Termini massimi di custodia cautelare (nota a: ordinanza del Riesame di Bologna del 7-9-07).

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L’ordinanza che si commenta è provvedimento consequenziale al ricorso ex art. 310 c.p.p. che la difesa proponeva innanzi al Tribunale del riesame, avverso la decisione della Corte d’Appello di Bologna, che veniva accusata di errata applicazione dei principi che reggono i termini di durata massima della custodia cautelare.
Per meglio comprendere i termini della questione devoluta al giudice del giudizio cautelare si deve precisare che la Corte territoriale, dovendo reiterare il proprio giudizio nei confronti dell’imputato, a seguito di annullamento con rinvio della sentenza di secondo grado pronunziato dalla Suprema Corte di Cassazione, aveva emesso un’ordinanza modificativa gli originari termini di custodia cautelare, (i quali venivano prorogati con evidente sfavore per l’imputato) sostenendo i seguenti principi cardine.
 1. Si deve addivenire all’applicazione, nella fattispecie, del solo art. 304       comma 6° c.p.p. – che regola la sospensione dei termini di durata    massima della custodia cautelare – sul presupposto dato dalla        correlazione di tale norma con l’art. 303 comma 2° c.p.p. (nell’accezione      derivata dall’intervento della sentenza della Corte Costituzionale n. 292          del 18 Luglio 1998).
2. Alla luce di questa impostazione, il Collegio – operando un esplicito riferimento al cd. termine di fase, in forza della circostanza che il procedimento in questione è regredito (a seguito di annullamento con rinvio da parte della Suprema corte di Cassazione) alla fase dell’appello – sanciva come scadenza del termine di custodia vigente il giorno 1° Novembre 2007, in sostituzione dell’originario termine fissato all’11 Agosto 2007, atteso il raddoppio del termine di custodia cautelare concernente la fase dell’appello;
3. Su tale abbrivio, dunque, la Corte giungeva a conferire allo specifico termine di fase, di cui al comma 2° dell’art. 303 c.p.p. una vigenza assoluta.
Vale a dire che, a mente del provvedimento annullato, il computo autonomo e segmentato dei singoli termini custodiali assumerebbe valenza assoluta e, quindi, prevalenza rispetto al disposto dell’art. 303 comma 4° c.p.p., che regola la durata massima della custodia cautelare, comprese le proroghe ex art. 305 c.p.p., cioè i limiti estremi in questione.
La pronunzia del riesame, dal suo punto di vista, invece, stabilisce che:
         1. il richiamo all’art. 304 comma 6° c.p.p., quale norma ottimizzatrice il regime di calcolo involgente situazioni di regresso previste dall’art. 303 comma 2° c.p.p. sia solo astrattamente pertinente e possa assumere efficacia applicativa quando non entri in conflitto con la previsione del comma 4° dell’art. 303 c.p.p.,
         2. quest’ultima disposizione di legge regola l’ipotesi estrema e massima di sottoposizione ad una misura cautelare, nonché funge da riferimento nel caso della cd. doppia conforme di cui all’ultimo alinea della lett. d) del comma 1°,
         3. nella fattispecie, pertanto, erroneamente, è stata conferita prevalenza e preferenza alla valutazione specifica concernente il termine parcellizzato di fase (quantificato in 2 anni, a seguito di regressione del giudizio), a scapito di quello, che, invece, deve essere ritenuto termine generale che abbraccia tutte le fasi del giudizio e che sancisce, quindi, il limite invalicabile a livello complessivo,
     4. consegue, dunque, che la rideterminazione del termine massimo di custodia cautelare confermata dall’ordinanza oggetto dell’annullamento, appare viziata dal denunziato errore.
         Va, infatti, osservato che la struttura metodologica dell’art. 303 c.p.p., si compone sia di indicazioni quantitative che attengono in modo specifico alle singole fasi del procedimento, [le quali vengono considerate in maniera atomizzata], sia di un’indicazione finale – il comma 4° – che, invece, appare destinata ad assolvere funzione di cerniera di chiusura, rivolgendosi – in ambito residuale – ad abbracciare il processo in un’ottica di interezza, nella quale confluiscono globalmente le varie fasi.
