Sistema delle fonti, riserva di amministrazione e leggi-provvedimento

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La legge-provvedimento, fonte atipica, secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale è ammissibile purché superi il vaglio di stretta ragionevolezza e non arbitrarietà. Parte della dottrina e della giurisprudenza pongono dubbi sull’ammissibilità di tale fattispecie in quanto essa rischierebbe di svuotare il ruolo dell’amministrazione e di attribuire al legislatore un potere che non gli appartiene. Di recente inoltre il Giudice delle leggi (sentenza 66/2018) si è occupato dell’istituto in relazione al riparto di potestà legislativa Stato-Regione ex art. 117 cost.

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Separazione dei poteri e sistema delle fonti

Il principio di separazione dei poteri presuppone una chiara distinzione di funzioni e competenze tra l’organo legislativo e quello esecutivo. Il rapporto tra i due poteri, tuttavia, è da sempre influenzato da vari fattori storico-culturali e vive costantemente una tensione tra il predominio del legislatore e quello dell’amministratore. Alcuni autori hanno evidenziato come spesso i parlamenti tentino “di fare a meno degli altri poteri, qualche volta di quello giudiziario, ma più spesso del potere esecutivo, per tornare a fare il principe ancorché senza scettro[1]”.

Interessante notare come non si rintracci una definizione univoca e stabile di potere esecutivo; l’amministrazione infatti può essere intesa come mera esecuzione di legge o come attuazione della stessa. La distinzione non è meramente lessicale ma presuppone un diverso potere in capo all’organo amministrativo; l’accezione di amministrazione come attuazione della legge attribuisce all’esecutivo maggiori poteri e margini di manovra rispetto a quella della mera esecuzione. I rapporti e i limiti di competenze tra i due poteri sono influenzati pertanto anche da come l’amministrazione viene intesa.

Il sistema delle fonti risente inevitabilmente di tale tensione, in quanto l’attività dell’amministrazione, anche nella sua versione di attuazione, non è libera ma vincolata dal principio di legalità nei fini e nei mezzi[2].  La nozione di esecutivo, nonché il bilanciamento tra i vincoli imposti dal legislatore e i poteri discrezionali dell’amministrazione influisce sul sistema delle fonti.

La legge-provvedimento rappresenta la fonte che forse in maggior modo è soggetta alla tensione tra poteri in quanto qui il legislatore, trasformandosi in amministratore, pone in essere una legge dal contenuto determinato, atta a risolvere circostanze concrete e definite. L’ammissibilità della fattispecie ha posto vari dubbi in quanto tipicamente la legge dovrebbe essere generale e astratta, impermeabile al caso concreto che è invece di competenza dell’amministratore, soggetto preposto al provvedere in conformità e attuazione della legge.  Si assiste dunque a un’estensione del potere legislativo su quello esecutivo in un’area particolare che è ontologicamente differente dalla sfera propria della legge.

Alla luce della diversa natura dell’atto amministrativo rispetto a quello normativo, parlare di legge-provvedimento potrebbe sembrare un ossimoro. La diversa natura di tali fonti è stata analizzata in rifermento al regolamento in cui vi è una divergenza tra la natura dell’atto e il soggetto che lo pone in essere. Il regolamento è infatti una fonte di produzione del diritto di natura normativa ma soggettivamente amministrativa.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria le due fattispecie si differenzierebbero sul piano sostanziale, prescindendo dal  nomen (tesi formale) o dallo spessore politico. Il regolamento, quale fonte normativa, possiede e si identifica tramite i caratteri dell’innovatività, generalità e astrattezza. Il regolamento infatti, a differenza del provvedimento, è diretto ad una generalità di soggetti e relativo a casi indeterminati. È stata riconosciuta in particolare la natura di atto amministrativo del bando di gara in quanto la platea dei destinatari è indeterminata ex ante ma non ex post.

