TAR Campania, sentenza N. 2135/2008 dep. 14.4.2008 CHE annulla il Piano regionale delle attività estrattive

sentenza 08/05/08
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F A T T O
Giova premettere che:
– con delibere n. 7253 del 27/12/2001, n. 3093 del 31/10/2003 e n. 1544 del 6/8/2004, la Giunta regionale della Campania adottava la proposta per il Consiglio regionale del Piano regionale delle attività estrattive (PRAE) sulla base di un progetto elaborato dall’Università degli studi di Napoli “Federico II”, all’uopo incaricata dalla Regione e recepito con delibera di Giunta regionale n. 634 dell’8/2/2000;
– con delibera consiliare n. 14 del 24/4/2004, seguita dalla delibera consiliare n. 31 del 30/9/2004, il Comune di Casamarciano, nella qualità di capofila di una intesa con i Comuni di Tufino, Visciano e Comiziano, formulava le osservazioni al PRAE relative ai territori dei comuni in questione, elaborate sulla base di un documento tecnico predisposto dall’Agenzia Locale di Sviluppo dei Comuni dell’Area Nolana, società consortile costituita tra i citati enti locali;
– con ordinanza n. 719 del 2/8/2005, il Tribunale amministrativo regionale della Campania, dopo aver accolto il ricorso proposto ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 1034 del 1971 dalla società ** **, operante nel settore dell’attività estrattiva, disponeva la nomina di un Commissario ad acta in relazione alla perdurante inerzia dell’amministrazione regionale all’approvazione del PRAE;
– con delibera di Giunta n. 2 del 19/1/2006, seguita da delibera consiliare n. 3 del 27/1/2006, il Comune di Casamarciano ribadiva le osservazioni al PRAE nei confronti del Commissario ad acta;
– con ordinanza n. 11 del 7/6/2006, il Commissario ad acta provvedeva all’approvazione del PRAE.
Con ricorso notificato il  5.8.2006, i Comuni di Tufino, Visciano e Casamarciano, impugnavano gli atti in epigrafe.
La Regione Campania si costituiva in giudizio, per resistere al ricorso.
Con atti notificati rispettivamente il 12/10/2006 ed il 27/12/2006, sono intervenuti “ad adiuvandum” l’Agenzia Locale di Sviluppo dei Comuni dell’Area Nolana ed il Comune di Palma Campania.
Con atti notificati il 10/11/2006 ed il 25.5.2007, i Comuni ricorrenti estendevano l’impugnativa all’ordinanza commissariale n. 12 del 6.7.2006, recante modifiche e rettifiche al PRAE, ed alla delibera di Giunta regionale n. 323 del 7.3.2007 con la quale la Regione, in esecuzione del PRAE, ha approvato le nuove aree suscettibili di estrazione e la perimetrazione dei comparti estrattivi.
Si costituivano in giudizio, per resistere al ricorso, la Regione ed il Ministero dell’ambiente, nonché le società ** ** ed **.
La domanda incidentale di sospensione non veniva trattata essendo cancellata dal ruolo cautelare.
D I R I T T O
1. La difesa erariale invoca preliminarmente l’estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva.
La richiesta va accolta in quanto nella controversia in esame l’amministrazione dello Stato non assume la veste formale di contraddittore necessario avuto riguardo agli atti impugnati.
