Sindacati e controlli a distanza dei lavoratori

Lorena Papini 08/11/23
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Lo sviluppo delle nuove tecnologie sta ponendo nuove sfide anche sul fronte del ruolo esercitato nelle relazioni industriali e dei sindacati. Lo sviluppo di algoritmi, nonché l’avvento di sistemi efficienti di behavioural advertising, stanno producendo un forte impatto sulle dinamiche connesse al mercato del lavoro, trasformandolo in modo sostanziale in molti aspetti essenziali.
Il presente contributo è tratto dal volume: Smart Working -Cosa abbiamo imparato dopo l’emergenza

Indice

1. Il nuovo ruolo dei sindacati


Nell’alveo di questo nuovo modello economico è chiaro che il ruolo del sindacato diviene cruciale per garantire la salvaguardia dei diritti del lavoratore. Ciò è ancora più rilevante nel caso in cui sia applicato uno schema di operatività aziendale basata sullo smart working dove è richiesto al sindacato uno sforzo ulteriore. S’impone, così, il dovere di sperimentare nuovi strumenti di garanzia e di rappresentatività idonei a raggiungere gli obiettivi prefissati dal sindacato nell’interesse dei lavoratori.
Si badi che l’intento non può neppure essere circoscritto nell’ottica di un mero rimedio postumo ad una situazione de facto ma, al contrario, deve essere un intervento proattivo. Ovvero deve mirare a sviluppare quelle potenzialità che la rivoluzione digitale può favorire e che, necessariamente, devono essere interiorizzate dal sindacato moderno.
Pertanto, il punto di partenza dell’evoluzione del sindacato non può che essere l’idea base di mantenere, e possibilmente incrementare, il livello di rappresentatività dei lavoratori tramite una più capillare integrazione con i mezzi digitali. Solo in tale maniera, infatti, si può ottenere quella legittimazione adeguata a dar forza all’azione di rivendicazione sindacale e, dunque, garantire la possibilità di elevare le condizioni di lavoro dei prestatori.


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2. Le nuove modalità di azione dei sindacati


