Su alcune questioni condominiali controverse

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I) Quale competenza per valore del giudice in caso di impugnativa della delibera assembleare.

Corre prassi più che giurisprudenza di attribuire la competenza per valore di tutte le impugnazioni di delibere assembleari al Tribunale.

In particolare la mancanza dell’eccezione di incompetenza del convenuto fa sì che resti fissata tale competenza.

L’argomento sotteso e che a volte esplicitamente viene portato a sostegno di tale tesi è che, comunque si tocchi qualsiasi voce di bilancio condominiale,ordinario o straordinario, essa sempre interessi e incida sulle quote di tutti i condomini che devono di conseguenza modificarsi,eppertanto il valore oggetto della causa è considerato sempre il valore totale.

Ora, non essendo prevista una competenza funzionale per materia,il valore dell’intero budget annuale delle spese ordinarie e del pari il valore delle spese straordinarie, che a seconda dei casi entrano in gioco,normalmente superano il limiti della competenza del Giudice di pace[ in oggi di € 5000].

Ciò comporta ovviamente un aumento delle spese legali ( contributo unificato etc.) e dei diritti e onorari del difensore che saranno liquidate in sentenza.

Si ritiene tale prassi non condivisibile.

Infatti la normativa da prendere in considerazione per stabilire la competenza per valore in tali casi

è l’art.12 cpc che dispone che “il valore delle cause relative alla esistenza,alla validità o alla risoluzione di un rapporto obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione.”.

Ora,l’interpretazione giurisprudenziale ha chiarito nella nostra materia con Sentenza Cassazione 25 novembre 1991 n.12633 che << l’art. 12 comma 1 c.p.c., secondo cui il valore delle cause relative all’esistenza, alla validita’ o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che sia in contestazione, subisce deroga quando il giudice sia chiamato ad esaminare con efficacia di giudicato le questioni relative all’esistenza o alla validita’ dell’intero rapporto; pertanto, nella controversia promossa da un condomino che agisca nei confronti del condominio per sentir dichiarare l’inesistenza del suo obbligo personale di pagare la quota a suo carico della spesa deliberata ed approvata in via generale e per tutti i condomini dall’assemblea, sull’assunto dell’invalidita’ della deliberazione assembleare per violazione degli art. 1136, 1137 c.c., la contestazione deve intendersi estesa necessariamente alla invalidita’ dell’intero rapporto, il cui valore e’ pertanto quello da prendere in considerazione ai fini della determinazione della competenza, atteso che il “thema decidendum” non riguarda l’obbligo del singolo condomino, bensi’ l’intera spesa oggetto della deliberazione, la cui validita’ non puo’ essere riscontrata solo in via incidentale.(conformi Cass.22-01-2010 n.1201, Cass.10-9-1998 n.8958, Cass. 5-4-2004 n 6617) >> .

Eppertanto deve concludersi ,con argomento c.d. a contrario, che in fattispecie diversa ,ove cioè non sia in gioco l’invalidita’ della deliberazione assembleare per violazione degli art. 1136, 1137 c.c., essa rientrerà nella regola generale dell’art.12 comma 1 cpc su esposta e che quindi non si avrà riguardo all’intero importo ma solo alla parte in contestazione.

In tal senso si sono pronunciate più sentenze.

In caso di richiesta parziale la Cassazione, con Sentenza 24/01/2001 n.971,premesso che nel caso l’<oggetto della lite è limitato ai criteri di ripartizione della spesa>, ha sancito che<per determinare il valore della causa debba farsi riferimento a quella parte della delibera impugnata sulla cui validità vi è contestazione tra le parti:la decisione in ordine a tale contestazione non comporta necessariamente una pronuncia, con efficacia di giudicato, di invalidità dell’intera delibera concernente la voce di spesa in questione”>> .

Ribadisce tale orientamento Cassazione 13-11-2007 n.23559 che richiamando appunto Cass.971/2001 <ribadisce il principio di cui al comma 1 del cit.art . 12 cpc.,in forza del quale il valore della causa va determinato con riferimento alla parte della delibera impugnata e non alla quota di spettanza del condomino che l’ha impugnata>.

