Sul nuovo T.U. in materia di società a partecipazione pubblica

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            Nella tensione tra pianificazione e libero mercato  Guido Carli, nell’arco della sua carriera da brillante funzionario dell’IRI negli anni trenta a governatore della Banca d’Italia dall’agosto 1960 all’agosto 1975, ebbe a constatare i danni di interventi pubblici scriteriati e di leggi eccessivamente invasive, tanto da indurlo nell’ultima parte della sua vita ad adoperarsi per smantellare vecchi istituti d’intervento pubblico e concentrare l’impegno statale a disegnare regole moderne a garanzia di mercati concorrenziali, vi è un passaggio “dalla posizione crociana alla posizione einaudiana a proposito del rapporto fra libertà economica e libertà tout court…: rimaneva viva in lui la convinzione illuministica che un intervento pubblico appropriato potesse compensare le distorsioni causate da altri interventi pubblici”  (278, A. Giliobianco, Via Nazionale Banca d’Italia e classe dirigente. Cento anni di storia, Donzelli ed. 2006).

            A fronte di una iniziativa di Enrico Mattei  che da commissario liquidatore dell’Agip è capace di imporre la nascita dell’Eni al fine di sottrarre l’Italia dalla sudditanza energetica, base per l’incipiente boom economico, e di Oscar Sinigaglia che riesce a ristrutturare la siderurgia fornendo la materia prima per il successivo ciclo industriale, si creano distorsioni come per gli Enti di riforma agrari degli anni ‘40/ ’50 e nella Cassa per il Mezzogiorno a partire dalla fine degli anni ’50 e i primi ’60, si ha una distorsione progressiva dell’intervento pubblico nel quale vi è un rincorrersi tra indebitamento e finanziamento pubblico, che viene a perdersi in un rivolo di localismi clientelari, dove il punto di riferimento sono i politici e amministratori centrali e locali, la pianificazione si trasforma in una copertura ideologica al fine di emarginare i rapporti di mercato con il conseguente venire meno della necessaria allocazione produttiva delle risorse, fino a contagiare a cavallo degli anni ’60 / ’70 l’intera struttura pubblica.

            Circostanza ancora più grave se si considera che in molte parti dell’Italia queste forme di intervento pubblico “rappresentano per la prima volta uno Stato tradizionalmente assente, e quindi i suoi valori e il suo modo di essere: da questo punto di vista la gestione clientelare che li caratterizza ha effetti negativi che vanno ben oltre le conseguenze immediate”. (59, G. Crainz, Storia della Repubblica, Donzelli ed. 2016).

            Il decreto legislativo 19/8/2016, n. 175 (Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica) interviene in materia tentando di limitare la creazione di società a partecipazione pubblica, disciplinandone finalità e modalità operative a partire dalla stretta necessità del perseguimento di finalità istituzionali, a tal fine prevede un elenco di attività consentite (art. 4), negando anche la possibilità di mantenere o acquisire partecipazioni, anche di minoranza, fuori da tale elenco, ma essendo in Italia si è introdotta comunque la possibilità di una deroga, quale clausola di salvaguardia, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri considerando misura e qualità della partecipazione, anche al fine di agevolarne la futura quotazione.

            Una serie di prescrizioni dovrebbero impedire la costituzione o l’acquisto di partecipazioni senza una solida motivazione e l’analisi della convenienza economica, nonché della sostenibilità finanziaria (art. 5), al fine poi di evitare decisioni unilaterali amministrative e non chiaramente pubbliche si individuano gli organi competenti (art. 7), ma è in particolare sulla governance, l’organizzazione interna e la contabilità che si concentra il T.U.

            A riguardo acquista particolare importanza l’imposizione dell’Amministratore Unico e la parallela volontà di limitare pletorici Consigli di Amministrazione e incarichi di Vice (art. 11, c. 2 -3 – 9, lett. a e b), quale disposizione di chiusura si dispone altresì il divieto di istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società, collegato a quanto sopra vi è il contingentamento dei compensi spettanti ad opera di appositi decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, facendo divieto al contempo di corrispondere qualsiasi altra tipologia di trattamento economico, quali gettoni di presenza, premi di risultato o trattamenti di fine mandato (art. 11, c. 6 – 9, lett. c), nonché per i dirigenti altre tipologie di accordi (art. 11, c. 10), vi è infine l’obbligo di stabilire “criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità” (art. 19, c. 2).

            Si esercita quindi un deciso controllo da parte degli organi centrali dello Stato nella figura del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’economia e delle finanze, un controllo che cerca di estendere attraverso la Corte dei conti anche alla razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche, che le amministrazioni dovranno effettuare con cadenza annuale secondo i criteri indicati all’art. 20, il piano trasmesso preventivamente alla Corte dei conti dovrà essere seguito entro fine dicembre del successivo anno da una relazione sullo stato di attuazione effettiva del piano da trasmettere anch’esso alla Corte, infatti l’inattuazione potrebbe configurare l’ipotesi di danno erariale.

            A maggiore garanzia dell’efficacia del T. U. si impone entro sei mesi dalla sua entrata in vigore una ricognizione delle partecipazioni possedute, individuando con provvedimento motivato quelle destinate all’alienazione, il legislatore per rendere efficace il disposto normativo introduce un meccanismo automatico, per cui il socio pubblico che non alieni le partecipazioni individuate entro un anno dall’adozione del provvedimento perde la possibilità di esercitare i diritti sociali e le relative quote verranno liquidate ai sensi degli articoli 2437 – ter, c. 2 e 2437 – quater c.c.

            Nel richiamare la disciplinare ordinaria delle società di capitali per i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società a partecipazione pubblica, si fa salva la giurisdizione della Corte dei conti per i danni erariali relative alle società in house (art. 12), questo anche nel tentativo di scoraggiare gestioni esclusivamente interne agli enti pubblici, infine a chiusura del nuovo sistema il T. U. prevede all’art. 14 il divieto, nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento, che le pubbliche amministrazioni possano costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società che gestiscano gli stessi servizi di quelle dichiarate fallite.

            Nella speranza che si possa superare la politicizzazione clientelare dei servizi senza che si ricrei il sempre possibile cortocircuito tra politica, amministrazione e giurisdizione, è bene sottolineare che le finalità istituzionali di una qualsiasi impresa è quella di governare con coerenza e continuità le attese dei portatori di “interessi istituzionali” con i poteri di acquisto raccoglibili dai clienti, in un rapporto tra settori e ambienti di mercato, dove occorre governare la dinamica economica dei costi e ricavi con le compatibilità finanziarie della politica.

            Si deve considerare che l’impresa è un istituto sociale, governato da persone e che influenza i comportamenti degli altri operatori d’impresa, sicché le misurazioni non sono solo connesse alla capacità di rappresentare la realtà ma impattano anche sulle decisioni, pertanto esse assommano sia espressioni reali di quantità economiche che modellizzazioni del reale a cui il progettista del sistema ritiene utile riferirsi.  

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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