 E’, dunque, necessario stabilire un criterio di priorità, in base al quale determinare il parametro che debba apparire prevalente e cioè se preferenza vada accordata al singolo termine, oppure se si debba fare riferimento al quantum di custodia cautelare globale.
A parere di chi scrive, coglie nel segno il Tribunale del Riesame, quando ammette, con la pronunzia in esame che la norma di cui al comma 4° trova la propria ragion d’essere proprio nell’esigenza di una temperamento finale e complessivo che trascenda i singoli ed autonomi termini di fase, al fine di evitare che la carcerazione dell’imputato – nel corso del giudizio penale – si dilunghi in maniera del tutto abnorme ed inaccettabile, ponendosi, quindi, come positivo fattore di correzione che eviti l’eccessività del dilungarsi della condizione di privazione della libertà.
E’ gioco-forza, quindi, ritenre la ineluttabilità del fatto che parametro da utilizzare nella fattispecie, sia quello sancito dal citato comma 4° dell’art. 303 c.p.p. , alla lett. b), che fissa in quattro anni il termine massimo di custodia cautelare,
      5. La pronunzia che si commenta è assolutamente condivisibile anche perchè non pare, ulteriormente, che si possa conferire valenza decisiva, in senso contrario all’orientamento che la stessa abbraccia, all’insegnamento reso dalla Corte Costituzionale con la sentenza 18 Luglio 1998 n. 292 che il Collegio territoriale cita a difesa del provvedimento gravato.
Tale sentenza, infatti, nega la fondatezza della questione sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., riguardo ai limiti di durata della carcerazione preventiva, con riferimento specifico al dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 303 c.p.p., nella parte in cui, nell’ipotesi, contemplata nel comma 2, di nuovo inizio della decorrenza dei termini per la regressione del procedimento, in seguito ad annullamento con rinvio da parte della Cassazione o per altra causa, ad una fase o a un grado di giudizio diversi, o di rinvio ad altro giudice, prevede che possa essere causa di scarcerazione solo il superamento del termine complessivo di durata massima, stabilito dallo stesso articolo al comma 4.
Si tratta, quindi, di un autorevole intervento interpretativo del tutto differente da quel significato che, invece, la Corte territoriale vorrebbe attribuire alla ricordata sentenza.
Sostiene, infatti, il giudice delle leggi il principio della totale autonomia dei due termini in questione, sicché il giudice deve optare per quello di fase, a scapito dell’altro più generale, solo nell’ipotesi in cui il superamento del doppio del termine di fase previsto dall’art. 304, comma 6 c.p.p. possa essere causa di scarcerazione, operando quale norma più favorevole.
Non a caso la Consulta definisce il termine di cui all’art. 304/6 c.p.p. (che regola le ipotesi di regressione del giudizio ad un fase processuale precedente) come il “terzo limite della custodia cautelare”, cioè come istituto che si coniuga ed armonizza con gli altri termini (complessivo e di fase) codicisticamente previsti.
Non è, inoltre, casuale che la sentenza, invocata ad adiuvandum dalla Corte, operi una rigorosa distinzione fra la previsione del comma 6° dell’art. 304 e quella dell’art. 303/4° c.p.p. e che, dunque, a seguito della stessa tragga vigenza il ricordato concetto di autonomia dei due istituti, si che venga rigettata la questione di costituzionalità del predetto art. 303 comma 4, non essendo vero che la norma impedirebbe il funzionamento dello sbarramento di fase nell’accennata ipotesi della regressione, di cui al comma 2 del medesimo articolo.
Deriva, pertanto, la conclusione finale che la pronunzia resa dal Tribunale costituito ex art. 310 c.p.p. debba essere ritenuta un pregevole esempio di valutazione ed interpretazione di un complesso di norme che troppe volte hanno mostrato un difficile coordinamento, suscitando contraddittorie pronunzie; essa deve essere un punto fisso giurisprudenziale.
 
