Somme indebitamente percepite dal pubblico dipendente (Cons. Stato n. 4429/2013)

Redazione 04/09/13
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FATTO

Con ricorso davanti al TAR per la Liguria il prof. S. A., a suo tempo aiuto di ruolo presso l’USL n. 13 di Genova, sospeso dal servizio dal 27 settembre 1979 a seguito di emissione nei suoi confronti di mandato di cattura, assolto nei tre procedimenti penali che lo vedevano coinvolto e riammesso in servizio con deliberazione 19 dicembre 1991 n. 3388, che gli riconosceva ai fini giuridici ed economici il periodo dal 27 settembre 1979 al 5 maggio 1988 (data della seconda sentenza di assoluzione), impugnava detta deliberazione per la parte in cui non estendeva il riconoscimento fino alla data del 9 maggio 1991, di effettiva riammissione in servizio.
Con successivo ricorso impugnava anche la deliberazione 26 maggio 1994 n. 1150 dell’USL n. 3 – Ospedale San Martino, di autoannullamento della n. 3388 del 1991 e riesame della ricostruzione di carriera in essa effettuata con riserva di recupero di quanto indebitamente corrisposto, chiedendo inoltre l’accertamento del proprio diritto alla ricostruzione integrale di carriera ed alla percezione di tutte le retribuzioni, con interessi e rivalutazione.
Con sentenza 5 luglio 1996 n. 285 il primo ricorso era dichiarato improcedibile ed il secondo respinto.
Con deliberazione 26 giugno 1997 n. 1736 la subentrata Azienda ospedaliera San Martino disponeva quindi, a scioglimento dell’accennata riserva, il recupero della somma di L. 317.115.193 relativa ad emolumenti arretrati dal 27 settembre 1979 al 5 maggio 1988 corrispostagli in forza della deliberazione n. 3388 del 1991.
Anche la deliberazione n. 1736 del 1997 era oggetto di ricorso, respinto con sentenza 26 giugno 2006 n. 683 della sezione seconda, notificata al ricorrente il 6 ottobre 2006.
Con atto notificato il 30 ottobre 2006 e depositato il 14 novembre seguente il prof. A. ha appellato quest’ultima sentenza.
A sostegno dell’appello ha dedotto:
1.- Erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del principio della irripetibilità dell’indebito percepito in buona fede.
2.- Erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 L. 27 marzo 1985 n. 103 “Ripiano dei disavanzi di amministrazione delle USL al 31/12/1983 e norme in materia di convenzioni sanitarie”.
3.- Erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 L. 7 agosto 1990 n. 241.
Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria.
4.- Erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione per violazione dell’art. 7 L. 7 agosto 1990 n. 241. Difetto di avviso di avvio del procedimento. Difetto di istruttoria.
L’Azienda ospedaliera non si è costituita in giudizio.
Con memoria del 18 maggio 2013 il prof. A. ha insistito nelle proprie tesi e richieste.

