Quando il trasferimento a mansioni diverse integra mobbing?

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Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo … l’elemento qualificante va ricercato non nella legittimità o illegittimità dei singoli atti bensì nell’intento persecutorio che li unifica, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria e che spetta al giudice del merito accertare o escludere, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto”.
Corte di Cassazione – Sez. L Civile – Ordinanza n. 35235 del 30-11-2022

Indice

1. La vicenda

I giudici d’appello, nel confermare la sentenza del Tribunale, rigettavano la domanda di risarcimento dei danni per mobbing proposta, nei riguardi del Comune Alfa, da Tizio, dal momento che il lavoratore aveva subito continui trasferimenti a mansioni diverse all’interno dell’amministrazione.
La Corte distrettuale escludeva che vi fosse prova dell’intento lesivo e persecutorio, che muoveva dall’assunto, erroneo e aprioristico ad avviso del giudice del gravame, che i diversi incarichi rivestiti da Tizio, rientranti tutti nella qualifica dirigenziale, non fossero equiparabili a quello originario, in quanto caratterizzati da minore importanza e grado di responsabilità.
La Corte d’appello riconosceva come l’amministrazione avesse dato giustificazioni plausibili rispetto ai plurimi episodi richiamati da Tizio a supporto del mobbing (ad esempio, dinieghi di ferie e di richieste di partecipazione a corsi, sistemazioni logistiche inadeguate ecc.), poiché occasionati da situazioni contingenti e non dai ventilati intenti persecutori.

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2. La questione

Quando il trasferimento a mansioni diverse integra il mobbing?

3. La soluzione

Tizio si rivolgeva alla Suprema Corte, la quale accoglieva il ricorso del lavoratore.
I giudici Ermellini stabilivano che “Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (Cass. 10 novembre 2017, n. 26684; Cass. 24 novembre 2016, n. 24029; Cass. 6 agosto 2014, n. 17698); se ne desume che l’elemento qualificante va ricercato non nella legittimità o illegittimità dei singoli atti bensì nell’intento persecutorio che li unifica, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria e che spetta al giudice del merito accertare o escludere, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto”.
Secondo i giudici di piazza Cavour, la legittimità dei provvedimenti può rilevare ma soltanto indirettamente, in quanto, laddove facciano difetto elementi probatori di segno contrario, può essere sintomatica dell’assenza dell’elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata; allo stesso modo, la conflittualità delle relazioni personali esistenti all’interno dell’ufficio, che impone al datore di lavoro di intervenire per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, può essere apprezzata dal giudice per escludere che i provvedimenti siano stati adottati al solo scopo di mortificare la personalità e la dignità del lavoratore.
Nel giudizio sulla sussistenza o meno dell’intento persecutorio rileva altresì la natura pubblica del datore di lavoro, che, nel rispetto del principio costituzionale di cui all’art. 97 Cost., deve intervenire per assicurare efficienza, legittimità e trasparenza dell’azione amministrativa.

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Il presente testo, con materiale online tra cui formuario e giurisprudenza, è strumento operativo sia per i professionisti che per chiunque si trovi ad affrontare le problematiche connesse al fenomeno del mobbing. Si analizza l’argomento sotto due aspetti: uno giuridico e l’altro medico. Da un punto di vista giuridico si prende in considerazione il fenomeno in esame sia sotto il profilo sostanziale che processuale, indicando nel dettaglio i singoli comportamenti mobbizzanti, le responsabilità e le possibili tutele (giuridiche ed extragiuridiche) da attivare. La dignità della persona umana e il rispetto nei confronti dei lavoratori nei luoghi di lavoro costituiscono un punto qualificante della convivenza civile e, al contempo, una misura incentivante per una maggiore produzione lavora- tiva. Infatti, un ambiente di lavoro, dove siano bandite forme di violenza morale nei confronti dei lavoratori costituisce un punto essenziale anche per la migliore produttività aziendale. Invece, da un punto di vista medico, si analizza, in primis, il ruolo svolto dallo stress, sia acuto sia cronico, nell’innescare cambiamenti nella fisiologia dell’intestino e nella salute mentale e, in secondo luo- go, si presentano le principali metodiche utilizzate per rilevare una situazione di stress da lavoro correlato, attraverso l’impatto che quest’ultimo ha sulla salute psico-fisica del lavoratore.  Nicola Botta, laureato in Pedagogia, in Psicologia clinica, in Medicina e Chirurgia e specializzato in Psicoterapia Cognitiva e Psiconeuroimmunologia. Dal 1983 ad oggi lavora come Psicologo Clinico presso l’Asl di Salerno. È stato docente di Psicologia del Lavoro dal 2006 al 2011 presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. Attualmente, è docente di Psiconeuroimmunologia presso l’Open Academy of Medecine, a Venezia. Dal 1999 è responsabile del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia presso l’UOSM DS 67, dell’Asl di Salerno. Dal 2000 si occupa di mobbing come coordinatore del gruppo di lavoro presso la stessa Asl. Autore di numerosi libri e scritti in materia del mobbing. Rocchina Staiano, Avvocato, Docente in Diritto della Previdenza ed assicurazioni sociali e in Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro presso l’Università di Teramo; Docente/formatore in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, ai sensi del D.M. 5 marzo 2013; Docente in vari Corsi di formazione e di master; Membro dei collegi dei probiviri della Cisl Regione Campania; Componente esterno della Commissione Lavoro e della Commis- sione Rapporti Internazionali UE del CNF; Consigliera di Parità della Provincia di Benevento. Autrice di numerose pubblicazioni e di contributi in riviste, anche telematiche.  

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Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

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