TAR Lazio, Sez. I-ter, sentenza n. 8577/2009: elementi costitutivi della responsabilità amministrativa

sentenza 03/12/09
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N. 08577/2009 REG.SEN.
N. 11859/2004 REG.RIC.
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
…omissis…
 
Il ricorso non è fondato e va, pertanto, respinto.
Quanto al provvedimento del Questore, con cui è decretata la sospensione per la durata di giorni cinque della licenza di bar, va innanzitutto osservato, con riferimento al dedotto profilo del mancato rispetto dei termini per la conclusione del procedimento amministrativo, che "salva diversa previsione di legge, i termini fissati per la conclusione del procedimento amministrativo non hanno natura perentoria e il loro inutile decorso non determina quindi l’illegittimità del provvedimento finale, ancorché adottato dopo lo spirare del termine prescritto per la sua adozione" ( così, T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 27 ottobre 2008 , n. 2690, nello stesso senso T.A.R. Piemonte Torino, 30 ottobre 2008 , n. 2722 e Consiglio Stato , sez. VI, 25 giugno 2008 , n. 3215).
Quanto alla contestazione del “merito” del provvedimento dell’Autorità di pubblica sicurezza, per essere esso illegittimo poiché in sostanza adottato in violazione della normativa di riferimento, occorre muovere proprio dal dato normativo che qui interessa.
Si tratta, infatti, della corretta applicazione al caso di specie di quanto dispostp dall’art. 110 del T.U.L.P.S. nella formulazione ratione temporis applicabile, essendo state le disposizioni che qui interessano poi modificate nel dicembre 2005.
La norma richiamata stabilisce che in tutte le sale da biliardo o da gioco e negli altri esercizi, compresi i circoli privati, autorizzati alla pratica del gioco o alla installazione di apparecchi da gioco è esposta una tabella, vidimata dal questore, nella quale sono indicati, oltre ai giochi d’azzardo, quelli che la stessa autorità ritiene di vietare nel pubblico interesse, nonché le prescrizioni e i divieti specifici che ritiene di disporre nel pubblico interesse. La norma fornisce quindi la stessa definizione di apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici da
trattenimento o da gioco di abilità, come tali idonei per il gioco lecito, prescrivendo che la loro installabilità è consentita negli esercizi assoggettati ad autorizzazione ai sensi degli articoli 86 o 88 dello stesso T.U.L.P.S. Ferme restando poi le sanzioni previste dal codice penale per il gioco d’azzardo, l’art. 110 citato stabilisce che chiunque procede all’installazione o comunque consente l’uso in luoghi pubblici o aperti al pubblico o in circoli ed associazioni di qualunque specie degli apparecchi e congegni non rispondenti alle caratteristiche e prescrizioni indicate nella norma stessa è punito con una ammenda (ferma sempre la confisca degli apparecchi e congegni, che devono essere distrutti). Orbene, ai sensi del comma 10 dell’art. in esame, se l’autore degli illeciti di cui al comma 9 è titolare di licenza per pubblico
esercizio, la licenza è sospesa per un periodo da uno a sei mesi e, in caso di recidiva ovvero di reiterazione delle violazioni ai sensi dell’articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689, è revocata dal sindaco competente, con ordinanza motivata e con le modalità previste dall’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni. Dispone, infine, il
comma 11 che il questore, quando sono riscontrate violazioni alle disposizioni concernenti gli apparecchi di cui è questione, può  ospendere la licenza dell’autore degli illeciti, informandone l’autorità competente al rilascio, per un periodo non superiore a tre mesi. Il periodo di sospensione disposto è computato nell’esecuzione della sanzione accessoria.
Con specifico riferimento agli apparecchi automatici, semiautomatici ed elettronici da trattenimento o da gioco di abilità che si attivano solo con l’introduzione di moneta metallica, la lett. b) del comma 7 del citato art. 110 prescriveva che “dal 1° gennaio 2004, tali apparecchi non possono consentire il prolungamento o la ripetizione della partita e, ove non ne sia possibile la conversione in uno degli apparecchi per il gioco lecito, essi sono rimossi”. Il termine ora ricordato è stato quindi prorogato al 30 aprile 2004 in forza dell’art. 39, comma 7, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, come sostituito dalla relativa legge di conversione, comunque stabilendo la rimozione e demolizione dei detti apparecchi entro il 31 maggio 2004.
