Mancata conservazione del contratto preliminare, per la Cassazione è reato di occultamento (Cass. pen. n. 1377/2012)

Redazione 17/01/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

Il G.U.P. del Tribunale di Pistoia, con sentenza del 5 novembre 2010, dichiarava non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., nei confronti di G.F. in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 per avere occultato, a fine di evasione, tre contratti preliminari di compravendita riguardanti altrettante unità immobiliari in ordine alle quali il prezzo effettivamente corrisposto era stato poi ridotto nei successivi rogiti.

Avverso tale decisione proponeva ricorso il Procuratore della Repubblica di Pistoia, il quale affermava di non condividere la lettura del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 offerta dal giudice escludendo che il contratto preliminare potesse annoverarsi tra i documenti dei quali è obbligatoria la conservazione.

Osservava, a tale proposito, che detto documento andava collocato, facendo riferimento al disposto dell’art. 2214 c.c., nella generica elencazione descrittiva di cui al comma 2 e ciò in considerazione della attività svolta dalla società dell’imputato nel campo immobiliare e della prassi corrente che prevede il versamento, da parte dell’acquirente, di una caparra della quale viene data quietanza con la sottoscrizione dell’atto, tanto da poter definire il contratto quale pezza d’appoggio documentale dell’operazione di riscossione della quale deve essere curata la custodia.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, la cui violazione è stata contestata all’imputato, sanziona, salvo che il fatto costituisca più grave reato, l’occultamento o la distruzione totale o parziale, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

La menzionata disposizione ha una finalità evidente, che è quella di assicurare, attraverso l’esame della documentazione contabile, un adeguato controllo delle attività imprenditoriali ai fini fiscali, come emerge dall’espresso riferimento alla “ricostruzione dei redditi o del volume di affari” che l’occultamento o la distruzione dei documenti di fatto impedisce.

I documenti da conservarsi obbligatoriamente cui si riferisce la richiamata disposizione sono, ovviamente, quelli che riguardano fatti aventi rilievo sotto il profilo fiscale, la cui individuazione, secondo l’impugnata sentenza, deve essere effettuata tenendo conto del disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 22, comma 3, recante “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”, il quale impone l’obbligo di conservazione “…gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevuti e le copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse”.

Tale elencazione, ripresa pedissequamente dall’art. 2214 c.c., comma 2, è ritenuta tassativa dal G.U.P. e sulla scorta di tale indicazione egli ha ritenuto non ricompreso, nel novero della documentazione obbligatoria, il preliminare di compravendita.

Obietta a tale proposito il Pubblico Ministero ricorrente che la richiamata disposizione civilistica, oltre alla tassativa elencazione richiamata dal G.U.P., indica anche le “…altre scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa” tra le quali andrebbe dunque considerato il contratto preliminare di compravendita.

Ciò posto, deve rilevarsi che il richiamato art. 22, al comma 2, nell’individuare i tempi di conservazione delle scritture contabili si riferisce anche a quelle obbligatorie “ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie, del codice civile o di leggi speciali”, richiamando poi, nel comma successivo, quelle menzionate in sentenza, cosicchè l’osservazione del Pubblico Ministero, secondo il quale il richiamo può ritenersi effettuato anche alle “…altre scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa” appare pertinente.

Deve altresì osservarsi che il riferimento alle scritture richieste dalla “natura dell’impresa” per quel che qui interessa, non può ritenersi limitato al contenuto degli artt. 2421, 2478 e 2519 c.c. ma anche alla tipologia dell’attività svolta.

Per quanto attiene alla figura dell’agente immobiliare è pacifico che la conclusione dell’affare ed il conseguente diritto alla provvigione per il mediatore coincide con la conclusione del contratto preliminare e non del rogito notarile, con la conseguenza, per quanto attiene agli aspetti fiscali, che quanto corrisposto da coloro che hanno concluso l’affare ha natura di costo deducibile e, per l’agente immobiliare, di ricavo imponibile.

Può dunque affermarsi che, nella fattispecie, il contratto preliminare ben poteva ritenersi ricompreso, per quanto riguarda la responsabilità penale in caso di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, tra la documentazione di cui è obbligatoria la conservazione.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con le consequenziali determinazioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Pistoia per nuovo giudizio.

Redazione