Tar Catanzaro, I, sent. N. 299-2011 in materia di ambiente

sentenza 17/03/11
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N. 00299/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00827/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso R.G. n. 827 del 2010, proposto da “ditta ** di ** **”, rappresentata e difesa dagli avv.ti ************* e ***************, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. ************, in Catanzaro, via Vittorio Veneto, n. 48;

contro

Provincia di **, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti ***************** e ******************, con domicilio eletto presso la prima, in **, c/o Ufficio Legale della Provincia di **;

per l’annullamento

-della nota prot. n. 27127 del 13.5.2010 a firma del Dirigente del Settore Ambiente e Polizia Provinciale della Provincia di **, con la quale è stato espresso il diniego all’istanza di proroga formulata dalla ditta “**”, finalizzata alla prosecuzione dell’attività di recupero ambientale in regime di procedura semplificata delle ceneri leggere e pesanti;

di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Provincia di ** Assessorato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del giorno 27 gennaio 2011, il cons. ***************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO

Con atto notificato in data 12.7.2010, la ricorrente società, avente ad oggetto lo svolgimento di attività di recupero di rifiuti non pericolosi e, in particolare, di ceneri dalla combustione di biomasse, premetteva che, con istanza prot. n. 15184 del 2.5.2005, aveva chiesto alla Provincia di **-Settore Ambiente di poter eseguire l’attività di recupero (R5) (R10), in regime di procedura semplificata, per la riqualificazione ambientale con “rimodellamento geomorfologico e restituzione aree degradate ad usi produttivi”, mediante il trattamento dei rifiuti prodotti dalla combustione di biomasse, in relazione ad un terreno agricolo, sito in località **-** del Comune di ** (KR).

Precisava di essere iscritta al registro Provinciale delle imprese ai sensi dell’art. 33, comma 3° del D. Lg.vo n. 22/97, limitatamente alle attività di recupero (R5) (R 10) dei rifiuti pericolosi previsti al par. 13.2. del Cap. 13 dell’All. 1 Suball. 1 al D.M. 05/02/1998, giusta nota prot. n. 15809 del 5.5.2005 al n. 33 KR.

Esponeva che, in conseguenza della nota dell’** del 22.9.2008, che comunicava il riscontro del superamento dei limiti di concentrazione stabiliti dalla normativa tecnica, la Provincia di **, con provvedimento prot. 42279 del 2.10.2008, diffidava la ricorrente società a non intraprendere alcuna attività di recupero delle ceneri leggere (COD CER 10 01 03 ) provenienti dalla Centrale di Biomasse di *********, fino all’espletamento di ulteriori attività di accertamento da parte del precitato organo di controllo ambientale.

Precisava che tale provvedimento inibitorio veniva successivamente revocato con atto prot. n. 49933 del 15.10.2008, con cui si consentiva alla ricorrente società di effettuare le operazioni di messa in riserva e recupero delle sole attività individuate con i codici R5 ed R 13, con esclusione, quindi, di quelle riconducibili al codice R 10, e che, a seguito di ulteriori riscontri eseguiti dall’**, il Dirigente del Settore Ambiente della Provincia di **, con nota prot. n. 16697 del 27.3.2009, disponeva il divieto di prosecuzione delle attività di recupero delle ceneri leggere e pesanti e delle attività di recupero (R10), ai sensi degli artt. 214 e 216 del D L.gvo n. 152 del 2006 .

Esponeva che, a seguito di alcuni rilevamenti dell’** e la nota del 3.8.2009 dell’impresa ricorrente attestante la regolarità di tutti i valori, con contestuale richiesta di ritiro del provvedimento di sospensione del 26.10.2009, la Provincia di **, con ********* n. 26 del 18.1.2010, assentiva l’attività di recupero ambientale e, nel contempo, revocava il divieto del 14.4.2009, di diffida a proseguire le attività di recupero in R 10, disponendo che il suddetto provvedimento di conferma avrebbe avuto efficacia sino al 5.5.2010.