DIRITTO

L’appello è infondato.
Premesso che, come sottolineato dal primo giudice, la controversia in esame concerne in via esclusiva il recupero dell’indebito, essendo stata definitivamente risolta in sede giurisdizionale la questione riguardante l’an dell’indebito stesso, tra i quattro motivi d’appello il primo, il terzo e l’ultimo possono essere esaminati contestualmente, in quanto si correlano a principi giurisprudenziali oramai da tempo assodati, pienamente condivisi dalla Sezione, che ha già avuto modo di aderirvi (cfr. Cons. Stato, sez. III, 10 dicembre 2012 n. 6287, nonché sez. VI, 9 dicembre 2010 n.8639, sez. IV, 10 maggio 2011 n.2704 e 16 settembre 2011 n.5234, ivi menzionate).
In particolare, è stato affermato che:
a.- l’affidamento e lo stato soggettivo di buona fede del pubblico dipendente nel percepire dall’amministrazione somme a lui non dovute, nonché l’avvenuta destinazione delle somme alla soddisfazione delle esigenze della vita e gli effetti della ripetizione su tali esigenze, non costituiscono ostacolo al recupero dell’indebito, attesa la doverosità e necessarietà del comportamento dell’amministrazione nel riavere quanto erogato ma appunto non dovuto, in linea con il canone di buon andamento proprio dell’agire pubblico e nell’esercizio del potere/dovere nascente direttamente dal disposto dell’art. 2033 del cod. civ.. Sicché, una volta accertato l’indebito stesso, l’amministrazione non è tenuta a fornire alcun’altra motivazione in ordine agli elementi soggettivi in parola né ad effettuare una valutazione comparativa di tali elementi con l’interesse pubblico;
b.- gli elementi soggettivi predetti rilevano, semmai, soltanto ai fini della determinazione delle modalità del recupero, le quali devono essere tali da non incidere sui bisogni essenziali della vita;
c.- l’anzidetta doverosità esclude, inoltre, che l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento configuri causa di illegittimità del recupero, sia ex art. 21 octies della legge 7 agosto 1990 n. 241 perché, trattandosi di atto completamente vincolato e non autoritativo, il suo contenuto non sarebbe stato diverso, sia in quanto l’eventuale mancanza del preavviso non influisce sulla debenza delle somme, né sulla possibilità di difesa del destinatario perché questi, nell’ambito del rapporto obbligatorio di reciproco dare/avere (paritetico), può sempre far valere le sue eccezioni nell’ordinario termine di prescrizione.
Nella specie, in applicazione dei predetti principi, ai quali si è conformato il primo giudice, vanno pertanto disattese le censure di omessa considerazione dei ripetuti elementi soggettivi (primo motivo), e, di qui, quelle di difetto di motivazione e di istruttoria in relazione a ciò (terzo motivo), nonché di mancata comunicazione di avvio del procedimento (quarto motivo).
Per completezza d’indagine giova inoltre osservare, quanto a quest’ultimo profilo, che la doglianza è oltretutto infondata in fatto, giacché con nota 30 maggio 1997 n. 7843 inoltrata a mezzo raccomandata a.r. (pervenuta il 3 giugno 1997) diretta al prof. A. presso il suo difensore davanti al TAR (avv. *************), il quale ha sottoscritto la nota stessa per presa visione in data 18 giugno 1997, l’Azienda ha preavvertito del proprio intento di procedere alla ripetizione dell’indebito. Quanto alle modalità del recupero, in primo luogo non v’è doglianza al riguardo; in secondo luogo, la deliberazione gravata nulla dispone sul punto, limitandosi ad un mero richiamo ai “modi previsti dalla normativa vigente”; e, infine, poiché l’attuale appellante non ha avanzato istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata, in ogni caso ben può presumersi che la restituzione della somma in questione sia in concreto avvenuta con modalità tali da non aver inciso soverchiamente sulle condizioni di vita del debitore.
Resta da esaminare il secondo motivo, di violazione dell’art. 6 della legge n. 103 del 1985 (rectius: del d.l. 25 gennaio 1985 n. 8 conv. in l. legge 27 marzo 1985 n. 103), secondo cui, in tema del sistema di blocco delle tariffe per la liquidazione dei compensi dovuti dagli enti mutualistici ai medici convenzionati esterni previsto dal d.l. n. 264 del 1974, le relative norme vanno intese “nel senso che fino a quando siano divenute efficaci le nuove tariffe previste dalle convenzioni nazionali uniche (…) ai medici (…) convenzionati con gli enti mutualistici sono dovuti corrispettivi in misura pari a quella risultante dall’ultima convenzione da ciascun ente stipulata con le categorie professionali prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge 8 luglio 1974, n. 264 , da intendersi prorogata fino alle sopraindicate convenzioni nazionali uniche, senza aumenti o adeguamenti di alcun genere”, aggiungendosi che “Sono comunque irripetibili le somme già corrisposte sulla base di diverse interpretazioni delle disposizioni sopra indicate”.
Tale ultima norma è invocata dal prof. A..
Al riguardo, il TAR ne ha correttamente ritenuto l’inapplicabilità, non si versandosi nell’ipotesi di irripetibilità riguardante categorie sanitarie convenzionate con gli enti mutualistici.
In effetti, la stessa norma, evidentemente dettata in ragione della sopravvenienza della riportata disposizione interpretativa avente indubbio carattere rigoroso, concernente esclusivamente le tariffe di cui trattasi, ha chiara portata derogatoria alle sopra ricordate regole ordinarie che presiedono al recupero dell’indebito da parte della pubblica amministrazione, con la conseguenza che non può essere estesa a casi diversi a quelli così disciplinati ed in particolare al ben distinto caso, di cui qui si è discusso, della ripetizione di emolumenti non dovuti al medico dipendente di azienda sanitaria.
In conclusione, la pronuncia appellata merita conferma. Pertanto l’appello dev’essere respinto.
Non v’è luogo a pronunzia sulle spese del grado, stante la mancata costituzione in giudizio di controparte.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge il medesimo appello.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 giugno 2013

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