Sezioni unite: spetta al giudice del rinvio la liquidazione delle spese di lite

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(Disposta correzione dell’errore materiale)

(Riferimenti normativi: d.P.R. n. 115/2002, artt. 82, 83)

Il fatto

La Prima Sezione della Corte di cassazione rigettava i ricorsi proposti dagli imputati di un delitto di omicidio commesso condannandoli, in solido, alle spese sostenute nel grado dalle parti civili, spese che liquidava, per ciascuna, in complessivi euro 3.600,00 per onorari, oltre accessori (IVA, CPA e spese generali), come per legge, disponendone il pagamento in favore dello Stato.

Uno degli avvocati di questo processo, con istanza datata 12 marzo 2018, chiedeva alla Corte d’assise d’appello di Napoli la liquidazione del compenso per l’attività professionale prestata dinanzi alla Corte di cassazione e depositava notula che quantificava i compensi – computati entro i valori medi tabellari per le fasi di studio, introduttiva e decisionale ed operata la riduzione di un terzo prevista dall’art. 106-bis del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (testo unico sulle spese di giustizia) – in euro 4.020,00 da maggiorare delle spese generali, del contributo per la Cassa di Previdenza degli Avvocati e dell’IVA e da ridurre della ritenuta d’acconto per un totale di euro 4.941,00.

A sua volta la Corte d’assise d’appello di Napoli, accertato che l’imputato rappresentato da questo legale era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, rilevava che, nella sentenza n. 21091 del 2018, la Corte di cassazione aveva già operato la liquidazione delle spese del grado in favore di ciascuna delle parti civili costituite e pertanto, sul presupposto che tale liquidazione dovesse coincidere con la liquidazione effettuata in favore del difensore ai sensi dell’art. 82 d.P.R. n. 115/2002 e che spettasse alla stessa Corte di cassazione disporre anche la seconda delle due liquidazioni nel caso, ricorrente nella specie, in cui l’imputato era condannato a rifondere le spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non ritenendosi competente a provvedere su tale istanza, trasmetteva gli atti alla Corte di cassazione.

Ciò posto, il procedimento instaurato presso la Corte di cassazione veniva assegnato alla Quarta Sezione penale che, all’udienza del 4 dicembre 2018, qualificando l’ordinanza della corte territoriale come «richiesta di correzione dell’errore contenuto nel dispositivo della sentenza emessa dalla Sezione Prima penale in data 8 febbraio 2018 […] nella parte in cui determina l’ammontare delle spese liquidate a favore delle parti civili», disponeva trasmettersi gli atti alla Prima Sezione penale.

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Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione

La Prima Sezione penale, rilevata la sussistenza di un contrasto di giurisprudenza in ordine all’individuazione, per il giudizio di cassazione, del giudice competente a liquidare le spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen. e ad emettere, sempre per il giudizio di legittimità, il decreto di liquidazione degli onorari in favore del difensore della medesima, ai sensi dell’art. 83, comma 2, d. P.R. n. 115/2002, con ordinanza del 28 marzo 2019, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, prima di entrare nel merito della questione proposta, procedevano a delimitarla nei seguenti termini: “Se, nel giudizio di legittimità, la competenza a provvedere in ordine alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a carico dello Stato, ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen., ed alla emissione del decreto di liquidazione degli onorari e delle spese a beneficio del difensore della predetta parte civile, ai sensi dell’art. 83, comma 2 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, spetti alla Corte di cassazione ovvero al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato”.

Ciò posto, si osservava prima di tutto che, dopo aver disposto in merito alle spese processuali che il condannato deve allo Stato (art. 535; art. 5 d.p.r. n. 115/2002), il codice di rito prende in considerazione le spese sostenute dalla parte civile per l’esercizio dell’azione civile nel giudizio penale rilevandosi a tal riguardo che, da un lato, l’art. 541, comma 1, cod. proc. pen. dispone che con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno il giudice condanna l’imputato e il responsabile civile in solido al pagamento alle spese sostenute dalla parte civile, salva la possibilità di compensarle, ove ricorrano giusti motivi, dall’altro, la previsione è completata da quella dell’art. 153 disp. att. cod. proc. pen. a mente del quale “agli effetti dell’art. 541, comma 1, del codice, le spese sono liquidate dal giudice sulla base della nota che la parte civile presenta al più tardi insieme alle conclusioni”.

Detto questo, gli Ermellini denotavano come il secondo comma dell’art. 541 cod. proc. pen. prenda in considerazione l’ipotesi che la domanda di restituzione o di risarcimento del danno sia rigettata e quella dell’assoluzione dell’imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità fermo restando che, in tali casi, il giudice, se ne è fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’imputato e dal responsabile civile per effetto dell’azione civile sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale mentre, se vi è nella parte civile colpa grave, il giudice può condannarla anche al risarcimento dei danni causati all’imputato o al responsabile civile.