La ricorrente società precisava che, trovandosi impossibilitata ad intraprendere l’attività anche a causa di un’infondata denuncia, che aveva provocato danni ingenti nonché al fine di evitare l’onere di inoltrare una nuova comunicazione di inizio attività almeno 120 giorni prima della data di scadenza (5.5.2010 ), cioè entro il 5.1.2010, aveva presentato, con nota prot. 4406 del 26.1.2010, un’istanza intesa ad ottenere l’assenso a poter proseguire la propria attività sino al 5.7.2011, cioè per i successivi 426 giorni.

Con il presente ricorso lamentava che la suddetta istanza veniva negativamente riscontrata con l’epigrafato provvedimento prot. 27127 del 13.5.2010, che, ritenuta la legittimità dei provvedimenti inibitori adottati nel marzo e nell’aprile del 2009, precisava altresì che le quantità massime delle ceneri da recuperare non dovevano superare le 1000 ton/anno.

A sostegno del proprio ricorso, deduceva:

1) violazione dell’art. 10 bis della legge 7.8.1990 n. 241. Eccesso di potere per insufficiente istruttoria.;

Non sarebbe stato inviato il preavviso di rigetto, pur trattandosi di un provvedimento avente notevoli connotati di discrezionalità amministrativa.

2) violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990 n. 241. Eccesso di potere per insufficienza di istruttoria. Carenza di motivazione. Manifesta irragionevolezza. Sviamento di potere.

L’impugnato provvedimento presenterebbe un deficit motivazionale.

Concludeva per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.

Con memoria depositata in data 28.7.2010, si costituiva l’intimata amministrazione per resistere al presente ricorso.

Con memoria depositata in data 20.12.2010, parte ricorrente rilevava che la valutazione in ordine alla possibilità di concedere una protrazione cronistica del termine di efficacia di un termine di un precedente provvedimento risentirebbe inevitabilmente di un collegamento tra il potere di proroga e l’esercizio discrezionale del medesimo potere, con conseguente impossibilità di comprimere il diritto partecipativo dell’istante, codificato nell’art. 10 bis della l. n. 241/1990.

Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2010,il ricorso passava in decisione.

DIRITTO

1.Viene impugnata la nota prot. n. 27127 del 13.5.2010 a firma del Dirigente del Settore Ambiente e Polizia Provinciale della Provincia di **, dispositiva del diniego all’istanza di proroga formulata dalla ditta “**” con nota prot. 4406 del 26.1.2010, intesa ad ottenere l’autorizzazione a proseguire sino al 5.7.2011 l’attività di recupero (R5) (R10), in regime di procedura semplificata, per la riqualificazione ambientale con “rimodellamento geomorfologico e restituzione aree degradate ad usi produttivi”, mediante il trattamento dei rifiuti prodotti dalla combustione di biomasse, in relazione ad un terreno agricolo, sito in località **-** del Comune di ** (KR), come già assentito con ********* n. 26 del 18.1.2010 fino al termine del 5.5.2010.

2.1. Possono essere esaminate congiuntamente entrambe le censure, inerenti, rispettivamente, la dedotta violazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990, per non aver la P.A. comunicato preventivamente le ragioni ostative all’accoglimento della richiesta , con assegnazione di un termine per replicare nonché la violazione dell’art. 3 della l. 241/1990, per difetto di motivazione, poiché presuppongono la soluzione di identiche questioni.

Vanno premesse alcune brevi considerazioni.

Il cosiddetto “Trattato di Lisbona” (pubblicato sulla GUUE n. C/115 del 9 maggio 2008), in vigore dal 1° dicembre 2009, dedica un intero Titolo all’ambiente (*********, artt. 191-193) e, in particolare, con l’art. 191 -che sostituisce il previgente art. 174 del Trattato della CEE- pone fra gli obiettivi della politica dell’U.E., quello della “salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente”, della “protezione della salute umana”, della “utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali” e della “promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici”, precisando che la politica dell’Unione in materia ambientale “mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione” ed è “fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”.