Anche la citata ass. 1201 del 2010 che afferma che ove “il condomino abbia dedotto per qualsiasi diverso titolo ( diverso dalla invalidità della deliberazione ndr ) l’insussistenza della propria obbligazione………”il valore della causa va determinato in base al solo importo contestato”Ricapitolando, alla luce della giurisprudenza di legittimità, a parer nostro, possono darsi tali diverse situazioni:

  1. ove si impugni una parte dell’importo totale dei lavori, il valore della causa sarà dato dalla parte impugnata ( impugnazione parziale)

  2. ove si impugni la delibera che approva i lavori o la delibera che approvi la ripartizione della spesa dei lavori sul presupposto della sua pretesa illegittimità per vizi della stessa delibera, id est violazione dell’art.1136( come,ad es., nel caso di mancata convocazione di alcuni condomini o altro vizio) il valore della causa ,ai fini della competenza, sarà quello dell’intero importo dei lavori.

  3. ove nell’approvazione delle spese ordinarie annuali ( assemblea ordinaria) si impugni un singolo capitolo di spese( ad es. spese di pulizia scale) il valore sarà ragguagliato all’importo dello specifico capitolo ;ove invece ( in analogia a sub (2) per vizi di forma si impugni la validità dell’intera delibera il valore sarà dato dall’importo dell’intero bilancio annuale)

 

II) Sulla natura e criteri di ripartizione delle spese per sostituzione della caldaia in caso di trasformazione dell’impianto di riscaldamento da gasolio a metano.

Recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità destano qualche perplessità

Così Corte di Cassazione Sez. Il, 12 gennaio 2000 n. 238 .

(Cassa App. Roma 14 febbraio 1996).

<La sostituzione della caldaia termica (bruciatore), se quella esistente è obsoleta e guasta deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto diretto semplicemente a ripristinare la funzionalità dell’impianto e non a creare una modificazione sostanziale o funzionale della cosa comune (l’impianto di riscaldamento); di contro, deve essere ricondotta invece alle modifiche migliorative dell’impianto, e non alle innovazioni dello stesso, la sostituzione della caldaia termica, ancora funzionante, se ha lo scopo di consentire l’utilizzazione di una fonte di energia piu’ redditizia e meno inquinante > in Giust.civ Mass. 2000, 43 e in Rivista giuridica dell’edilizia. 2000,I,414, con nota redazionale :< la sentenza di cui alla massima ripropone il principio già affermato, con riferimento ad una fattispecie in tema di sostituzione di un bruciatore alimentato da gasolio con un bruciatore alimentato da gas metano, da Cass. 18 maggio 1994 n. 4831 (in Giust. civ. 1995, I, 515, e in Arch. loc. 1995, 114), secondo cui la sostituzione del bruciatore dell’impianto di riscaldamento di un edificio condominiale, nei casi di bruciatore guasto o absoleto, costituisce atto di straordinaria manutenzione, in quanto è diretto ripristinare la funzionalità dell’impianto senza modificarlo sostanzialmente e funzionalmente; deve essere ricondotta invece alle modifiche migliorative, e non alle innovazioni, se ha lo scopo di consentire l’uso di una fonte di energia più redditizia e meno inquinante.>.

La Corte Suprema cassa la Corte di appello di Roma che sulla considerazione che la sostituzione della caldaia obsoleta costituisca “addizione patrimoniale”la fa rientrare nell’applicazione dell’art.1123 c.c. e fissa il principio suddetto richiamandosi al precedente 4831 del 1994.

Considerazioni in merito:

Tali sentenze se è vero chepossono attenere anche alla problematica della approvazione dei lavori della sostituzione della caldaia(v.art.1136,co.4 e 5, e art.1120 C.C.) , tuttavia vanno a toccare esplicitamente il tema della ripartizione delle spese relative.

Infatti la Suprema Corte,con riguardo alla sostituzione del bruciatore alimentato da gasolio con un bruciatore alimentato a metano, secondo le predette sentenze, ha opinato che non possa essere considerata una “innovazione” ; nel caso in particolare di caldaia obsoleta e guasta considera tale operazione come manutenzione straordinaria; e nel caso di sostituzione con lo scopo di consentire l’uso di una fonte di energia più redditizia e meno inquinante, afferma che tale operazione debba essere ricondotta alle “modifiche migliorative”.

Ora se tale operazione qualificata come “modifica migliorativa” e non “ manutenzione straordinaria” nel contesto della stessa massima, essa non sarà certo come conferma Cassazione una innovazione ( un quid novi), non sarà una manutenzione straordinaria ma dovrà comunque essere qualcosa di diverso e/o di più della semplice manutenzione anche se straordinaria ( una modifica migliorativa-quasi una innovazione parziale), d’ altronde se non una innovazione totale della cosa comune almeno un miglioramento della stessa,una modalità nuova di conservazione e di migliore godimento della cosa comune ( un quid plus).