A sua volta la condanna prevista dall’art. 541 cod. proc. pen. attiene al rapporto imputato-parte civile regolato dal criterio della soccombenza (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 4497 del 15/10/1999, dep. 2000; Sez. 6, n. 31744 del 22/05/2003) ed ha ad oggetto le ‘spese processuali’ le quali comprendono i compensi che la parte deve al proprio difensore, oltre alle spese documentate, alle spese quantificate in modo forfettario e alle indennità e alle spese di trasferta (cfr. art. 2 d.m. 10 marzo 2014, n. 55, che detta anche i parametri per la liquidazione dei compensi, modificati con d.m. 8 marzo 2018, n. 37) deducendosi al contempo come la norma de qua è una statuizione autonomamente impugnabile secondo le ordinarie regole del codice di rito e che si ritiene provvisoriamente esecutiva, ai sensi dell’art. 282 cod. proc. civ., poiché alla condanna di natura civile pronunciata dal giudice penale trovano applicazione le norme processuali civili salvo che sia diversamente previsto da disposizioni speciali del codice di rito, che però non ricorrono nella fattispecie in parola (Sez. 4, n. 4497/2000, cit.; Sez. 1, n. 4908 del 19/12/2012, dep. 2013) fermo restando però che per il pagamento non è richiesto un ulteriore provvedimento giudiziale seguendo alla statuizione l’apposizione della formula esecutiva da parte del funzionario di cancelleria.

Gli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002, dal canto loro, prevedono che il compenso del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato venga liquidato dal giudice con apposito decreto di pagamento osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità (art. 82, comma 1); tale compenso deve essere ridotto di un terzo (art. 106-bis) mentre, per un verso, non si dà luogo alla liquidazione se l’impugnazione è dichiarata inammissibile (art. 106), per altro verso, la liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto; per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato fermo restando che, in ogni caso, il giudice competente può provvedere anche alla liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo se il provvedimento di ammissione al patrocinio è intervenuto dopo la loro definizione (art. 83, comma 2), per altro verso ancora, a mente dell’art. 84 del d.P.R. n. 115, avverso tale provvedimento è possibile l’opposizione di cui all’art. 170, disciplinata dall’articolo 15 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.

Terminato questo excursus normativo, i giudici di piazza Cavour rilevavano come nessuno degli orientamenti in campo ponesse in dubbio che la condanna dell’imputato alla rifusione alla parte civile delle spese del giudizio di legittimità, prevista dall’art. 541 cod. proc. pen., debba essere pronunciata dalla Corte di cassazione essendo ormai consolidata la tesi che le norme che disciplinano la condanna dell’imputato soccombente alle spese in favore della parte civile sono estensibili al giudizio di cassazione in virtù del rinvio disposto dall’art. 168 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 1693 del 31/01/1995; Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004) e ciò anche quando la parte civile sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato giacché l’art. 110, comma 3 d.P.R. n. 115/2002 si limita a specificare il contenuto della condanna pronunciata ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen. prevedendo che la statuizione di condanna dell’imputato (non ammesso al patrocinio a spese dello Stato) al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa a tale beneficio contempli la disposizione del pagamento in favore dello Stato (esplicitamente in tal senso Sez. 5, n. 8218 del 18.1.2018) fermo restando che sono numerose le sentenze che, liquidando ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen. le spese in favore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, danno mostra di ritenere che la previsione dell’art. 110 cit. non rifluisca sul piano della competenza atteso che si limitano alla quantificazione, disponendo il pagamento a favore dello Stato, senza i contenimenti e le decurtazioni previste dal d.P.R. n. 115/2002 (Sez. 4, n. 29314 del 05/06/2018; Sez. 5, n. 44915 del 27/04/2018; Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018; Sez. 2, n. 11647 del 05/02/2019; Sez. 1, n. 7784 del 27/11/2017; Sez. 2, n. 12856 del 27/01/2017; Sez. 5, n. 2186 del 14/11/2016, dep. 2017; Sez. 5, n. 11960 del 07/12/2017, dep. 2018, e Sez. 1, n. 7308 del 21/12/2016, dep. 2017).

La questione, quindi, ad avviso delle Sezioni Unite, attiene più propriamente all’individuazione del giudice competente ad emettere il decreto di liquidazione in favore del difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato a favore della quale l’imputato sia stato condannato al pagamento delle spese per il giudizio di legittimità con pagamento in favore dello Stato.