La Direttiva 26 aprile 1999 n. 1999/31/CE relativa alle discariche dei rifiuti, con l’art.1 afferma che in materia è perseguito l’obiettivo di prevenire e ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti e con l’art. 6 pone il principio secondo il quale gli Stati membri provvedono affinché solo i rifiuti trattati vengano collocati a discarica.

La regola del previo trattamento – inteso come processo fisico, termico, chimico, o biologico, inclusa la cernita, che modifichi le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero (cfr. art. 2, lett. h della direttiva), ha lo scopo di ridurre la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana o l’ambiente.

In coerente applicazione del principio generale di “proporzionalità”, la suddetta Direttiva stabilisce che la precitata disposizione non trova applicazione in relazione ai rifiuti inerti il cui trattamento non è tecnicamente possibile, né a qualsiasi altro rifiuto il cui trattamento non contribuisca agli obiettivi di cui all’articolo 1 della direttiva, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana o l’ambiente (“This provision may not apply to inert waste for which treatment” o “Cette disposition ne puet s’appliquer aux dèchets inerts, etc.”).

Nell’ordinamento nazionale, la materia risulta disciplinata dall’art. 214 del D.L.vo 3.4.2006 n. 152 del 2006 e dal D.M. 5.4.2006 n. 186, che ha modificato ed integrato il D.M. 5 febbraio 1998.

Non vi è dubbio che l’ammissione dell’attività di recupero alla procedura semplificata è legittimata dal rispetto della normativa tecnica di riferimento.

La questione inerente il rapporto tra procedura semplificata ed impianti che recuperano rifiuti è stata esaminata dalla nota pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 23 novembre 2006, causa C-486/04, che ha sanzionato per inadempimento l’Italia, per aver adottato, nella normativa nazionale di recepimento della direttiva 85/337/C.E.E., un “criterio inadeguato”, escludendo dalla valutazione di impatto ambientale i progetti di impianti che effettuano operazioni di recupero dei rifiuti in procedura semplificata ex D.L.gvo n. 22 del 1997. Tale criterio è stato ritenuto inadeguato “nella misura di cui può portare ad escludere dalla detta valutazione progetti che hanno un impatto ambientale rilevante” e non tiene conto dei parametri di selezione fissati nell’Allegato III della citata Direttiva 27 giugno 1985 n. 85/337/C.E.E.

Ed invero, la previgente versione del D.Lg.vo 3.4.2006 n.152, sulla quale è intervenuta la suddetta pronuncia della Corte di giustizia C.E. del 23 novembre 2006, esentava gli impianti di recupero dei rifiuti sottoposti alle procedure semplificate, per cui, a seguito delle modifiche introdotte con ******** 16.1.2008 n. 4. al D.L.vo n. 152 del 2006, gli Allegati III e IV , contenenti, rispettivamente, i progetti da sottoporre a v.i.a. e a verifica di assoggettabilità, non è più prevista alcuna esclusione per gli impianti di recupero rifiuti sottoposti alle procedure semplificate.

La precitata pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 23 novembre 2006, causa C-486/04 ha posto una distinzione tra finalità dell’attività di recupero (preservare le risorse naturali) e modalità con le quali l’attività di recupero viene effettuata, poiché le operazioni di smaltimento e di recupero di rifiuti si distinguono per lo scopo perseguito e non per i mezzi adoperati, potendo entrambe egualmente comportare rilevanti ripercussioni per l’ambiente, senza che la normativa nazionale possa dispensare anticipatamente dall’ambito di applicazione della disciplina sulla v.i.a. gli impianti che effettuano operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi, senza averne previamente accertato in concreto la loro incidenza ambientale.

Recentemente la Corte Costituzionale, con sentenza 8.4.2010 n.127 ha ribadito che, essendo attualmente l’effettuazione della VIA subordinata, anziché alla determinazione di soglie, allo svolgimento di un subprocedimento preventivo volto alla verifica dell’assoggettabilità dell’opera alla VIA medesima (art. 20 d.lg. n. 152 del 2006), per i progetti indicati dall’allegato IV al D.Lgvo. n. 152 del 2006, sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni, non sembra che queste possano derogare all’obbligo di compiere la verifica, potendo solo limitarsi a stabilire le modalità con cui procedere alla valutazione preliminare alla VIA vera e propria, poiché siffatto obbligo attiene al valore della tutela ambientale, che, nella disciplina statale, costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, senza consentire di introdurre limiti quantitativi all’applicabilità della disciplina, anche se giustificati dalla ritenuta minor rilevanza dell’intervento configurato o dal carattere tecnico dello stesso.