La legge-provvedimento, al contrario, è sul lato soggettivo un atto del legislatore, avente forma di legge, ma sul piano sostanziale ha natura amministrativa in quanto il contenuto è determinato e definito. Manca ad esso il carattere dell’innovatività, generalità e astrattezza tipico della legge. La fattispecie viene  classificata anche in tal caso a seguito di una verifica sostanziale prescindendo dal nomen e dal lato soggettivo.

L’ammissibilità della legge-provvedimento

La Corte Costituzionale si è pronunciata in più occasioni sull’ammissibilità della legge provvedimento e sui limiti della stessa. In primo luogo il Giudice delle leggi ha definito le caratteristiche dell’istituto nei termini seguenti: “un contenuto particolare e concreto producendo direttamente effetti nei confronti di destinatari determinati o di numero limitato…, anche in quanto ispirate da particolari esigenze…, e che comportano l’attrazione alla sfera legislativa della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all’autorità amministrativa[3].

Principale argomento a sostegno dell’ammissibilità è l’assenza di una riserva di amministrazione che attribuisca in via esclusiva il potere di emanare atti amministrativi alla sola PA. L’assenza di tale riserva fonderebbe la legittimità della scelta del legislatore di occuparsi dell’amministrazione emanando una fonte ibrida atta a disciplinare il singolo caso.

La Corte nel ritenere legittimo tale fenomeno ha evidenziato tuttavia la necessità di un giudizio di stretta ragionevolezza, atto a evitare irragionevoli invasioni del legislatore in ossequio al principio di separazione dei poteri. Oggetto principale di valutazione è la ragionevolezza della scelta del legislatore di emanare una legge a contenuto determinato, decisione che non può e non deve ridursi ad un mero arbitrio.

L’orientamento contrario ritiene invece che la fonte leda il principio di separazione dei poteri, attribuendo al legislatore una competenza che non gli compete. La fattispecie potrebbe ammettersi eccezionalmente solo in presenza di una legge che ne definisca i limiti e l’ambito di operatività, oggi di appannaggio della sola giurisprudenza costituzionale. La certezza del diritto e il principio di uguaglianza richiederebbero invece una maggiore chiarezza al fine di evitare che situazioni simili vengano trattate in modo diverso.

Interessante appare verificare il sistema rimediale previsto per tale fonte.

Secondo la Corte “a fronte dell’assorbimento del disposto di un atto amministrativo in un provvedimento avente forma e valore di legge, resta preclusa al giudice ogni possibilità di sindacato diretto sull’atto impugnato dinanzi a sé, che si risolverebbe, diversamente opinando, in una sottrazione alla Corte Costituzionale della sua esclusiva competenza nello scrutinio di legittimità degli atti aventi forza di legge[4].

Competente a valutare la legittimità costituzionale della legge-provvedimento è pertanto la sola Corte Costituzionale che è chiamata ad un vaglio di stretta ragionevolezza, dovendo verificare la necessità di provvedere da parte del legislatore. La tutela avverso le leggi-provvedimento è transitata dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale, seguendo il regime tipico dell’atto, non compromettendo i diritti dei singoli. La legge è sindacabile ma da un giudice diverso.

Simile sistema di controllo secondo alcuni rischia di ledere il diritto di difesa del singolo in quanto il sindacato costituzionale non sarebbe idoneo a tutelare effettivamente il singolo come invece avverrebbe  nel processo amministrativo.

I profili di criticità rilevati rispetto alla fattispecie sono vari; in primis la collocazione nel sistema delle fonti, la legge-provvedimento è una fonte di rango superiore rispetto all’atto amministrativo, pur condividendone la natura, e allo stesso regolamento che invece è atto normativo, generalmente parametro di legittimità del provvedimento. Sotto tale profilo è evidente il rischio che tale strumento venga utilizzato per eludere il regolamento in quanto il provvedimento così emanato ha rango superiore alla legge. Il sistema descritto risulta complicato ulteriormente dal fatto che singolo non possa impugnare direttamente la legge-provvedimento e vedersi garantita una tutela effettiva.