Nel caso di specie è appunto accaduto che la squadra di Polizia amministrativa della Questura di Roma, in sede di controllo operato in data 20 maggio 2004 presso il bar dell’odierno ricorrente, ha accertato l’installazione in area adiacente al bar di cinque apparecchi elettronici da trattenimento e gioco per i quali hanno pure accertato che le relative modalità del gioco medesimo consentivano il prolungamento o la ripetizione della partita pur trattandosi di apparecchi classificati tra quelli di cui alla citata lett. b) del comma 7 dell’art. 110 T.U.L.P.S. In
sostanza, si è contestato al ricorrente la presenza di macchine che già alla data del 1° maggio 2004 non avrebbero più dovuto consentire la ripetizione o il prolungamento della partita (o in caso di immodificabilità, avrebbero dovuto essere rimosse). Ed il provvedimento del Questore di sospensione della licenza per giorni cinque, con conseguente chiusura dell’attività, si fonda proprio sulle esposte circostanze debitamente e chiaramente richiamate nell’atto avversato.
L’atto avversato, quindi, è non solo fondato su presupposti di fatto idonei a giustificarne l’adozione, ma anche congruamente motivato.
Quanto alle questioni connesse alla natura cautelare dell’atto del Questore che dispone la sospensione della licenza, non vi è dubbio che la misura di cui trattasi, prevista come ricordato dal comma 11 dell’art. 110 citato, appare riconducibile ai provvedimenti cautelari, finalizzati alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, e non ai provvedimenti sanzionatori. Lo dimostrano, ad avviso del Collegio, molteplici profili. Anzitutto, la norma aggiunge una ulteriore ipotesi a quanto previsto nell’art. 100 del medesimo T.U.L.P.S. (che recita: "oltre i casi indicati dalla legge, il Questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini"), fattispecie senza dubbio rientrante nei provvedimenti cautelari di ordine pubblico.
In secondo luogo, la disposizione segue quella indicata nel comma 10 dello stesso art. 110, ove è prevista l’irrogazione di una sanzione accessoria per gli autori degli illeciti di cui al comma 9 (installazione o uso di apparecchi e congegni non corrispondenti alla prescrizioni e caratteristiche indicate dalla legge) consistente nella sospensione della licenza per pubblico esercizio per un periodo da uno a sei mesi e, in caso di recidiva o di reiterazione delle violazioni, la revoca da parte del sindaco competente. Appare chiaro che l’ultimo comma dell’art. 110 T.U.L.P.S. ha voluto far salva la funzione questurile di sospendere l’attività che si è rivelata illecita, in attesa che l’autorità competente al rilascio assuma le determinazioni opportune, in relazione alla violazione contestata.
Il potere esercitato riguarda, quindi, esigenze attinenti all’ordine pubblico, la cui gestione non spetta al sindaco, ed ha funzioni anticipatorie rispetto alla sanzione accessoria che quest’ultimo applicherà in attuazione del comma 10 dell’art. 110 cit. La disposizione contenuta nel comma 11^ appare del resto in linea con il quadro normativo delineatosi anche in conseguenza dell’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, poiché il nuovo testo dell’art. 117 Cost. riserva allo Stato (comma 2, lett. h) le funzioni normative in materia di ordine pubblico e non v’è dubbio che la vigilanza sul gioco d’azzardo sia questione che riguarda l’ordine pubblico.
Il provvedimento di sospensione, poi, non appare connesso agli accertamenti di responsabilità penale e alle relative conseguenze nei confronti del trasgressore, trattandosi, nelle ipotesi di cui ai commi 10 e 11 dell’art. 110 cit., di provvedimenti diversi ed autonomi rispetto alle previsioni del codice penale, che operano disgiuntamente e colpiscono il trasgressore sotto profili diversi (cfr. Cons. Stato, IV Sezione, 14 ottobre 2005 n. 5802 e T.A.R. Toscana, I Sezione, 18 marzo 2008 n. 318). Orbene, non vi è dubbio che, come ha rilevato la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI Sezione, 21 maggio 2007 n. 2534 sia pure al fine di affermare la insussistenza nel caso di specie dell’obbligo di previa comunicazione dell’avvio del procedimento al destinatario dell’atto finale secondo quanto stabilito dall’art. 7, primo comma, della legge n. 241/1990) si tratta di provvedimento che, stante la sua natura cautelare, è chiamato ad intervenire con immediatezza in presenza di condizioni di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, cui deve farsi fronte in termini ristretti stante il carattere prevalente degli interessi di rilievo pubblico tutelati. E, tuttavia, non può ritenersene nel caso di specie la illegittimità per una sorte di intempestività che risulterebbe contraddire la natura cautelare dell’atto, dovendosi osservare che nel caso di specie l’amministrazione, evidentemente ritenendo in base a discrezionali valutazioni delle specifiche circostanze, le finalità cautelari della sospensione compatibili con la partecipazione dell’interessato al relativo procedimento, ha provveduto a comunicare l’avvio del procedimento per la sospensione dell’attività assegnando un termine per rendere “giustificazioni”, che sono state peraltro rese e valutate dall’amministrazione procedente. In altri termini, ad avviso del Collegio, la circostanza per cui l’atto del Questore non sia intervenuto nella immediatezza del ritrovamento degli apparecchi di che trattasi non ne contraddice la natura cautelare e, soprattutto, non è idonea e sufficiente a renderlo illegittimo.