In coerenza con tali principi, il (modificato) D.L.gvo n. 152 del 2006 con gli artt. 214, 215 e 216, sotto il comune titolo di “procedure semplificate” (capo V del titolo I della parte quarta del decreto) reca, ove siano osservate le prescrizioni stabilite con gli appositi decreti di cui al comma 2 dell’art. 214 (v. D.M. 5 febbraio 1998 e s.m.i.), una esplicita deroga soltanto al regime autorizzatorio ordinario di cui agli artt. 208 e segg. (capo IV dello stesso titolo I: “Autorizzazioni e iscrizioni”), consentendo senz’altro, alle condizioni ivi indicate, l’esercizio delle operazioni di recupero decorsi 90 (novanta) giorni dalla comunicazione di inizio senza che siano nel frattempo intervenuti provvedimenti inibitori, in regime, appunto di “procedura semplificata”.

Invero, la lettura coordinata delle commentate disposizione della parte II e IV del D.L.vo n. 152 del 2006 consente di ritenere che le esigenze di protezione ambientale non siano affatto garantite ex ante dall’osservanza dei parametri ex D.M. 5 febbraio 1998 (che non assorbono, quindi, la valutazione dell’impatto ambientale, ma costituiscono soltanto le condizioni di esonero dall’autorizzazione), come confermato dallo stesso tenore testuale dell’articolo introduttivo (art. 1 comma 1) del decreto medesimo, il quale premette alla definizione dei parametri che “le attività, i procedimenti, e i metodi di recupero…….non devono costituire un pericolo per la salute dell’uomo e recare pregiudizio all’ambiente e in particolare” creare rischi per acqua, aria, suolo, flora e fauna, rumori ed odori, né danni al paesaggio: premessa di carattere generale che sarebbe del tutto superflua ed ultronea, se tale esigenza di tutela ambientale fosse già ex se assicurata dall’osservanza dei parametri tecnici successivamente stabiliti.

Conseguentemente, devesi ritenere che il tempestivo provvedimento inibitorio è non soltanto legittimo, ma doveroso, non solo se siano violati i parametri ex D.M. 5 febbraio 1998, come espressamente previsto dal comma 4 dell’art. 216, ma ogni qual volta sia verificata la mancanza di una qualsiasi delle condizioni di legge generalmente prescritte, per il tipo di attività di cui si tratta.

Del resto, siffatta modalità è comune a diversi settori ordinamentali, ogni qual volta un’attività (es. edilizia, commerciale) ordinariamente sottoposta a regime autorizzatorio (o concessorio), sia consentita, in ragione della sua modesta entità, previa semplice comunicazione e salvo divieto esplicito entro un termine certo: divieto che è vincolato non solo dal superamento dei limiti dimensionali che consentono di derogare al regime autorizzatorio/concessorio, ma anche dalla mancanza degli altri requisiti (soggettivi e oggettivi) di legge, cui è sempre e comunque subordinata l’attività, a prescindere dalle modalità procedurali che ne consentono lo svolgimento, ma in ogni caso previa completa verifica di tutte le condizioni di legge.

In altre parole, in base al tenore letterale, alle finalità dell’istituto della procedura semplificata, alle finalità della disciplina dello screening ambientale e della v.i.a., alla superiore normativa comunitaria in materia di tutela ambientale, recepita dallo stesso D.L.vo n. 4 del 2008 modificativo del D.L.vo n. 152 del 2006, si deve ritenere che la portata derogatoria degli artt. 214, 215 e 216 D.L.vo n. 152 del 2006 si esaurisce sul piano procedurale e non opera su quello sostanziale.