Orbene, in relazione a tale problematica, veniva osservato che, secondo l’indirizzo maggioritario, la Corte di cassazione non è competente a provvedere alla liquidazione del compenso del difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato fermo restando che il fondamento di tale affermazione viene rinvenuto nell’esplicita previsione dell’art. 83, comma 2 (Sez. 5, n. 8218 del 18.1.2018; Sez. 2, n. 43356 del 21/10/2015; Sez. 5, n. 4143 del 20/10/2016, dep. 2017) rilevandosi al contempo, da una parte, che non risultavano ulteriori argomentazioni salvo che nella Sez. 2, n. 18317 del 22/04/2016 ove veniva svolta una aggiuntiva considerazione ossia traendosi dal testo dell’art. 83, la convinzione che con esso sia stata introdotta una regola di carattere speciale nella disciplina relativa all’onorario e alle spese spettanti al difensore, dall’altra, come era nutrito il numero delle pronunce che si limitano a statuire in merito alla condanna dell’imputato al pagamento delle spese, le quali vengono anche quantificate contestualmente e assegnate allo Stato, pretermettendo ogni statuizione relativa al compenso del difensore della parte civile (Sez. 2, n. 11647 del 05/02/2019; Sez. 5, n. 44915 del 27/04/2018; Sez. 4, n. 29314 del 05/06/2018; Sez. 1, n. 21091 del 08/02/2018,; Sez. Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018; Sez. 5, n. 11960 del 07/12/2017, dep. 2018; Sez. 1, n. 7784 del 27/11/2017, dep. 2018; Sez. 2, n. 12856 del 27/01/2017; Sez. 1, n. 7308 del 21/12/2016, dep. 2017; Sez. 5, n. 2186 del 14/11/2016, dep. 2017).

Ciò posto, si evidenziava oltre tutto come all’orientamento maggioritario potessero essere associate anche quelle decisioni che assegnano alla condanna ex art. 541 cod. proc. pen. un contenuto limitato all’an ritenendo che il quantum debba essere determinato dal giudice del rinvio o da quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato con il decreto previsto dagli artt. 82 e 83 quale era stata la soluzione adottata da Sez. 6 n. 6509 del 08/01/2019 e da Sez. 6 n. 51387 del 03/11/2016, entrambe intese a tenere indenne la Corte di cassazione non solo dall’incombente di liquidare il compenso del difensore della parte civile vittoriosa ammessa al patrocinio a spese dello Stato ma altresì da quello di liquidare le spese che l’imputato, in quanto soccombente, deve versare all’erario dello Stato posto che, nella prima decisione, veniva disposto, senza particolare motivazione, la condanna dell’imputato ricorrente anche «alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile …, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà separatamente liquidata dal competente Giudice di appello, disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato» mentre, nella seconda, era stata adottata per la valutazione della ricorrenza di un errore materiale nella sentenza n. 1386 del 2016 emessa dalla Sez. 5 della Corte di cassazione la quale, avendo disposto la condanna dell’imputato ricorrente «a rifondere alla parte civile … le spese sostenute nel presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 3500 oltre spese generali, iva e cpa», per l’istante difensore della parte civile, aveva errato nel non disporre il pagamento in favore dell’Erario.

In detta occasione, rilevavano le Sezioni Unite, La Corte aveva affermato che alla liquidazione provvede, per il giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 83, comma 2, il giudice di rinvio ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato con separato decreto rimarcando che, nel processo penale, con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il magistrato, se condanna l’imputato non ammesso al beneficio al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio, viene disposto il pagamento in favore dello Stato (art. 110, comma 3, d.P.R. n. 115 cit.) ritenendosi per converso erronea anche la diretta liquidazione delle spese in favore della parte civile.

L’indirizzo (minoritario) che afferma la competenza del giudice di legittimità, ad avviso del Supremo Consesso, propone un percorso argomentativo articolato rilevandosi prima di tutto che la sentenza che genera l’orientamento è la Sez. 6, n. 46537 del 08/11/2011 pronunciata per un ricorso che aveva specificamente ad oggetto la statuizione con la quale il Gip aveva condannato l’imputato al pagamento delle spese di difesa in favore della parte civile provvedendo anche alla loro liquidazione.

Si osservava in particolare che in quella occasione l’imputato si era doluto rappresentando come la parte civile fosse stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato e che la liquidazione, come in concreto disposta dal giudice, avrebbe potuto determinare un indebito arricchimento della medesima parte civile e un corrispondente danno dell’imputato in ragione della possibilità che questa potesse ottenere una duplicazione della liquidazione dei compensi al proprio difensore.

Per il ricorrente, dunque, il Gip avrebbe dovuto limitarsi ad affermare il diritto della parte civile all’an debeatur in ordine alla rifusione delle spese legali con rinvio per la quantificazione alla procedura prevista nell’ambito della disciplina speciale del patrocinio a spese pubbliche.