In definitiva, quanta parte del ricorso è volta avverso il decreto del Questore è infondata.
Residuano da esaminare le questioni relative al provvedimento del Comune di Genzano, in data 6 ottobre 2004, recante sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande. Provvedimento invero revocato, come si è esposto nella narrativa in fatto, già il 13 ottobre 2004 con altro provvedimento, n. 136/2004, in epoca precedente la stessa proposizione del ricorso.
Non vi è dubbio quindi che quanta parte della presente impugnativa concerne il provvedimento comunale del 6 ottobre 2004 è inammissibile per difetto di interesse, essendo impugnato un atto che già al momento della proposizione del gravame era stato revocato dal Comune di Genzano.
Residua, tuttavia, la questione risarcitoria, sulla quale non a caso più largamente si diffonde parte ricorrente.
Sul punto, il Comune di Genzano eccepisce il difetto di giurisdizione di questo giudice trattandosi di danno prodotto da provvedimento poi revocato.
L’eccezione di difetto di giurisdizione è infondata.
Ferma la pacifica ammissibilità di un’azione di risarcimento nella quale rilevi l’annullamento dell’atto conseguente ad autotutela o all’uso di rimedi giustiziali, in quanto la proponibilità della domanda risarcitoria non implica necessariamente un’affermazione giurisdizionale della patologia dell’atto che reca la lesione (cfr. T.A.R. Lazio Latina, 27 febbraio 2006 , n. 169), osserva il Collegio che qualora venga in contestazione il legittimo esercizio dell’attività amministrativa, come avviene nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia stato annullato o revocato dalla p.a. nell’esercizio del suo potere di autotutela decisoria, ovvero sia stato rimosso a seguito di pronuncia definitiva del giudice amministrativo, ovvero ancora abbia esaurito i suoi effetti a seguito del decorso del termine di efficacia ad esso assegnato dalla legge, l’azione risarcitoria rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi comunque della tutela dell’interesse legittimo leso dall’esercizio illegittimo del potere dell’Amministrazione (cfr. Cassazione civile , sez. un., 23 gennaio 2006 , n. 1207).
Ciò detto in punto di giurisdizione, va poi osservato, in termini generali, che in tema di responsabilità dell’amministrazione per attività provvedimentale illegittima e con riguardo all’elemento soggettivo della colpa, la giurisprudenza ha escluso l’applicabilità dei principi concernenti la responsabilità contrattuale per inadempimento in ordine alla presunzione relativa di colpa e l’ascrizione  all’amministrazione dell’onere di dimostrare la propria incolpevolezza, e, nel far uso dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, ha ripetutamente affermato che, mentre il privato può limitarsi a fornire al giudice elementi indiziari quali la gravità della violazione (come presunzione semplice di colpa e non già come criterio di valutazione assoluto), il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento, dal canto suo l’amministrazione può allegare elementi, anch’essi indiziari, rientranti nello schema dell’errore scusabile, spettando poi al giudice apprezzarne e valutarne liberamente l’idoneità a comprovare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione stessa, senza che possa considerarsi valida l’equazione "illegittimità dell’atto-colpa dell’apparato pubblico" (cfr. Sez. V, 20 marzo 2007 n. 1346). In altri termini, la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione conseguente all’adozione di provvedimenti illegittimi dev’essere inserita nel sistema dell’accertamento dell’illecito extracontrattuale delineato dagli artt. 2043 ss. cod. civ., alla stregua del quale l’imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell’illegittimità del provvedimento (cfr. **********, V Sez., 6 marzo 2007 n. 1049).
In tale contesto, è stato altresì evidenziato che anche la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia CE 5 marzo 1996, cause riunite nn. 46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994), pur assegnando valenza decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi di quel carattere, il grado di chiarezza e precisione della norma violata, la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla
questione esaminata e definita dall’amministrazione, nonché la novità della medesima questione, riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto, in analogia all’elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni) In base al riferito orientamento, deve quindi affermarsi che la responsabilità va riconosciuta quando la violazione risulti grave, ma anche commessa  dell’ambito di circostanze di fatto e di riferimenti normativi e giuridici tali da rivelare negligenza ed imperizia nell’assunzione del provvedimento illegittimo; e di contro va esclusa quando l’indagine presupposta riveli la sussistenza degli estremi dell’errore scusabile per la presenza di incertezza del dato normativo o di contrasti giurisprudenziali o di complessità della situazione di fatto (cfr., da ultimo, Cons.
Stato, V Sezione, 20 ottobre 2008 n. 5124).