L’interesse pubblico consacrato nella norma attributiva del potere (art. 216, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006) è connesso all’inibitoria di attività le quali, pur predisposte per il soddisfacimento dell’interesse pubblico finale del riciclo dei rifiuti, siano in concreto svolte in modo da arrecare pericolo per la salute dell’uomo e/o pregiudizio all’ambiente.

Pertanto, l’inibitoria può intervenire non solo nel caso di inosservanza delle norme tecniche sulle quantità ed i tipi di rifiuti recuperabili, ma anche nell’ipotesi di contrasto dell’attività di recupero dei rifiuti con le norme vigenti in materia di tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente, come si evince dal combinato disposto dell’art. 216, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 1, comma 3, del D.M. 5 febbraio 1998, come modificato ed integrato dal D.M. 5.4.2006 n. 186.

2.2. Orbene, nel caso che occupa, l’impugnato provvedimento correttamente evidenzia le ragioni del diniego in riferimento alle risultanze analitiche contenute nella nota dell’** del 4.3.2009, secondo cui si era “evidenziato il superamento del parametro Cloruri per le ceneri leggere classificate con Cod. CER 10 01 03 (messi in riserva – attività R13- nel cantiere di proprietà della ditta “**” nonché “il superamento del parametro “COD” relativamente al terreno misto a cenere prelevato il Loc. Cipodero…(luogo oggetto di recupero in R10 delle citate ceneri…), nonché in riferimento alla relazione dell’** del 8.4.2009, attestante che “sul campione di ceneri leggere (CER 10 01 03 ) è risultata una concentrazione dei cloruri dal test di cessione pari a 332 mg/l , superiore al limite di 100 mg/l”, riportato nella tabella dell’Allegato 3 del DM n. 186/06” (pag. 2/3).

Conseguentemente, in coerente applicazione dei principi già enunciati, ritiene il Collegio che correttamente la P.A. si sia determinata, nella specie, nel senso della non sussistenza dei presupposti per la concessione della proroga, facendo altresì riferimento al sopravvenuto “DM n. 186/2006, che prevede il criterio delle quantità massime impiegabili dei rifiuti che si possono recuperare (Allegato IV) nelle attività ammesse a procedure semplificate che nel caso delle ceneri è di 1000 ton/anno”.

Invero, alla stregua della conformità della avversata decisione amministrativa alle disposizioni regolanti la materia di che trattasi, ritiene il Collegio che i vizi procedimentali denunciati non siano invalidanti, non potendosi revocare in dubbio che l’esito del procedimento non avrebbe potuto in alcun modo variare, anche se fosse stata data l’opportunità alla ricorrente società di intervenire depositando memorie difensive, in quanto l’applicazione delle norme disciplinanti la fattispecie e, in particolare, le norme tecniche contenute nell’Allegato IV del DM n. 186/2006, che prevede il criterio delle quantità massime impiegabili dei rifiuti che si possono recuperare, avrebbero, comunque, impedito l’assenso alla prosecuzione dell’attività.

Come afferma la giurisprudenza, l’art. 21-octies l. n. 241 del 1990 deve ritenersi applicabile, oltre che alla violazione degli artt. 7 e 8 della l. 241/1990, anche alla violazione dell’art. 10-bis della stessa legge, dal momento che la mancata emanazione del provvedimento di preavviso del rigetto non incide sulla validità del provvedimento conclusivo del procedimento nel caso in cui quest’ultimo abbia contenuto vincolato (ex plurimis: Cons. Stato Sez. II 30.7.2009 n. 4802).

Recita quella disposizione che il provvedimento non è annullabile quando ricorrano necessariamente tutti questi elementi: a) violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti; b) natura vincolata del provvedimento; c) essere “palese” che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Ne consegue anche la sufficienza della motivazione dell’impugnato provvedimento che correttamente fa discendere la propria statuizione di diniego dal contrasto dell’attività svolta con le precise norme regolamentari e legislative disciplinanti la materia, a causa del superamento dei limiti prestabiliti.

Pertanto, il ricorso si appalesa infondato e va rigettato.

Le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

**************, Presidente

*****************, ***********, Estensore

*****************, Referendario

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/03/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

sentenza

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