La Corte, a sua volta, aveva ritenuto come la censura richiedesse di dare risposta al quesito se la somma che il giudice con la sentenza deve porre a carico dell’imputato per la rifusione delle spese di difesa sostenute dalla parte civile vincitrice ma che vedono come destinatario lo Stato e non la parte privata, debba o meno coincidere con quella, a carico dello Stato, che lo stesso giudice deve liquidare al difensore della parte civile con il decreto ex art. 82 e a tale quesito veniva data risposta affermativa fermo restando che, oltre a ciò, si era posto poi il problema di come assicurare che le due liquidazioni coincidessero e aveva ritenuto che la soluzione fosse rinvenibile nella immediata liquidazione da parte del giudice che pronuncia la condanna alle spese e, pertanto, «Il giudice del processo penale … quando condanna l’imputato anche al pagamento delle spese di difesa sostenute da tale parte, nel medesimo dispositivo deve provvedere all’indicazione dello Stato come creditore del pagamento a carico dell’imputato, quantificandolo ai sensi dell’art. 82 dPR 115/2002 e contestualmente provvedendo alla liquidazione della stessa somma in favore del difensore della parte civile, sempre ai sensi di tale norma».

Ebbene, una volta ritenuto come tale conclusione fosse, non tanto o non solo soluzione dettata dal criterio sistematico, quanto la conseguenza immediata dell’applicazione concreta della specialità della disciplina dell’art. 110 d.P.R. n. 115/2002 rispetto all’art. 541 cod. proc. pen., ovviamente sul punto della sola quantificazione mentre l’an debeatur rimane disciplinato integralmente e solo da tale ultima disposizione, da ciò il Supremo Consesso ne aveva fatto discendere sia la necessità che il difensore presenti la nota spese redatta secondo i parametri dell’art. 82, sia, quale ‘conseguenza sistematica‘, «che le impugnazioni relative all’an debeatur sono disciplinate dal codice di rito, come tutte quelle relative ai singoli punti della decisione, mentre quelle relative al quantum debeatur sono disciplinate dagli artt. 84 e 170 dPR 115/2002 …».

In conclusione: il dispositivo della sentenza deve contenere sia la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, disponendone il pagamento in favore di quest’ultimo, sia la liquidazione a beneficio del difensore della predetta parte civile (in tal senso, ma senza argomentazioni, anche Sez. 6, n. 15435 del 20/03/2014) e, quando ciò non accada ovvero si registri «il mancato inserimento di tale seconda statuizione in seno al dispositivo …», si afferma come ricorra «… un mero errore materiale, appunto in ragione del carattere obbligato della statuizione omessa, direttamente correlata – e vincolata – al provvedimento adottato, di liquidazione delle spese processuali a favore dello Stato anticipatario, nel rispetto del disposto dell’art. 110 co. 3 d.P.R. 115/2002» (Sez. 6, n. 20552 del 06/03/2019).

Posto ciò, si faceva presente, nella decisione qui in commento, come vi fosse stato un ulteriore sviluppo di tale approdo ermeneutico nella sentenza emessa dalla Sez. 6, n. 3885 del 18/01/2012 avendo essa introdotto, proprio in tema di competenza, una precisazione al principio di diritto in precedenza stabilito della necessaria coincidenza e quindi della contestualità delle statuizioni così dedotta: «E’ vero che l’art. 83.2 dPR 115/2002 prevede che la liquidazione del compenso al difensore per il giudizio di cassazione è compito del giudice di rinvio ovvero di quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. E certamente sussiste e permane tale competenza nel caso di sentenza della corte di cassazione che o accolga il ricorso dell’imputato o comunque compensi, del tutto o parzialmente, le spese tra le parti private: anche in tali casi, infatti, il difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese pubbliche ha diritto alla liquidazione da parte dello Stato del proprio compenso. Quando però nel giudizio di impugnazione l’imputato ricorrente viene condannato a rifondere le spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, trova applicazione il generale obbligo di liquidazione – ex artt. 541 e 592 c.p.p. quale però disciplinato con norma speciale dall’art. 110 T.U. Stup. 115/2002, con la previsione della ricordata necessità della coincidenza tra le due somme (imputato-Stato; Stato-difensore della parte civile ammessa). Pertanto, anche la corte di cassazione potrebbe in questo peculiare caso procedere alla liquidazione».

Si evidenziava tra l’altro come la Corte, nell’occasione, non si fosse spinta sino a formulare un principio di diritto e avesse considerato possibile che il giudice di legittimità proceda alla liquidazione stabilendo, peraltro, una ulteriore condizione per la competenza della Corte ovvero che sia stata presentata una nota spese che risponda puntualmente, nell’indicazione delle voci e nei limiti quantitativi, ai principi imposti dall’art. 82 d.P.R. n. 115/2002 vale a dire una condizione all’evidenza imposta dalla considerazione che l’attribuzione della generale competenza al giudice del merito anche per le prestazioni avanti la corte di cassazione, operata dal legislatore, risponde consapevolmente alle caratteristiche di contenuto ed organizzazione del lavoro della corte di cassazione.