Legge-provvedimento e provvedimento amministrativo

Appare necessario confrontare il sistema rimediale previsto per l’atto amministrativo con quello della legge- provvedimento al fine di verificare l’eventuale lesione del diritto di difesa del singolo.

Il controllo di legittimità della legge-provvedimento è di tipo accentrato e di competenza della Corte Costituzionale a seguito di invio da parte del giudice a quo; a meno che non si versi in materia di conflitti di attribuzione per cui si può ricorrere direttamente e in via principale alla Corte.

Tale sistema rimediale non viene ritenuto sufficiente da parte della dottrina in quanto sarebbe precluso al singolo agire direttamente avverso l’atto, al contrario di quanto invece ammesso per il provvedimento o il regolamento, atto normativo che secondo l’impostazione maggioritaria è impugnabile laddove leda direttamente l’interesse del singolo.

Dubbi sull’effettiva tutela apprestata dal giudizio costituzionale sorgono anche a fronte della impossibilità di agire in via cautelare. Deve rilevarsi infatti come la tutela cautelare sia uno strumento molto utilizzato per l’atto amministrativo in quanto idoneo a perseguire l’effettività della tutela del singolo. Al contrario di fronte ad una legge-provvedimento e a un periculum in mora il privato dovrebbe aspettare la conclusione del giudizio costituzionale per veder tutelata la sua posizione.

La tutela del singolo sarebbe compromessa inoltre anche dalla mancanza di strumenti di partecipazione. L’iter di produzione della legge non prevede infatti il coinvolgimento del singolo in quanto la fonte non ha un destinatario ma è diretta ad una generalità di soggetti e casi.  Al contrario la l. 241/90 prevede vari strumenti di partecipazione, si pensi alla comunicazione di avvio del procedimento funzionale a rendere partecipe il privato e a perseguire il buon andamento dell’amministrazione. Il coinvolgimento dell’interessato contribuisce a fornire informazioni alla PA e provvedere nel modo migliore al caso di specie.

La legge-provvedimento al contrario è priva di tali strumenti il che, secondo alcuni autori, inciderebbe sul diritto di difesa del singolo e violerebbe il principio di uguaglianza in quanto il destinatario di una legge-provvedimento, a differenza di quello di un atto amministrativo, non è posto nella condizione di conoscere in anticipo la volontà dell’amministratore e partecipare alla produzione dell’atto.

La Corte Costituzionale tuttavia in via generale ha ammesso l’istituto seppur con dei limiti, non rilevando un difetto di tutela del singolo. A sostenere tale impostazione sarebbe la natura stessa della legge e il suo iter di produzione. La partecipazione del singolo è necessaria per il solo provvedimento che è atto unilaterale e non frutto di un incontro tra rappresentanti di posizioni divergenti, come avviene per la legge. La presenza del dibattito parlamentare, luogo di convergenza di posizioni e interessi differenti, costituirebbe uno strumento di partecipazione, seppur indiretta, del singolo.

 

Legge-provvedimento e riparto Stato-Regioni

L’assenza di una riserva di amministrazione è il principale argomento a favore dell’ammissibilità della legge-provvedimento. Deve rilevarsi, tuttavia, come talvolta è lo stesso legislatore a inserire tale riserva rispetto a situazioni particolari. Di recente la Corte con la sentenza n.66 del 2018 ha ritenuto illegittima una legge-provvedimento in materia di ambiente emanata dalla Regione, in quanto la stessa violava la riserva di amministrazione inserita dal legislatore statale.

La  Regione  è intervenuta  con  legge  laddove  avrebbe  dovuto  operare  con  atti  di  pianificazione,  da adottarsi a seguito di un’adeguata istruttoria e di un giusto procedimento, aperto al coinvolgimento degli enti territoriali e dei soggetti privati interessati e preordinato alla valutazione e alla sintesi delle plurime  istanze  coinvolte. La Corte sulla base di tali argomentazioni ha censurato la legge regionale.