Rimini, lì 9 Ottobre 2007
                                                                           Avv. *******************
 
Commento Ord. Trib. Lib. Bo7.9.0.7.docN.1390/2007 R.I.M.C.P.
 
 
TRIBUNALE DI BOLOGNA
SEZIONE IMPUGNAZIONI CAUTELARI PENALI
 
 
Il Tribunale riunito in camera di consiglio nelle persone dei Magistrati:
dott. **************    Presidente
dott. *************** Giudice
dott. *************       Giudice re./est.
Sciogliendo la riserva formulata all’udienza in camera di consiglio del 6.09.2007. ha emesso la seguente
ORDINANZA
nella procedura su indicata, avente ad oggetto l’appello, proposto nell’interesse di K.R., avverso l’ordinanza emessa il 30.07.2007 dalla Corte di Appello di Bologna con la quale è stata rigettata l’istanza della difesa di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari presso l’abitazione della madre dell’imputato:
premesso che:
1.     K.R. trovasi ristretto per questa causa dal 12.06.2003, data del suo arresto, eseguito in esecuzione dell’ordinanza di applicazione della custodia cuatelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Bologna i data 22.5.03 per i delitti di cui ai capi 9) – delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv c.p., 73 comma I dpr 309/90 – commesso in Ravenna e Brescia nella seconda metà del 1998; 10) – delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv c.p., 73 comma I dpr 309/90 – commesso in Ravenna, Torino, Padova e Forlì dall’agosto 1999 al febbraio 2000 e 32) – delitto p. e p. dagli art. 10, 12 e 14 L.497/74 – commesso in Ravenna e Brescia dal 20.9.1998 al 26.10.1998;
2.     per i suddetti reati, l’imputato è stato giudicato con rito abbreviato dal Gup del Tribunale di Bologna e condannato alla pena di anni nove di reclusione ed €.36.000,00= di multa; pena ridotta dalla Corte di Appello di Bologna, all’esito del giudizio di impugnazione, ad anni sei e mesi quattro di reclusione oltre ad €.24.000,00 di multa;
3.     su ricorso della difesa, con sentenza del 5.02.2007 la Suprema Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la decisione della Corte di Appello limitatamente alla pena inflitta;
4.     in data 5.06.07 la Direzione della Casa Circondariale di Ravenna, presso la quale l’imputato si trova ristretto, ha chiesto alla Corte di Appello (attuale giudice cautelare competente) di confermare la scarcerazione del K. per decorrenza termini al giorno 11.6.07, specificando che dalla posizione giuridica risulta che fino al 31.03.06 l’imputato è stato ristretto a titolo di espiazione pena;
5.     la Corte di Appello, rispondendo a detta richiesta, ha rideterminato il termine massimo di custodia indicandolo nel 1.11.2007 in considerazione del disposto degli artt. 303 e 304 c.p.p.;
6.     la difesa ha impugnato il suddetto provvedimento lamentando l’erroneità dell’interpretazione fornita dalla Corte alle suddette disposizioni normative e chiedendo di annullare o riformare l’ordinanza impugnata, disponendo la scarcerazione del K. per sopravvenuta decorrenza del termine massimo di custodia (originariamente fissato all’11.06.2007);
7.     il Tribunale del Riesame, investito della questione ex art. 310 c.p.p. Ha dichiarato inammissibile l’impugnazione non trattandosi di gravame proposto nei confronti di un’ordinanza in materia di libertà, resa ex. Art. 299 c.p.p.;
8.     la difesa ha, dunque, reiterato le sue contestazioni esponendole nell’istanza de liberate depositata il 24.07.07, che la Corte d’Appello ha rigettato con il provvedimento gravato, confermando la data di scadenza dei termini di custodia cautelare al 1.11.2007;
9.     all’esito dell’udienza camerale – in cui il difensore ha insistito per l’accoglimento dell’appello – il Tribunale si è riservato la presente decisione;
ritenuto che:
il proposto gravame è fondato e merita accoglimento, con conseguente rimessione in libertà dell’imputato se non detenuto per altra causa.
La Corte di Appello ha rideterminato il termine di custodia cautelare (originariamente indicato nella data dell’11.06.2007) tenendo conto dell’intervento regresso del procedimento ad una fase antecedente, in forza dell’annullamento da parte della Suprema Corte della sentenza di secondo grado.