2. Nel merito i Comuni ricorrenti deducono censure che possono essere così riassunte:
– le articolate e puntuali osservazioni presentate dai Comuni ricorrenti e da numerose altre amministrazioni locali non risulterebbero debitamente valutate e comunque risulterebbero immotivatamente disattese; le comunità locali sarebbero state estromesse dal processo decisionale; ciò sarebbe in contrasto con l’art. 2, co. 1, della legge regionale n. 54 del 1985, nella parte in cui prevede che i Comuni siano “sentiti”, con il principio di reale e leale collaborazione posto dall’art. 114 della Costituzione, con gli artt. 1 e 4 della legge regionale n. 16 del 2004, che contempla il metodo della cooperazione e dell’intesa tra gli enti nelle scelte attinenti al governo del territorio, nonché con i principi desumibili dagli artt. 15 e 20 della stessa legge n. 16 del 2004, con la direttiva 2001/42/CE e l’art. 174 del Trattato UE che richiama il principio di precauzione e di sostenibilità dello sviluppo; l’estromissione delgi enti locali dal processo decisionale sarebbe vieppiù grave in quanto l’art. 2, co. 10, della citata legge regionale n. 54 del 195 impone ai Comuni di adeguare i propri strumenti urbanistici al PRAE;
– il PRAE conterrebbe previsioni preordinate alla devastazione del territorio che stravolgerebbero i piani regolatori vigenti, confliggerebbero con la normativa del Piano territoriale di coordinamento provinciale e con il Piano di sviluppo socio economico della Comunità Montana Montedonico – Tribucco e contasterehbbero con le finalità e le compatibilità di difesa ambientale, di tutela della salute e di recupero architettonico e monumentale proclamate nell’art. 2 della legge regionale n. 54 del 1985, oltre che nella legge regionale n. 16 del 2004, e nell’art. 1 delle norme di attuazione dello stesso PRAE; la pianificazione regionale qualifica ampie porzioni del territorio dei Comuni ricorrenti come aree suscettibili di nuove estrazioni e come aree di riserva, senza considerare gli elementi di grave criticità che incidono negativamente sul territorio in questione, tanto da determinarre l’inclusione ad opera del decreto del Ministro dell’ambiente del 31.1.2006 tre gli interventi di bonifica di dinteresse nazionale e senza neppure considerare le valenze paesaggistiche, naturalistiche ed antropiche esistenti sul territorio; tale qualificazione comprende anche zone del centro abitato, aree culminali delle creste collinari, aree confinanti con siti di interesse archeologico (note della Soprintendenza Archeologica pere le province di Napoli e Caserta prot. n. 514 del 9.2.1998 e n. 3682 del 18.2.1998) e con aree soggette all’uso civico (in conflitto con quanto previsto dallo stesso art. 7, co. 1, lett. b, delle norme tecniche), con aree boscate (cfr. punto c, dell’articolo sopra citato), in zona di tutela e di rispetto delle acque destinate al consumo umano (cfr. lett. f), oppure tra i siti di interesse comunitario nelle zone di protezione speciale (cfr. punto g), nelle aree oggetto di interventi finanziati con fondi comunitari, statali o regionali (cfr. lett. i), in aree di difesa del suolo di slavaguardia ambientale (artt. 10 e 11 del PTCP), in ambiti dei parchi territoriali (art. 13 PTCP), in contiguità con insediamenti storici (art. 16 PTCP), con la localizzazione di parchi di attività integrate (art. 24 PTCP) nonché zone classificate a rischio e assoggettate a vincolo dal Piano stralcio per l’assetto idrogeologico nord – occidentale della Campania, approvato con delibera del Comitato istituzionale dell’Autorità di Bacino n. 11 del 10.5.2002, in applicazione dell’art. 12 del decreto legge n. 398 del 1993, che costituisce Piato territoriale di settore vincolante in base all’art. 17 della legge n. 183 del 1989 e dell’art. 9 della legge regionale n. 8 del 1994;
– mancherebbe il parere della Commissione consultiva regionale richiesto dell’art. 2 della legge regionale n. 54 del 1985;
– il procedimento risulterebbe altresì in contrasto con l’art. 5 della legge regionale n. 16 del 2004 e con l’art. 9, co. 1, lett. b), della direttiva 2001/42/CE,
– mancherebbe il parere dell’Autorità di Bacino, secondo quanto previsto dall’art. 6, co. 1, lett e), del Piano stralcio per l’assetto idrogeologico; mancherebbe inoltre lo studio di compatibilità idraulica e idrogeologica previsto dagli artt. 35 e seguenti del cennato Piano stralcio;
– mancherebbe l’attivazione del procedimento di valutazione ambientale strategica (VAS) disciplinato dalla direttiva comunitaria 2001/42/CE, recepita dalla legge regionale n. 16 del 2004 (art. 47);
– le scelte di piano sarebbero basate su una metodologia puramente empirica e non sorretta da valutazioni di sostenibilità ambientale; inoltre sarebbe illogico ed irragionevole il calcolo su base provinciale del fabbisogno di materiale estrattivo, attesa la elevata densità demografica della provincia di Napoli.