Oltre a ciò, si reputava opportuno rilevare come, nel caso specifico, poiché nel giudizio di cassazione la richiesta difensiva di liquidazione era stata generica perché limitata all’indicazione della sola somma finale pretesa, la Corte avesse ritenuto che, per il principio di coincidenza delle somme, la statuizione nel dispositivo della propria sentenza dovesse essere limitata alla sola condanna nell’an (con l’affermazione dell’obbligo di rifusione delle spese di lite in favore dello Stato) contestualmente riservando a successivo decreto di liquidazione del giudice del merito, ex art. 83, comma 2, la determinazione del quantum in esito all’integrale applicazione della procedura di cui agli artt. 82, comma 3 (richiesta e comunicazione anche all’imputato ed alle altre parti), 84 e 170 (opposizione nei venti giorni al presidente dell’ufficio giudiziario competente).

Il principio secondo il quale la Corte di cassazione, affinché possa essere messa nelle condizioni di effettuare “uno acto” le due liquidazioni (coincidenti), debba disporre di una nota delle spese conforme all’art. 82 (ma altresì all’art. 106-bis dello stesso testo), altrimenti ritornando operativa la competenza del giudice di cui all’art. 83, comma 2, inoltre, veniva sostenuto anche da Sez. 4, n. 20044 del 17/03/2015 e da Sez. 4, n. 52538 del 09/11/2017.

Illustrato questo orientamento ermeneutico minoritario, si osservava come potessero essere accostate a tale orientamento anche quelle decisioni che ritengono di dover quantificare le spese già computando nella liquidazione ex art. 541 cod. proc. pen. l’abbattimento di un terzo ai sensi dell’art. 106-bis; in altri termini, senza emettere un autonomo decreto di pagamento, l’ammontare delle spettanze del difensore viene determinato già dalla Corte di cassazione ma in guisa da rispettare le previsioni degli artt. 82 e 106-bis rilevandosi al contempo come propendono per tale soluzione: Sez. 1, n. 10551 del 07/11/2018; Sez. 1, n. 46118 del 12/04/2018; Sez. 1, n. 41124 del 10/04/2018.

Orbene, una volta illustrati questi due orientamenti nomofilattici, le Sezioni Unite affermavano come la questione in esame dovesse essere risolta a partire dal rispetto che si deve al canone dell’interpretazione letterale specie quando, come nel caso che occupa, il “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” (art. 12 delle preleggi) non lascia margini di ambiguità.

L’art. 83, comma 2, laddove dispone che «La liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto; per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato» è per la Corte di inequivoco significato; la giustapposizione dei due periodi esalta ulteriormente la scelta del legislatore di sottrarre alla Corte di cassazione il compito di provvedere alla liquidazione ossia una scelta che, ad avviso delle Sezioni Unite, è coerente con le caratteristiche del giudizio di legittimità cogliendo nel segno l’osservazione proposta nell’ordinanza di rimessione la quale rileva che «le stesse decisioni che hanno affermato la competenza della Corte di cassazione a liquidare le spese in favore del difensore della parte civile ammessa al pubblico patrocinio per il giudizio di legittimità non hanno potuto fare a meno di riconoscere sia la pregnanza del dato letterale esplicito della norma, parlando di “attribuzione della generale competenza al giudice del merito anche per le prestazioni avanti la Corte di cassazione, operata dal legislatore”, sia la ratio ispiratrice della disposizione medesima, che, si è detto, “risponde consapevolmente alle caratteristiche di contenuto ed organizzazione del lavoro della Corte di cassazione” (Sez. 6, n. 3885/2012 cit.)».

Un’opzione, quella del legislatore, che trova eco in diverse disposizioni del d.P.R. n. 115/2002 quali, ad esempio, sono: a) l’art. 93 che, nell’individuare il magistrato al quale va presentata l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dispone che essa venga presentata all’ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo fermo restando che, se però procede la Corte di cassazione, l’istanza è presentata all’ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato; b) anche l’individuazione del magistrato competente ad emettere la decisione sull’istanza segue il medesimo schema atteso che, a mente dell’art. 96, vi provvede il magistrato davanti al quale pende il processo o il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, se procede la Corte di cassazione; c) l’art. 112, comma 3, dal canto suo, individua il giudice competente a revocare l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel «magistrato che procede al momento della scadenza dei termini suddetti [ovvero i termini rispettivamente previsti dall’art. 79, comma 1, lett. d) e dell’art. 94, comma 3] ovvero al momento in cui la comunicazione [di cui all’art. 79, comma 1, lett. d)] è effettuata o, se procede la Corte di cassazione, il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato».