Nel caso di specie lo stesso Comune di Genzano ha, quasi con immediatezza, disposto la revoca del primo provvedimento (quello asseritamente produttivo di danno risarcibile) recante la sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande nel presupposto della sua illegittimità.
Orbene, è vero che secondo l’avviso maggioritario in giurisprudenza, dalla lettura dei commi 10 ed 11 dell’art. 110 del citato T.U.L.P.S., risulta, con evidenza, che soltanto l’Autorità di P.S. – e non anche l’Amministrazione comunale – ha la potestà di irrogare la misura provvisoria della sospensione della licenza commerciale prima dell’intervento di una sentenza penale di condanna.
Il comma 10 dell’art. 110, infatti, richiama espressamente il comma 9 della medesima disposizione e gli «illeciti» ai quali la norma si riferisce nella fattispecie sono individuabili unicamente in quelli puniti con sanzione di natura penale, pertanto in relazione a detti illeciti, i provvedimenti amministrativi di cui al comma 10 (sospensione e revoca) possono essere adottati soltanto dopo una sentenza penale di condanna. Secondo questo orientamento, la esposta conclusione discende sia dall’utilizzo della frase "gli autori degli illeciti" e sia dalla circostanza che il comma 10 obbliga espressamente il sindaco a revocare l’autorizzazione in caso di «recidiva» (concetto che implica l’esistenza di una precedente condanna) e, dunque, coerentemente (con riguardo al presupposto rappresentato dal decisum dell’A.G.O.), deve ritenersi che l’adozione della sospensione e della revoca trovi  identico fondamento in un accertamento giurisdizionale (cfr. TAR Emilia
Romagna, Bologna, sez. I, 19 settembre 2003, n. 1567; TAR Piemonte, Torino sez. I, 2 luglio 2003, n. 1012).
Secondo questa tesi, la sospensione dell’autorizzazione è da ritenersi, perciò, una misura amministrativa che produce un effetto punitivo aggiuntivo rispetto alla
sentenza penale di condanna, consentendo all’Autorità amministrativa di determinare, nell’ambito di un ristretto margine discrezionale, il quantum della sanzione (cfr. T.A.R. Sardegna, II Sezione, 23 febbraio 2007 n. 284).
Ma, di contro, è stato pure osservato in giurisprudenza che la sospensione dell’attività di somministrazione, disposta dal Sindaco ai sensi dell’art. 110 del TULPS, non presuppone l’accertamento, da parte del Giudice Penale, del reato contravvenzionale di cui al citato art. 110.
Infatti, secondo questo avviso interpretativo, il provvedimento amministrativo di sospensione risulta essere indipendente dalla contravvenzione prevista dall’art. 110, non potendo essere considerato alla stregua di una sanzione accessoria a quella penale principale (nel caso di specie, ammenda), la cui irrogazione presuppone l’accertamento e la qualificazione della condotta contestata da parte del Giudice Penale.
L’ordinanza sindacale ha una finalità di prevenzione, diversa da quella, più specificamente afflittiva-retributiva, propria della sanzione penale, sicché non esiste alcuna pregiudizialità dell’accertamento penale rispetto all’adozione del provvedimento amministrativo.
Di conseguenza, l’ordinanza sindacale si fonda, quanto all’accertamento dei presupposti di fatto per la sua adozione, sul verbale redatto dalle Forze di Polizia nel corso del sopralluogo, verbale costituente atto pubblico, al quale deve essere attribuita efficacia probatoria privilegiata. Si rileva ancora che, stante la già evidenziata autonomia del provvedimento amministrativo rispetto al procedimento penale, l’ordinanza sindacale non presuppone il dolo o la colpa della titolare dell’autorizzazione sospesa, ma si fonda sull’oggettivo presupposto dell’esistenza, all’interno del locale, di apparecchi per il gioco (d’azzardo), non conformi alle disposizioni ed ai nulla osta che ne regolano e
consentono l’utilizzo (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 16 febbraio 2006 , n. 412).
In presenza dunque di orientamenti giurisprudenziali non univoci, con precedenti giurisprudenziali alla cui stregua il primo provvedimento del Comune di Genzano, quello poi revocato, sarebbe stato ritenuto legittimo, non può che escludersi la sussistenza, nella presente fattispecie, dell’elemento soggettivo della colpa in capo al Comune di Genzano.
E dunque anche la pretesa risarcitoria deve essere ritenuta infondata, non sussistendo le prescritte condizioni per la risarcibilità dei danni asseritamente sofferti dal ricorrente.
Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso deve essere in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto.
Sussistono giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione interna prima ter, in parte dichiara inammissibile e in parte respinge, ai sensi di cui in motivazione, il ricorso proposto da S. **, di cui in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2009 con l’intervento dei Magistrati:
***************, Presidente
*******************, ***********, Estensore
***************, Consigliere
L’ESTENSORE                                                                   IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/09/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL
 

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