Con i motivi aggiunti, i Comuni ricorrenti, oltre a ribadire in via derivata le censure sopra esposte, contestano inoltre contro la delibera regionale sopravvenuta in corso di giudizio, la individuazione di nuove aree suscettibili di estrazione, la mancanza di uno studio e/o ricerca estrattiva secondo quanto previsto dall’art. 21, co. 4, delle norme di attuazione per la determinazione dei comparti nelle aree di riserva, la carenza di una adeguata istruttoria riconosciuta nella stessa delibera regionale impugnata facendo riferimento ad “accertamenti a farsi”, modificazioni al PRAE senza l’osservanza del procedimento e delle competenze prescritte per tale Piano, la violazione delle previsioni del Parco “Vallo di Lauro – Pizzo d’Alvano” incluso tra le aree naturali protette.
La difesa regionale obietta che:
– la normativa regolante il PRAE è contenuta nella legge regionale n. 54 del 1985, il che porta escludere ogni interferenza della legge regionale n. 16 del 2004 in generale e dell’art. 47 in particolare;
– è pure da escludere che la direttiva comunitaria 2001/42/CE abbia carattere “self executing”, per cui il PRAE non sarebbe soggetto a VAS;
– in ogni caso la pianificazione approvata sarebbe sostanzialmente conservativa e rivolta al massimo grado di tutela ambientale;
– i Comuni sarebbero stati ascoltati nella fase della elaborazione della proposta della Giunta regionale, poi tradotta senza stravolgimenti nel Piano approvato dal Commissario ad acta;
– con le osservazioni formulate, i Comuni ricorrenti pretenderebbero di assoggettare la pianificazione regionale alle proprie esigenze urbanistiche;
– l’obbligo di “sentire” i Comuni dovrebbe intendersi nel senso di un mero simulacro della partecipazione in funzione meramente consultativa;
– l’obbligo di acquisire il parere dell’Autorità di Bacino non sarebbe contemplato in una norma di legge; il PRAE non intaccherebbe le previsioni del Piano stralcio e dei vincoli idrogeologici; né la pianificazione di settore di altre autorità potrebbero incidere sulle potestà in materia urbanistica spettanti alla competenza regionale;
– il Commissario ad acta avrebbe amplissimi poteri di sostituzione dell’amministrazione inadempiente, assorbendo in sé ogni competenza ed ogni funzione per superare l’impasse determinata dall’inerzia della Regione;
– la materia delle cave e miniere esulerebbe dalla pianificazione urbanistico-edilizia; le scelte in materia sarebbero latamente discrezionali, non richiederebbero una motivazione particolare oltre quella desumibile dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano, costituirebbero apprezzamenti di merito sottratti al sindacato del giudice amministrativo salvo che per vizi di manifesta irrazionalità o di travisamento dei fatti;
– il Commissario ad acta, nei brevi termini concessi, avvalendosi della struttura di supporto, avrebbe compiuto una adeguata attività istruttoria mediante l’integrazione del progetto di PRAE già adottato dalla Giunta regionale.