Tale regresso comporta l’applicazione del disposto di cui all’art. 303 co. 2 c.p.p.; secondo la Corte: “nuova decorrenza dei termini di fase, aumentati del doppio ex art. 304 co. 6 c.p.p. – secondo l’interpretazione data alla norma dalla sentenza n. 292/1998 della Corte Costituzionale -, decorrenti dalla data dell’annullamento; con il limite ulteriore del non superamento del termine massimo complessivo di cui all’art. 303 co. 4 lett. b), aumentato di un mezzo, decorrente dall’inizio della custodia” (come riportato nel provvedimento del 8.06.07, confermato con il provvedimento gravato).
In buona sostanza, la Corte di Appello ritiene che il disposto di cui al comma sesto dell’art. 304 c.p.p. applicabile anche nei casi di regresso ad una fase processuale precedente (secondo la sentenza della Consulta sopracitata), incida anche sul termine massimo di custodia cautelare di cui al comma quarto dell’art. 303 c.p.p., prevedendo un aumento della metà, con conseguente fissazione del termine massimo di custodia in sei anni dall’inizio della esecuzione della misura (anni quattro ex art. 303 co. 4 lett. B, aumentato della metà ex art. 304 co, 6 seconda parte c.p.p.).
Tale assunto non pare condivisibile.
La sentenza della Corte Costituzione n. 292 del 1998 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 303 co. 4 c.p.p. nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo di durata massima della custodia cautelare, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorché si verifichi la situazione descritta nel comma secondo del medesimo articolo.
La Consulta ha ritenuto che la questione non fosse fondata, poiché – all’esito di una interpretazione storica, sistematica e letterale delle due norme – ha concluso che l’art. 304 co. 6 c.p.p. Non è applicabile alle sole ipotesi di sospensione dei termini, ma rappresenta un limite di carattere generale, applicabile anche alle ipotesi di regressione del processo ex art. 303 co. 2 c.p.p.
Dunque la ratio della sentenza è quella di attribuire all’art. 304 co. 6 c.p.p. La funzione di limite ulteriore rispetto a quelli già previsti dall’art. 303 c.p.p..
Testualmente nella motivazione si legge: “l’art. 304 co. 6, come già accennato, introduce un limite massimo per i termini di fase, stabilendo che “la durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall’art. 303 comma 1, 2 e 3”.
Come sostenuto dalla difesa in atto d’appello, la suddetta sentenza introduce un limite ulteriore rispetto a quello rappresentato dal termine di fase che, nell’ipotesi di regresso, torna a decorrere ex novo. Si tratta di un’interpretazione ispirata al principio del favor rei (ponendo sullo stesso piano le ipotesi di sospensione dei termini e di regresso a fase antecedente del procedimento), che non incide sul termine massimo di durata della custodia cautelare ex art. 303 co. 4 c.p.p..
La Consulta fa riferimento alla prima parte del comma sesto dell’art. 304 c.p.p. Estendendone l’ambito applicativo, ma non estende l’intero disposto della predetta norma aumentando (della metà) il termine massimo di custodia previsto dall’art. 303 co. 4 c.p.p.. Quest’ultimo resta un termine invalicabile che non può essere aumentato – in danno dell’imputato – in assenza di una espressa disposizione di legge.
Ad accedere all’interpretazione fornita nel provvedimento gravato, l’estensione del comma sesto dell’art. 304 c.p.p. alle ipotesi di regresso a fase processuale precedente non opererebbe come terzo limite, in favore del cautelato, bensì aumenterebbe (in pregiudizio di quest’ultimo) il termine massimo di custodia cautelare.
In definitiva si ritiene che il K.R., ristretto ininterrottamente dal 12.06.03, a seguito del regresso alla fase del giudizio di appello, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 303 co. 2 e 304 co. 6 c.p.p., vedrebbe il nuovo termine di fase scadere il 1.11.07 (doppio del termine di fase dalla data della sentenza della Corte di Appello del 2.11.05). Tuttavia, operando il limite della durata massima della custodia cautelare ex art. 303 co. 4 lett. b) c.p.p. (quattro anni dall’inizio della custodia), il termine è scaduto l’11.08.2007 (considerati i sessanta giorni di sospensione disposti ex art. 304 co. 1 lett. C bis c.p.p. dalla Corte d’Appello con provvedimento del 21.03.05).
L’accoglimento del gravame solleva l’imputato dal pagamento delle spese della presente procedura incidentale.
P.Q.M
come da dispositivo separatamente depositato.
Bologna, 22 settembre 2007.
 
DISPOSITIVO
revoca la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di K.R., e dispone la sua immediata rimessione in libertà, se non detenuto per altra causa.
Bologna. 7 settembre 2007.
 

Zaina Carlo Alberto

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