Da tale orientamento risulterebbero quattro categorie di interventi,per quanto riguarda l’effettuazione di lavori sul bene comune:una manutenzione ordinaria, una manutenzione straordinaria ,le modifiche migliorative,le innovazioni.Escluse le innovazioni ,anche per affermazione esplicita della Corte,esclusa la manutenzione straordinaria per affermazione implicita nelle predette sentenze, esclusa la manutenzione ordinaria (non fosse altro che per l’entità dell’importo dei lavori) ,la categoria delle modifiche migliorative non può che rientrare nelle “spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio” di cui all’art 1123,co.1.

Del resto l’orientamento giurisprudenziale già predominante riconduceva la sostituzione della caldaia,anche in presenza di diversa indicazione dei regolamenti condominiali non contrattuali, alle spese conservative,con conseguente applicazione ad essa delle disposizioni di legge come giustamente affermato sia dalla Corte di Appello di Genova 23 maggio 2000,n.365 come dalla Corte di Cassazione 27 gennaio 2004 n.1420:<In tema di oneri condominiali, non è applicabile alle spese di conservazione (art.. 1123, primo comma, c.c.), qual è quella per la sostituzione della caldaia, il criterio di ripartizione in proporzione dell’uso (art. 1123, secondo comma, c.c.). Ne consegue che la ripartizione delle spese per la sostituzione della caldaia va effettuata secondo i millesimi di proprietà e non secondo i millesimi del riscaldamento e tale normativa è derogabile solo per via contrattuale, attraverso una convenzione che obblighi tutti i condomini>..

Vedi anche Cassazione Sez.Un. 26 novembre 1996 n.10492 in Giustizia civile 1997,371,secondo la quale;.

Comunione e condominio – Cose e servizi comuni di edifici – Impianti comuni – Riscaldamento- Insufficiente erogazione del sevizio – Esonero dalle spese – Esclusione.

<< L’obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti dell’edificio ,alla prestazione dei servizi nell’interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell’edificio (art. 1123, primo comma, c.c.); [ con la conseguenza che la semplice circostanza che l’impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo,neanche per le sole spese di esercizio dell’impianto,dato che il condomino non è titolare,nei confronti del condominio,di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica e,quindi,non può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio] >>.

Da tale sentenza si evince che se neanche la <circostanza che l’impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore … può giustificare un esonero dal contributo,neanche per le sole spese di esercizio dell’impianto>, a maggior ragione devono essere considerate spese di conservazione le <modifiche migliorative> e quindi rientranti nell’ambito di applicazione dell’art.1123 co.1 c.c.,

III) Questione di costituzionalità dell’art.63 Disp.att. C.C..

Come noto l’art. 63 Disp.att.C.C. prevede che <Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore può ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo , nonostante opposizione. >.

Ciò dà un notevole vantaggio al Condominio ,a parer nostro non giustificato a fronte dell’art. 3 Cost e art.24 Cost..Infatti fornendo al Condominio l’esecutività immediata della delibera approvata dall’assemblea mette il condomino dissenziente in situazione fortemente svantaggiata dovendo,per evitare le spese giudiziarie, provvedere al pagamento di quanto allo stesso addebitato dal condominio.

Anche se già la Corte Costituzionale si era pronunciata nel senso che fosse manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, del presente comma dell’art. 63, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui prevede che l’amministrazione del condominio può ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonstante opposizione, per la riscossione dei contributi dovuti dai singoli condomini, in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea (C. Cost.19.01.1988 n. 40), tuttavia non condividiamo tale posizione.

In tali casi,infatti, ci troviamo di fronte a interessi privati da proteggersi in egual misura, ossia l’interesse dei condomini deliberanti e l’interesse del condomino dissenziente e non di fronte ad un interesse pubblico , o almeno superiore, ed un interesse privato. Si pensi ad u un condominio in cui le tabelle di uso siano vantaggiose per la maggioranza de condomini rispetto alle tabelle di proprietà.I condomini avvantaggiati da tale situazione potrebbero approfittare di tale loro vantaggio – e votare anche scientemente contro legge-mettendo in difficoltà il condomino dissenziente,per il quale sarebbe più difficile l’esercizio del suo diritto di difesa,dovendo sostenere da solo le spese giudiziarie, laddove gli altri condomini possono ripartire i costi.Ciò, agendo anche psicologicamente, potrebbe indurre il condomino dissenziente a non esercitare il suo buon diritto,anche nella previsione delle molteplici incertezze dei procedimenti giudiziari.

Avv. Viceconte Massimo

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