2.1. E’ opportuno premettere una ricognizione del quadro normativo che disciplina la materia.
Il Piano regionale delle attività estrattive è originariamente contemplato e regolato dall’art. 2 della legge regionale n. 54 del 1985 (come modificata dalla legge regionale n. 17 del 1995): tale norma prevede, al primo comma, che “il Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale, previo parere della Commissione consultiva regionale di cui all’art. 3 della presente legge sentiti i Comuni, le Comunità montane ed i comprensori interessati e le Province, approva il piano regionale del settore estrattivo, nel quadro delle esigenze generali di difesa dell’ambiente, del diritto alla salute dei cittadini, di recupero del patrimonio architettonico e monumentale dei borghi e dei centri storici della Campania, di sviluppo economico regionale ed in linea con le politiche comunitarie in materia, per attuare una politica organica di approvvigionamento e di razionale utilizzazione delle risorse delle materie di cava”.
Successivamente è sopravvenuta la legge regionale n. 16 del 2004, avente ad oggetto il “governo del territorio”, con la quale è stata complessivamente riformata la normativa riguardante non solo, ovviamente, la materia urbanistica, ma più in generale tutta la disciplina relativa all’uso, all’assetto, alla tutela ed alla trasformazione del territorio, attraverso una pianificazione comprendente “tutte le attività di iniziativa sia pubblica che privata che comportano una trasformazione significativa del territorio” (cfr. artt. 1, 2 e 3).
La nuova legge regionale è entrata in vigore il 29 dicembre 2004; per i piani in itinere, disposizioni transitorie sono previste unicamente per gli strumenti di pianificazione urbanistica comunale (art. 45).
La normativa del 1985 non è stata abrogata, ma continua a restare in vigore “per quanto non previsto” dalla legge regionale del 2004 (art. 49), e cioè nella misura in cui sia compatibile con i principi e le disposizioni dettate dalla legge fondamentale che la Regione si è data per regolare il governo del proprio territorio.
Alla luce di tali considerazioni, la nuova normativa trova applicazione al PRAE impugnato, che rientra a pieno titolo tra i piani settoriali regionali di cui all’art. 14 della legge in questione.
2.2. Orbene, l’art. 47 della ripetuta legge regionale n. 16 prevede che i piani territoriali di settore siano accompagnati dalla valutazione ambientale di cui alla direttiva 42/2001/CE del 27 giugno 2001, da effettuarsi durante la fase di redazione dei piani.
Con tale disposizione la Regione Campania ha adempiuto, per quanto di propria competenza, all’obbligo di dare attuazione alla cennata direttiva comunitaria, per la quale l’art. 13 prevedeva, come termine di adeguamento, la scadenza del 21/7/2004. Inoltre lo stesso art. 13 prevede che la valutazione ambientale trova applicazione “ai piani ed ai programmi il cui primo atto preparatorio formale è successivo alla data” indicata del 21/7/2004, nonché a quelli che, pur essendo avviati prima di quella data, vengano approvati dopo il 21/7/2006. Quindi restano sottratti all’obbligo di effettuare la VAS i piani ed i programmi iniziati prima del 21/7/2004 e conclusi nel biennio successivo a quella data.
Il PRAE impugnato è stato approvato il 7/6/2006 e il suo primo atto preparatorio risale ad una data anteriore al 21/7/2004. Infatti l’avvio del procedimento in questione non può identificarsi con un atto del giudizio che ha dato luogo alla nomina del Commissario ad acta, poiché l’intervento di quest’ultimo è stato disposto per sopperire ad un arresto procedimentale verificatosi dopo che la Giunta regionale aveva già adottato una proposta di pianificazione. Tant’è che l’attività dell’organo commissariale è consistita di fatto nel riprendere la proposta elaborata dalla Giunta regionale e nel continuare lo stesso procedimento, già avviato, per condurlo a conclusione.
Ne consegue che, al momento dell’approvazione del piano impugnato, l’applicazione della VAS era ancora transitoriamente sospesa.
2.3. E’ appena il caso di soggiungere che il richiamo operato dalla difesa dei Comuni ricorrente alla VIA non è pertinente, atteso che tale strumento si riferisce ai processi di formazione delle decisioni relativi alla realizzazione di “progetti”, mentre la VAS riguarda appunto l’attività di pianificazione e programmazione.