Alla luce di quanto statuito da tali norme giuridiche, le Sezioni Unite addivenivano alla conclusione secondo la quale il legislatore si è posto in piena consapevolezza il tema dell’applicazione nel giudizio di legittimità delle norme dettate in materia di patrocinio a spese dello Stato ed ha adottato costantemente la scelta di sottrarre alla Corte di cassazione ogni competenza al riguardo.

Oltre a ciò, si faceva altresì presente come, atteso che gli artt. 82 e 83, collocati nel Titolo I, dedicato alle “Disposizioni generali sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario”, hanno valenza anche nei giudizi civili, meritasse di essere rammentato che in tale ambito la giurisprudenza di legittimità è unanime nell’escludere la competenza della Corte di cassazione a provvedere alla liquidazione ai sensi dell’art. 83, comma 2, tanto nel caso di esito infausto della lite che di compensazione delle spese (Sez. 1 civ., n. 23007 del 29/09/2010; Sez. 3 civ., n. 11028 del 13/05/2009; Sez. 1 civ., n. 13760 del 21/02/2007; Sez. 1 civ., n. 16986 del 04/04/2006; Sez. 1 civ., n. 3122 del 15/12/2004, dep. 2005; Sez. 1 civ., n. 22616 del 02/12/2004), che nel caso di vittoria della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato (Sez. 1 civ., n. 9384 del 16/04/2018; Sez. 6 civ., n. 17971 del 20/07/2017; Sez. U civ., n. 22792 del 04/12/2012).

D’altro canto, la stessa questione in oggetto, osservava il Supremo Consesso, è insorta non perché dal quadro normativo emerga come plausibile una interpretazione che ponga in capo al giudice di legittimità siffatta competenza ma piuttosto per la rinvenuta necessità di evitare una possibile negativa situazione fattuale ovvero la discrasia delle liquidazioni perché emesse da giudici diversi sulla base di criteri non coincidenti ritenendosi non priva di significato la tesi della competenza del giudice di legittimità finisca per il riconoscerla in modo ‘intermittente‘, come osservato in termini perspicui dal Procuratore Generale requirente così riconoscendosi, senza plausibile ragione, carattere di norma speciale all’art. 110 ma non all’art. 83, comma 2.

Sotto tale profilo la Suprema Corte riteneva di dover respingere anche la tesi, sostenuta da Sez. 4, n. 26663 del 10/04/2008, e Sez. 4, n. 42844 del 09/10/2008, della integrale indipendenza delle due liquidazioni in quanto essa fa perno sulla assenza di disposizioni che vincolino la liquidazione in favore del difensore alla misura fissata dal giudice penale in sentenza; sulla previsione di differenti criteri di liquidazione; sulla necessità di adottare un provvedimento che permetta al difensore di riscuotere le proprie competenze, prevedendo la condanna pronunciata ai sensi del combinato disposto dagli artt. 541, comma 1, cod. proc. pen. e 110 d.P.R. n. 115/2002 il pagamento in favore dello Stato.

Orbene, l’indubbia autonomia delle due liquidazioni, effetto riflesso della alterità dei rapporti al cui regolamento si volgono rispettivamente l’art. 541, comma 1, cod. proc. pen. e l’art. 82 d.P.R. n. 115/2002, secondo la Corte, deve trovare espressione anche attraverso l’adozione di distinti provvedimenti (in tal senso anche la Circolare del Ministero della Giustizia del 10 gennaio 2018, che, stigmatizzando schemi operativi contrari invalsi in taluni uffici giudiziari, ha ribadito come il decreto di liquidazione debba essere adottato con un provvedimento separato da quello definitivo), per i quali sono previste regole diverse quanto al giudice competente, all’oggetto e al regime impugnatorio ma tale autonomia non implica necessariamente che le liquidazioni siano totalmente indipendenti l’una dall’altra.

In senso opposto milita la relazione corrente tra l’art. 541 cod. proc. pen., integrato dall’art. 153 delle disposizioni di attuazione e dall’art. 110 d.P.R. n. 115/2002, da un lato, e gli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, dall’altro; relazione in forza della quale lo Stato viene ad essere al tempo stesso creditore dell’imputato (in luogo della parte civile) e debitore del difensore di quest’ultima.

