Soggettivo ed oggettivo

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Nagel osserva la relatività di una tale distinzione sostituendola con il concetto di “polarità”, viene quindi a negare la possibilità dell’esistenza di due categorie assolute del genere, il distaccarsi da una “specifica posizione spaziale, temporale e personale dell’individuo nel mondo, quindi …, allontanandosi dalla gamma ristretta di una scala umana in spazio, tempo e quantità”, seppure priva la visione del mondo di un centro soggettivo, non può tuttavia raggiungere l’oggettività propria della scienza fisica in quanto la soggettività riemerge sempre, questo comunque non comporta  che l’esperienza individuale sia esclusivamente privata, vi è in essa una intersoggettività disponibile ( Nagel), che rende l’identità personale, il libero arbitrio e il rapporto tra mente e corpo problemi non solo soggettivi ma anche collettivi.

La ricerca dell’oggettivo tende alla irraggiungibile terzietà del sempre maggiore distacco dal punto di vista individuale, sorge il problema dell’individuo che rimane comunque influenzato dal punto di vista iniziale delle sue percezioni ed  esperienze le quali , nel farne parte sono strumenti dell’analisi stessa, d’altronde è la stessa biologia umana che rende l’individuo un soggetto il cui essere è soggettività, il suo cercare una trascendenza dalla particolarità tende a rappresentare quello che è esterno come valore in sé, piuttosto che in funzione di qualcosa o qualcuno, sorge tuttavia la difficoltà di una rappresentazione che possa essere indipendente dalle modalità sensoriali (Nagel, Questioni mortali, 279-302, Il Saggiatore, 2015).

La realtà oggettiva è sempre parziale senza la soggettività dei sentimenti, delle emozioni, dei valori quando ci riferiamo all’essere, non possono esserci termini di paragone esterni a cui riferirci come nella realtà fisica, tradizione idealista e filosofia analitica vengono ad essere parziali nel momento in cui affrontano l’essenza umana, l’identità soggettiva è proiezione del mio essere all’esterno e delle conseguenti reazioni che ne nascono, vengo a specchiarmi e in esso l’Io diventa reale, apparentemente oggettivo, in un raffronto tra l’Io interno e l’Io esterno nel quale emerge dall’apparente contrapposizione soggettivo/oggettivo la realtà della “polarità”.

Indipendentemente da qualsiasi questione etica questa polarità si manifesta su tutti i valori che l’essere umano viene a coinvolgere, quali la responsabilità in cui si passa continuamente dal dovere al controllo e viceversa, conseguentemente dalla sanzione e punibilità alla necessità per l’individuo di difendersene ponendo in atto strategie tali da bloccare il punto chiave della decisione fino alla paralisi decisionale stessa, o quella dei diritti nei quali alla assolutizzazione soggettiva degli stessi si contrappone l’oggettività di una loro sostenibilità relativa, vi è quindi una polarizzazione storica dell’identità.

Se nell’antichità greco-romana vi era un sovrapporsi tra maschera rituale e personalità, riservando quest’ultima solo al cittadino, è nel Medioevo occidentale che si afferma attraverso l’antropologia del cristianesimo la concezione di una autonoma dignità della persona, dove nel rapporto uomo-natura l’unità di misura dello spazio risulta essere la corporeità dell’individuo, l’unità classica del mondo naturale si spezza in due realtà diverse contrapposte della civitas Dei e della civitas terrena di S. Agostino.

Lo stesso tempo diventa eterogeneo distinto tra “tempo profano” e “tempo sacro”, dove il tempo ciclico della natura diventa lineare e irreversibile nei fini sacri, teso linermente alla “fine dei tempi”, ma la responsabilità individuale che impone la salvezza e la linearità del tempo verso il “giudizio” diventa il “tempo del mercante”, l’obbligo di impegnare i “talenti” ricevuti e il tempo denaro, si impone una “teologia del lavoro” nella quale il lavoro è gradito a Dio quale sommo artefice del mondo, in questo il diritto ne diventa il regolatore dei rapporti, la base su cui impostare il lavoro, ma questo necessita di una libertà sconosciuta nel mondo antico, la quale da prerogativa divina diventa affermazione della dignità dell’individuo nella sua integrità.

La nascita dell’individualità e la sua affermazione nel sociale pone prepotentemente l’urgenza di una riflessione sul rapporto soggettività/oggettività, Meinong, come Husserl,   pone le esperienze vissute quali espressioni dell’intenzionalità della coscienza, anche negli atti non conoscitivi quali desideri, sentimenti e volontà, vi è implicito un atto di conoscenza, il non-esistente rientra quindi negli oggetti della conoscenza come gli oggetti esistenti, sulla falsariga di Frege che distingue tra significato e senso, Meinong distingue tra oggetti reali (obietti) e oggetti non-esistenti (obiettivi), ogni giudizio è quindi costituito da una parte interna detta obiettivo ed una entità esterna, obietto, al quale si riferisce, pertanto oggetto primario del giudizio è l’assunzione dell’obiettivo a cui l’obietto è solo quell’esistere  esterno su cui verte il giudizio, la verità o falsità potrà sussistere solo in relazione agli obiettivi e non agli obietti e indipendentemente dal tempo, la soggettività è quindi strettamente intersecata all’oggettività senza quella preminenza prevista nel contesto soggettivistico della fenomenologia di Husserl, infatti in Meinong l’unico valore oggettivo è il sentimento estetico e intellettuale in quanto strettamente individuale.

Né si può ricorrere alla sospensione totale del giudizio secondo l’epochè degli Scettici o alla sospensione del dubbio cartesiano quale sospensione totale della conoscenza, vi è un rapporto tra coscienza ed oggetto dato dalla intenzionalità della stessa e l’analisi diventa l’analisi di tale rapporto (Husserl), con questo il soggetto non diventa parte dell’oggetto ma si relaziona secondo diverse “polarità”, mantenendo ciascuno la sua identità ma venendone al contempo “costruito”. 

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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