Tra opposti fronti alla ricerca della qualità. La difficile dialettica nel controllo “La scienza si costruisce con i fatti …; ma una raccolta di fatti non è una scienza” (Poincaré)

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Qualsiasi controllo non è mai asettico, esso nasconde in sé una visione della governante ma innanzitutto della fiducia che si possiede sull’etica del sistema, è pur vero che il sistema è influenzato dal tipo di osservatore e dal suo agire, ma esso è quello che la sua cultura organizzativa ha prodotto ed è matrice delle sue future dinamiche.

Vi è un contrapporsi tra concezioni macroeconomiche, economico-aziendali e logiche giurisdizionali di tipo ispettivo-repressivo, questo porta a scontri culturali quali espressioni di interessi e di centri di potere, il controllo sulla revisione gestionale viene talvolta integrato al controllo di matrice giurisdizionale dando a quest’ultimo funzioni che vanno dal rafforzamento di un non ben definito ruolo di controllore ad una garanzia notarile della regolarità procedurale (Borgonovi).

Questa ambivalenza concettuale si riverbera pienamente nella recente legge 7/12/2012, n. 213 e nella procedura da essa adottata all’art. 1 con l’introduzione di una parificazione a livello regionale, il possibile sovrapporsi conflittuale delle due tipologie di funzioni può risolversi solo in un rapporto cibernetico di retroazione in cui il fine ultimo è la qualità più che una presunta ed esclusiva garanzia procedurale di tipo notarile.

Il Deming Cycle (PDSA) prevede una pianificazione (P), una realizzazione (D), una verificazione (C) e un mantenimento (A), questo può modificarsi nel ciclo SDCA in cui la pianificazione (P) diventa una standardizzazione (S), dobbiamo considerare che il controllo di qualità deve innanzitutto: trovare i problemi, diagnosticarli, curarli, controllarli una volta risolti.

Ne consegue che deve venire meno l’autoreferenzialità in cui il controllo può trasformarsi, necessita quindi la capacità di riflettere su se stessi per modificarsi rendendo trasparente verso i terzi la rendicontazione, ma per raggiungere tale obiettivo deve esservi una forte dimensione interpersonale e cooperativa che necessita di finalità condivise, chiarezza e compartecipazione nei principi ispiratori.

I cicli di feedback che un sistema cibernetico comporta possono essere sovrapposti e relazionati fra loro come nell’ipotesi in cui vi siano due cicli A su B e B su C, nel qual caso C diventa controllore della funzionalità del sistema, ma il giudizio finale può avvenire solo da un terzo osservatore esterno e indipendente dal sistema ma a conoscenza dei meccanismi stessi, solo nel momento in cui la trasparenza è completa e le osservazioni recepite può crearsi il ciclo virtuoso, altrimenti tutto si riduce ad una formalità comunicativa.

Il modello adottato può quindi ridursi al solo aspetto comunicativo nel quale si vuole manifestare una propria presenza, questo tuttavia alla lunga può risolversi in un suo svuotamento di significati, in un vuoto apparato retorico, dobbiamo considerare che sono gli individui che nell’organizzazione creano inizialmente la sua cultura, ma una volta consolidata è questa che li modifica costantemente e dinamicamente.

Vi è un forte rapporto tra cultura e simbologie organizzative nelle quali, accanto ad artefatti ed alla dimensione attuale delle strutture mentali collettive, si creano modelli di azioni collettive che esprimono e sostengono valori collettivi i quali devono essere comunicati all’esterno secondo una visione non solo di tipo istituzionale ma anche strutturale e drammaturgico (Cohen).

Dobbiamo considerare che il linguaggio è un canale attraverso cui non si comunica una informazione “oggettiva” bensì delle “conoscenze implicite, condivise all’interno di una cultura” (Bowers) e questa è legata al contesto e ai valori fondati su dati astratti tratti dall’esperienza sì che non è l’informazione a creare le idee, ma le idee che creano l’informazione (Capra) circostanza valida anche nel contesto di una logica numerica, infatti osserva Vulpiani “…, attualmente c’è una nefasta corrente di pensiero che vede come unico ingrediente rilevante nella scienza i dati. Secondo questo punto di vista, …, dato che siamo nell’era dei dati in abbondanza si può fare a meno delle teorie, basta usare i dati” (39, Problemi e limiti delle previsioni, in Le Scienze, 538, giugno 2013).

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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