Da ciò se ne faceva discendere come la necessità di coordinare le diverse previsioni sia reale nel senso che il generale divieto di ingiustificato arricchimento contrasta l’ipotesi di una condanna dell’imputato a somma maggiore di quella liquidata al difensore della parte civile ammessa: lo Stato si arricchirebbe ingiustificatamente osservandosi al contempo come siffatta evenienza fosse ritenuta dalla Corte costituzionale deteriore atteso che, nell’ambito del giudizio in ordine alla legittimità costituzionale dell’art. 130 d.P.R. n. 115/2002, il giudice delle leggi aveva richiamato la coincidenza delle due liquidazioni affermata dalla giurisprudenza di legittimità quale motivo che permette di escludere la lamentata iniusta locupletatio dell’erario (Corte cost. n. 270 del 28/11/2012).

Per l’opposto versante, una eventuale condanna dell’imputato al pagamento di una somma, minore rispetto a quella liquidata al difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ad avviso del Supremo Consesso determinerebbe un indebito depauperamento dell’erario,giacché in tal caso l’imputato si arricchirebbe della differenza versata dallo Stato e che invece, costituendo voce delle ‘spese processuali‘, dovrebbe rimanere a suo carico.

Per altro verso, l’obiezione, che pone in luce l’irragionevole favore che deriverebbe all’imputato – chiamato a pagare spese processuali determinate nella misura imposta dall’applicazione degli artt. 83 e 106-bis -, per il solo fatto che la parte civile è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato (così Sez. 6 civ., n. 11590 del 03/05/2019, con riferimento alla analoga previsione dell’art. 130 d.P.R. n. 115/2002), per la Corte, trova agevole replica nella considerazione che la condanna alle spese processuali in favore della parte civile ha funzione reintegrativa e non già sanzionatoria sicché il dovuto dall’imputato è giustamente limitato a quanto lo Stato sopporta per la parte civile ammessa al patrocinio pubblico tenuto conto altresì del fatto che, anche nella giurisprudenza civile, divisa in orientamenti contrastanti in ordine alla necessità che la somma liquidata a favore dello Stato coincida con quella liquidata al difensore della parte civile vincitrice ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nel propendere per l’esclusione di tale necessità segnala la diversa regola valevole per il giudice penale (Sez. 2 civ., n. 22017 del 11/09/2018).

Assodato che le due liquidazioni non sono del tutto autonome tra loro, le Sezioni Unite ritenevano come andasse anche escluso che potesse affermarsi una loro perfetta coincidenza in linea teorica e ciò per la semplice ragione che le spese processuali gravanti sulla parte civile non si esauriscono negli onorari e nelle spese del difensore ai quali soli si riferisce la liquidazione di cui agli artt. 82 e 83 come sembra essere confermato dal fatto che al contributo unificato, che secondo la previsione dell’art. 12, comma 2, se è chiesta, anche in via provvisionale, la condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno, è dovuto in caso di accoglimento della domanda in base al valore dell’importo liquidato e secondo gli scaglioni di valore di cui all’articolo 13 ossia un contributo che, ai sensi dell’art. 11, è prenotato a debito nei confronti della parte obbligata al risarcimento del danno come prenotati a debito sono anche, secondo la previsione dell’art. 108, le spese forfettizzate per le notificazioni a richiesta d’ufficio, l’imposta di registro ai sensi dell’articolo 59, comma 1, lettere a) e b), del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, l’imposta ipotecaria e catastale ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347.

Inoltre, dal momento che, ai sensi dell’art. 4, se la parte è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, l’erario anticipa le spese relative agli atti chiesti dalla parte privata, veniva altresì osservato come non potesse escludersi che le spese processuali gravanti sulla parte civile non si esauriscano nell’onorario e nelle spese dovute al difensore e, di conseguenza non può sostenersi che gli importi delle due liquidazioni delle quali qui si tratta debbano coincidere mentre, piuttosto, è necessario che esse vengano coordinate tra loro atteso che la soluzione atta a realizzare tale obiettivo non può travalicare la lettera della legge, il criterio sistematico e la ratio legis.

Ciò posto, gli Ermellini evidenziavano come, nell’orizzonte giurisprudenziale, fosse già emerso il rimedio che permette al contempo di rispettare la previsione normativa e di soddisfare la necessità di coordinamento dal momento che alcune decisioni hanno ritenuto che la Corte di cassazione deve pronunciare una condanna al pagamento delle spese processuali a favore della parte civile che non sia determinata nel quantum alla quale segue, da parte del giudice indicato dall’art. 83, comma 2, il decreto di liquidazione dell’onorario e delle spese spettanti al difensore della parte civile (Sez. 6 n. 6509 del 08/01/2019 e da Sez. 6 n. 51387 del 03/11/2016) così come le stesse sentenze n. 46537/2011 e n. 3885/2012 contemplano l’ipotesi della condanna indeterminata nel quantum anche se solo per il caso che non venga presentata dal difensore una notula conforme alle prescrizioni dell’art. 82 (e dell’art. 106-bis).