Sull’argomento parte della dottrina ha evidenziato che occorre muoversi verso una sperimentazione di forme organizzative circolari, in quanto l’economia digitale si presta a strutture di cooperazione orizzontale.
La primaria difficoltà che emerge, tenendo conto di quanto appena detto, è legata alle modalità operative utilizzate dal sindacato per raggiungere il singolo lavoratore. Infatti, com’è noto, il lavoro agile permette di eseguire le mansioni direttamente dalla propria abitazione favorendo elementi di welfare ulteriori a vantaggio del lavoratore. Di contro, però, il lavoro agile rafforza il distaccamento da tematiche sociali e sindacali generando quello che taluni hanno definito il c.d. lavoro liquido.
Altri autori si sono interessati a spiegare che “Fra la generazione che conserva parte rilevante della solidità del mondo precedente, che mantiene ancora una condizione di relativa sicurezza permessa dalla vischiosità del mondo passato, delle sue norme e delle sue forme, e la generazione che invece si è ritrovata liquida, mobile, flessibile ma senza protezione, scoperta, autentica” erede dei movimenti che hanno creato la società liquida.
Questo dualismo delle condizioni e delle società è, ad esempio, facilmente riscontrabile nel mercato del lavoro italiano (e non solo) da molti anni, tanto da spingere il giuslavorista Pietro Ichino (Inchiesta sul lavoro, Mondadori, 2011) a parlare di apartheid”.
Pertanto, diventa essenziale per la corretta evoluzione del sindacato riuscire a sviluppare modelli di coinvolgimento attivo anche attraverso gli strumenti offerti dell’online e, sotto certi aspetti, ripensare il funzionamento dello stesso sindacato.
L’indicazione da seguire, proposta da alcuni studiosi, è di creare “un sindacato contemporaneo, le nuove tecnologie non sono solo strumento di comunicazione ma anche la chiave per svolgere il suo tradizionale compito: organizzare i lavoratori. Questo non significa disintermediare ma anzi rendere più efficace la propria azione di rappresentanza perché la dimensione virtuale è sempre più presente nella vita delle persone e, soprattutto, è sempre più connessa con quella ‘reale’”.
In dottrina, peraltro, è stato ricordato che il lavoro agile può nascondere l’insidia del superamento delle mansioni ripetitive, ciò si combina con la polverizzazione del tratto umano del lavoro, sempre più depersonalizzato.
In tal modo emerge la necessità di un sindacato che dipani la propria attività seguendo alcune linee direttrici ben chiare. In primo luogo non si può prescindere dal rafforzamento dello strumento della formazione continua, intesa come mezzo per realizzare inclusività e garanzia per lo sviluppo di skill utili a mantenere il passo con l’evoluzione tecnologica. Ulteriormente il sindacato deve occuparsi di definire l’inquadramento contrattuale del lavoro agile, la definizione di mansioni specifiche. Infine deve strutturarsi una profonda riflessione sulle tutele del lavoratore in capo all’individuazione dell’orario globale di lavoro, inteso quale carico di lavoro, anche se scollegato da orari prefissati in maniera eteronoma, e la salvaguardia del diritto alla disconnessione.
Altrimenti il ruolo del sindacato verrebbe totalmente svilito e tradotto in un vetusto ed arcaico modello incapace di confrontarsi e contrattare con la predominanza tecnologica della parte datoriale.
In particolare, si evidenzia che i processi di standardizzazione delle attività lavorative, di intensificazione dei ritmi lavorativi imposti, nonché di riconfigurazione delle gerarchie interne, sta generando nuove sfide. La diffusione di sistemi di rewarding (o sanzionatori) sul piano individuale e di monitoraggio della prestazione individuale sempre più stringenti e pervasivi ne rappresentano bene l’idea. Non può neppure tralasciarsi il fatto che la legge sul lavoro agile, al pari dell’accordo interconfederale sul telelavoro (precisa che i telelavoratori godono degli stessi diritti collettivi dei lavoratori che operano all’interno dell’azienda, aggiungendo che sarà precisata fin dall’inizio l’unità produttiva cui il lavoratore sarà associato al fine di esercitare i suoi diritti collettivi), non reca alcun cenno circa l’esercizio di diritti sindacali. Ancor più assurda è la gestione dei diritti sindacali dei lavoratori agili che, benché possano svolgere integralmente tutto il lavoro da remoto, devono tornare fisicamente nell’unità produttiva per partecipare ad assemblee o referendum sindacali.
Quindi, come appare cristallino, il lavoratore agile si trova fortemente demotivato a partecipare alla salvaguardia dei propri diritti nelle attività sindacali. Tant’è che, soprattutto se l’unità produttiva si trova in ubicazione lontana dal domicilio del lavoratore, il coinvolgimento nelle attività sindacali diverrà estremamente difficile attraverso i sistemi tradizionali in presenza.
Se ne evince un indebolimento del ruolo sindacale che, in questo contesto, sembra schiacciato dalla polverizzazione dei rapporti sociali e sindacali, nonché dalla gattopardesca imposizione dell’esercizio dei diritti sindacali in presenza. Quindi, per quanto assurdo, i lavoratori tradizionali possono esercitare i diritti sindacali e riunirsi anche in modalità da remoto ma ciò è precluso per i lavoratori agili.
Taluni autori hanno messo in luce una criticità del titolo III dello Statuto dei lavoratori mostrando che la tradizionale concezione di pensare ai diritti sindacali come qualcosa legato agli spazi fisici (locali, bacheche, unità produttive, ecc.) sia, ormai, obsoleta.
In particolare le maggiori censure sono state rivolte all’art. 25 Stat.Lav. che dispone il diritto di affissione in bacheca di avvisi da parte delle RSA per quanto attiene ai comunicati sindacali. Il problema emerso, infatti, è che questi spazi fisici di affissione, utili nel lavoro tradizionale, sono fondamentalmente un qualcosa di anacronistico quando si parla di lavoro agile. Inoltre, l’invio di comunicazioni sindacali alla email aziendale non può, certo, avere lo stesso effetto di un volantinaggio o del rapporto diretto de visu. Invece, la giurisprudenza di merito non sembra di tale avviso (sul punto si veda il Trib. Catania, 2 febbraio 2009, in Riv. crit. dir. lav., 2009, 126).

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Dopo una ricostruzione dell’evoluzione di questo istituto, dalle origini al periodo emergenziale, agli accordi di lavoro individuali, vengono passati in rassegna tutti gli aspetti normativi e organizzativi, le opportunità e gli elementi critici, ma anche i profili psicologici per l’impatto che lo smart working ha avuto generando una vera e propria nuova percezione del lavoro.

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Nel corso degli ultimi anni il termine “smart working” è entrato prepotentemente nel nostro vocabolario anche se, a differenza di quanto si possa immaginare, le sue origini sono molto più risalenti.Il Volume, scritto da esperti del settore, è una Guida completa che raccoglie le conoscenze indispensabili in tema di smart working analizzandone, in modo operativo, i profili giuridici e fiscali, ma anche gli aspetti meno esplorati, come quelli relativi al ruolo sindacale, ai profili di sicurezza e la declinazione dello smart working nella pubblica amministrazione.Dopo una ricostruzione dell’evoluzione di questo istituto, dalle origini al periodo emergenziale, agli accordi di lavoro individuali, vengono passati in rassegna tutti gli aspetti normativi e organizzativi, le opportunità e gli elementi critici, ma anche i profili psicologici per l’impatto che lo smart working ha avuto generando una vera e propria nuova percezione del lavoro.Flaviano PelusoAvvocato del Foro di Roma specializzato nell’assistenza alle imprese nonché nel diritto delle nuove tecnologie. Professore a contratto presso l’Università La Sapienza e l’Università della Tuscia. È autore di volumi e numerose pubblicazioni scientifiche in tema di informatica giuridica e diritto del lavoro.Gabriele Pacifici NucciAvvocato cassazionista, svolge la propria attività forense al fianco di imprese. Già legal counselor presso studi legali all’estero, ha ricoperto diversi incarichi di management. Docente a contratto presso l’Università La Sapienza e l’Università di Teramo, è autore di numerosi volumi e scritti scientifici.

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Lorena Papini

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