2.4. Detto ciò, è da esaminare se, sul piano procedimentale, rileva in alcun modo che l’approvazione del piano sia avvenuta ad opera di un Commissario ad acta nominato per disposizione del giudice amministrativo, che ha sostituito gli organi ordinariamente competenti.
L’intervento dell’organo commissariale trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di superare l’inerzia dell’amministrazione inadempiente all’obbligo di provvedere in ordine ad una determinata materia di propria competenza istituzionale.
In coerenza con tale funzione l’attività del Commissario ad acta è diretta al compimento di tutti e soli quegli adempimenti rientranti nelle attribuzioni dell’amministrazione che sia stata giudicata inerte.
Con riferimento al caso qui in esame, quindi, il Commissario ad acta si sostituisce non solo al Consiglio regionale, che è competente all’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento, ma può e deve (se necessario) attivarsi nelle competenze di tutti gli organi e gli uffici che fanno capo all’ente regionale per ovviare a quella condizione di arresto procedimentale che si vuole superare mediante lo speciale rimedio del ricorso contro il silenzio ex art. 21-bis della legge n. 1034 del 1971 (cfr. l’ordinanza T.a.r. Campania, sez. I, n. 1015 del 13/12/2005, resa appunto nei confronti della Regione per la vicenda in esame).
Non è da escludere, ad esempio, che il Commissario ad acta si sostituisca anche alla Commissione consultiva regionale di cui all’art. 3 della legge n. 54 del 1985, poiché non sarebbe ammissibile che un ritardo dell’organo regionale nell’emanazione del parere di competenza paralizzi il sollecito corso dell’iter di formazione del piano.
2.5. Ma il Commissario ad acta non ha, ovviamente, il potere di eludere o ingerirsi in funzioni che spettano ad amministrazioni estranee al giudizio contro il silenzio e che conservano intatte le proprie attribuzioni.
Orbene, l’art. 14 della legge regionale n. 8 del 1994, prevede che “al fine di consentire il necessario coordinamento e la razionalizzazione delle competenze amministrative, il Comitato istituzionale delle Autorità di bacino regionale fino all’approvazione del Piano di bacino, esprime un parere obbligatorio sugli atti di rilievo, di competenza degli Enti rappresentati nel Comitato istituzionale” (tra i quali è compresa la Regione).
Inoltre l’obbligo di acquisire un parere dall’Autorità di bacino è ribadito dal Piano stralcio, approvato ai sensi dell’art. 12 del decreto legge n. 398 del 1993.
La pianificazione in questione, che comprende anche aspetti attinenti all’attività estrattiva (cfr. art. 9 della legge regionale n. 8 del 1994; art. 17 della legge n. 183 del 1989, ed ora art. 65 del d. lgs. n. 152 del 2006), rientra tra i piani territoriali settoriali previsti dall’art. 14 della legge regionale n. 16 del 2004 (cfr. articoli sopra citati) ed è soggetta all’approvazione dell’autorità regionale (cfr. art. 5 della ripetuta legge regionale n. 8).
E’ appena il caso di notare che il piano di stralcio è efficace e vincolante, anche nei confronti della stessa Regione, a prescindere da questioni semmai attinenti alla sua legittimità che andrebbero comunque apprezzate nelle forme e nelle sedi previste dall’ordinamento.
2.6. Inoltre, secondo quanto prescritto dalla legge n. 54 del 1985, gli enti locali devono essere “sentiti”.
Pertanto, né gli organi della Regione, né il Commissario ad acta che li sostituisce, possano sottrarsi al dovere di ascoltare quanto hanno da osservare i Comuni interessati.
In proposito, per comprendere come intendere questo adempimento è da sottolineare che i Comuni sono gli enti esponenziali delle comunità locali ed hanno la (con)titolarità di potestà fondamentali nella determinazione dell’assetto urbanistico del territorio.