Secondo la corrente interpretazione è quindi possibile, ad avviso della Corte, che il giudice di legittimità pronunci una condanna nell’an affermando il diritto della parte civile a vedersi ristorate le spese processuali (escludendosi quindi la compensazione, totale o parziale, delle stesse), venendo il quantum determinato solo in seguito e tenuto conto della liquidazione dell’onorario e delle spese spettanti al difensore.

Orbene, le Sezioni Unite ritenevano come tale interpretazione andasse ribadita giacché essa assicura la salvaguardia dei diversi interessi in gioco nei limiti già previsti dall’ordinamento.

Difatti, come osservato nella pronuncia della Sez. 6 n. 3885/2012, proprio con riferimento all’ipotesi di condanna limitata all’an, «La soluzione evita paralisi procedimentali, non sacrifica alcun interesse tutelato e appare sistematicamente coerente e rispettosa delle diverse logiche e discipline, codicistica e speciale. In definitiva, con la sentenza (pronunciata nei tempi e modi propri della specifica causa) esce dal processo (dando luogo ad un autonomo procedimento incidentale, integralmente ed esaustivamente disciplinato dalla disciplina speciale) ogni problematica relativa alla quantificazione delle spese di lite in favore della parte civile (e quindi del compenso al suo difensore), mentre vi rimane quella sull’obbligo della rifusione. E tutti i soggetti interessati (parte civile e suo difensore, imputato, pubblico ministero) trovano ampia possibilità di far valere le proprie ragioni quantitative nell’ambito della medesima procedura speciale. Quanto alla compatibilità della riserva di liquidazione con il rito penale, innanzitutto deve rilevarsi come la stessa risulti imposta dalle considerazioni normative e sistematiche commentate».

A fronte di ciò, si evidenziava che se l’impostazione qui respinta non considera che norma speciale, rispetto all’art. 541 cod. proc. pen., è anche l’art. 83, che necessariamente va quindi ad integrare la previsione di carattere generale, definendone il contenuto per il caso della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato (profilo già colto dalla stessa ordinanza di rimessione), l’interpretazione adottata non trova ostacolo neppure nella previsione dell’art. 83, comma 3-bis (introdotto dall’articolo 1, comma 783, legge 23 dicembre 2015 n. 208) ai sensi del quale «il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta» in quanto, come rilevato dalla sezione remittente, la disposizione «nulla ha innovato in ordine alla chiara configurazione delle competenze stabilita dal comma 2 della norma stessa», così come nemmeno si determinano ostacoli alla precisa determinazione delle spese processuali che, oggetto della condanna emessa ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen., non consistono nell’onorario e nelle spese del difensore della parte ammessa al patrocinio pubblico posto che si tratta di voci di spesa la cui liquidazione compete, ai sensi dell’art. 165, al funzionario addetto all’ufficio.

Tanto stabilito, le Sezioni Unite negavano che la limitativa condizione posta dalla sentenza n. 3885/2012 alla pronunciabilità della condanna nell’an trovi persuasivo fondamento dato che la tesi della necessità, allo scopo, della presentazione di una nota coerente all’art. 82 (e all’art. 106-bis), da avviso della Corte,, da un canto, contraddice la preliminare affermazione (operata dalla sentenza n. 46537/2011) di una competenza della Corte di cassazione derivante dalla natura di norma speciale (rispetto all’art. 541 cod. proc. pen.) dell’art. 110 visto che è palese che il rapporto di specialità tra norme non può dipendere dalla presentazione o meno della notula, nemmeno prevista dalla norma speciale, dall’altro, contrasta con l’indirizzo prevalente per il quale «poiché l’art. 153 disp. att. cod. proc. pen. non commina alcuna sanzione di nullità o inammissibilità per l’inosservanza del dovere della parte civile di produrre l’apposita nota, la mancanza di questa, ove la domanda di rifusione sia stata tempestivamente proposta, non ne preclude la liquidazione in favore della stessa parte civile sulla base della tariffa professionale vigente, né va escluso il rimborso delle spese vive» (Sez. 4, n. 2311 del 05/12/2018, dep. 2019; Sez. 3, n. 31865 del 17/03/2016; Sez. 6, n. 5680 del 03/12/2007, dep. 2008; Sez. 3, n. 8552 del 23/01/2002; Sez. U, n. 20 del 27/10/1999].

Le Sezioni Unite, dunque, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, formulavano il seguente principio di diritto: “Nel giudizio di legittimità spetta alla Corte di cassazione provvedere, ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen., alla condanna generica dell’imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; spetta al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002“.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto chiarisce la competenza della Corte di Cassazione, del giudice di rinvio e del giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato in materia di pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Difatti, come appena visto, viene stabilito in tale provvedimento che, se nel giudizio di legittimità spetta alla Corte di cassazione provvedere, ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen., alla condanna generica dell’imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, spetta invece al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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