La materia ambiente, oggetto della suddetta censura, è una materia particolare in quanto coinvolge ambiti e sfere di competenza trasversali; ai sensi dell’art 117 cost. infatti la tutela dell’ambiente appartiene alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, la valorizzazione dei beni ambientali e la pianificazione del territorio appartiene a quella concorrente e le restanti materie rientrano nella potestà residuale della Regione. La Regione è tenuta quindi anche nelle materie di sua esclusiva competenza, come nel caso di specie quella di cave e torbiere, a rispettare le norme statali in materia di tutela dell’ambiente.

 La Corte  ha  in più occasioni affermato che in materia di piano paesaggistico al legislatore spetta, di regola, «enunciare delle ipotesi astratte,  predisponendo  un  procedimento  amministrativo  attraverso  il  quale  gli  organi  competenti provvedano […] dopo avere fatto gli opportuni accertamenti, con la collaborazione, ove occorra, di altri organi pubblici, e dopo avere messo i privati interessati in condizioni di esporre le proprie ragioni sia a tutela del proprio interesse, sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico[5]» .

Deve rilevarsi pertanto come il legislatore possa inserire una riserva di amministrazione proprio al fine di salvaguardare gli strumenti di partecipazione del privato e degli enti preposti alla tutela di interessi diffusi. La tutela dell’ambiente rappresenta una materia in cui i vari livelli di governo devono operare in modo omogeneo e coerente, in cui è necessario ponderare e valutare seriamente la scelta della fonte da utilizzare.

La tripartizione tra potestà esclusiva statale, concorrente e residuale regionale prevista all’art. 117 cost. deve essere letta in modo ampio, considerando che le singole materie comunicano tra loro.

È illegittimo pertanto che la  Regione  intervenga  con  una  legge  di  contenuto  particolare,  rendendo  così inoperanti  le  garanzie  proprie  del  procedimento  amministrativo,  strumentali,  nel  caso  di  specie, all’inveramento dei valori paesaggistici e ambientali interessati dall’attività di cava[6]. La Regione aveva di fatto leso e reso inoperanti le norme statali in materia di tutela dell’ambiente, invadendo di fatto la sfera di competenza del legislatore statale. Alla discrezionalità politica del legislatore regionale sarebbe spettato sì stabilire (o aggiornare) la disciplina delle attività estrattive nel territorio regionale ma in ossequio a quanto previsto dalla normativa statale.

La legittimità della legge-provvedimento è stata qui valutata a fronte del riparto di competenze tra Stato e Regioni e della riserva di amministrazione inserita dal legislatore statale.

L’assenza di una generale riserva di amministrazione da un lato rende legittimo ricorrere a certe condizioni alla legge-provvedimento ma dall’altro attribuisce al legislatore nazionale e regionale il potere di inserire una riserva di amministrazione nelle materie di sua competenza lì dove lo ritenga necessario. Tale scelta sarà soggetta a sua volta al sindacato di ragionevolezza di competenza della Corte Costituzionale.

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Note

[1]F. Merusi, Sentieri interrotti della legalità, Bologna, 2007, 10.

[2]Secondo l’orientamento maggioritario vige ai sensi dell’art. 97 cost. una riserva di legge relativa che si estende oltre l’organizzazione e riguarda l’intera attività amministrativa.

[3]Corte Cost. 241/2008; Corte Cost. 94/2009; Corte Cost. 429/2009; Corte Cost. 270/2010; Corte Cost. 275/2013; Corte Cost.154/2013.

[4]Cons. Stato 1559/04

[5]Corte Cost. n.13/1962; Corte Cost. n.143/1989; Corte Cost. n.71/2015.

[6]Corte cost.n. 66/2018

Dott.ssa Sonia Sasso

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