Su tale assetto va ad incidere la pianificazione delle attività estrattive, secondo quanto previsto dall’art. 2, co. 8, 9 e 10, della citata legge regionale n. 54 del 1985.
Già, in base a questa semplice constatazione si deve ritenere che le amministrazioni locali sono invitate a partecipare al procedimento non tanto con meri apporti collaborativi (come è il caso delle osservazioni proposte da privati nel procedimento di formazione di uno strumento urbanistico), quanto piuttosto con interventi appropriati e consequenziali rispetto alle funzioni che sono demandate all’autorità comunale.
Autorità che non è in un rapporto di subordinazione-soggezione rispetto a quella regionale, per quanto riguarda l’esercizio dei propri compiti istituzionali.
In questa prospettiva il rapporto tra gli enti territoriali è piuttosto regolato dal principio di sussidiarietà, cardine dell’ordinamento comunitario e recepito a livello costituzionale dall’art. 118 cost., e da quello di leale cooperazione, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale (cfr. Corte cost., 28/7/1993, n. 348).
Questi principi trovano concreta ed espressa applicazione nell’art. 4 della legge regionale n. 16 del 2004 (“tutti i soggetti istituzionali titolari di funzioni di pianificazione territoriale e urbanistica informano la propria attività ai metodi della cooperazione e dell’intesa”) e nell’art. 8 (“sono demandate ai Comuni tutte le funzioni relative al governo del territorio non espressamente attribuite dall’ordinamento e dalla presente legge alla Regione ed alle province”; “alla Regione e alle province sono affidate esclusivamente le funzioni di pianificazione ad esse attribuite dalla legislazione nazionale e regionale che riguardano scelte di interesse sovracomunale”).
Queste norme e questi principi danno la chiave di lettura dell’obbligo di “sentire” i Comuni. Tale obbligo della Regione (e del Commissario ad acta) consiste nel prendere in debita considerazione le osservazioni rese dai Comuni.
Rientra ovviamente nella responsabile potestà dell’autorità regionale, non sindacabile nel merito in sede giurisdizionale, di decidere la sorte di queste osservazioni, salvo che le determinazioni non si palesino manifestamente illogiche, o inique, o sproporzionate.
Ma, in base ai principi ed alle regole che governano in generale l’attività amministrativa, anche per poter apprezzare questa logicità, equità e proporzione, occorre che tali decisioni siano, in primo luogo, adeguatamente ponderate tenendo conto degli interessi pubblici, collettivi e privati coinvolti ed, in secondo luogo, sufficientemente motivate.
Sennonché nella specie non solo non risultano le ragioni per le quali sono state disattese le osservazioni presentate per iniziativa dei Comuni ricorrente; ma neppure risulta che né la Giunta regionale, nella fase anteriore all’intervento dell’organo commissariale, né lo stesso Commissario ad acta, abbiano preso in considerazione tali osservazioni.
Sotto questi profili le doglianze proposte con il ricorso in esame si rivelano pertanto fondate.
2.7. Sono invece inammissibili in questa sede tutte le censure che riguardano il contenuto del piano impugnato, essendo evidente che su questi aspetti dovrà principalmente focalizzarsi l’attenzione della Regione in sede procedimentale, quando esaminerà nel merito le osservazioni in questione.
2.8. Gli atti impugnati con i motivi aggiunti cadono per illegittimità derivata, con assorbimento delle doglianze dedotte per vizi propri.
3. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di causa.
P. Q. M.
Il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione prima, previa estromissione del Ministero dell’ambiente, in accoglimento del ricorso n. 5497/06, annulla gli atti impugnati.
Spese compensate, fatto salvo il rimborso del contributo unificato, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli, nelle camere di consiglio del 19 marzo 2008, con l’intervento dei signori:
Antonio Guida                                 Presidente 
Fabio Donadono                             consigliere estensore
Carlo Dell’Olio                               referendario 
Il Presidente
L’estensore

sentenza

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