedito di sospendere altri account: insomma un comportamento da vero assolutista, non solo della libertà di parola, ma si potrebbe dire tout court.

Ma al di là delle considerazioni politiche che si possono fare sulle scelte del padrone di Twitter, che in questa sede non sono rilevanti, ciò che veramente preoccupa è il peso dei social, di questo in particolare, e della categoria in generale, nella politica, nell’economia e nella società che non solo non è più ignorabile, ma che sta assumendo contorni a dire poco inquietanti.

La libertà di espressione porta con sé il noto “paradosso della tolleranza” di Karl Popper, per cui a voler “liberalizzare” in maniera totale ed indiscriminata la possibilità di dire sempre e comunque la propria, senza filtri, senza controlli, si rischia di essere travolti da disinformazione, hate speech, fake news, odio e contenuti nocivi in generale.

Al contrario, tutte le leggi già in vigore e nello specifico il Digital Services Act, vanno nella direzione opposta: quella della responsabilizzazione, che non significa controllo sui contenuti, ma sul loro modo di espressione e sulla moderazione, per tenere sotto controllo fenomeni odiosi quali il cyber bullismo, l’incitamento all’odio, il revenge porn ed altri utilizzi abusanti, nocivi quando non proprio illegali della rete.

Citando nuovamente l’avv. Guido Scorza, questo episodio del sondaggio su Trump, che il componente del Collegio del Garante ha paragonato al “referendum” di Ponzio Pilato, che chiedeva alla folla se preferiva la liberazione di Gesù o Barabba, “rappresenta una delle conseguenze, sin qui probabilmente più estreme, della progressiva privatizzazione dello spazio digitale”.

Il problema non è solo squisitamente giuridico e per addetti ai lavori: è proprio nello spazio digitale, e segnatamente in quello dei social, che si manifesta e si consuma una larghissima parte delle nostre vite, ed in quello spazio non ci sono leggi imparziali e Tribunali che esercitano il potere giudiziario, ma contratti e “reucci”, come Musk, che hanno potere di “vita o di morte” sugli utenti, proprio come la folla che chiese a Pilato di liberare Barabba anziché Gesù.

C’è da chiedersi se il diritto riuscirà a stare dietro alla tecnologia, se i nuovi regolamenti riusciranno a portare nuovamente una parvenza di legalità e democrazia all’interno di queste piattaforme. Ma, trattandosi di società che hanno sede dall’altra parte dell’Oceano, dove soffia tutta un’altra aria in materia di protezione di dati personali e di cyber-diritti, al momento non sembra che i chiari di luna siano così rosei.

Nel suo ultimo tweet prima di diventare il proprietario del social dell’uccellino blu, Musk aveva ribadito che avrebbe continuato ad essere imparziale, per tutelare al massimo la libertà di parola di cui si è reso alfiere e portavoce. La prima espressione di questa promessa ha lasciato non pochi dubbi e perplessità tra giuristi e utenti del web. E c’è da pensare che siamo solo all’inizio.

Avv. Luisa Di Giacomo

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