Corte di Cassazione Civile sez. I 23/4/2008 n. 10572

Redazione 23/04/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Bologna ha confermato la dichiarazione di inefficacia, ex *******., art. 67, del pagamento per L. 440.300.000, pari a Euro 227.395,27, effettuato in data 28 febbraio 1995 dalla Macchi s.r.l. in favore della Sipi Costruzioni s.r.l. di Sassari.

I giudici del merito, nel respingere l’appello proposto dalle società Sices Works s.p.a., già Sipi Costruzioni s.r.l., e Sices Montaggi s.p.a., già S.I.P.I., Sarda Impianti Petrolifici Industriali s.r.l., hanno così giustificato la propria decisione:

a) benchè nella vocatio in ius la società convenuta fosse stata identificata come Sipi s.r.l., la parte espositiva della citazione individuava bene la convenuta come Sipi Costruzioni s.r.l., società cui era del resto intestata anche la fattura allegata; sicchè non v’era incertezza sul soggetto evocato in giudizio;

b) la citazione era stata notificata presso la sede legale della Sipi Costruzioni s.r.l., nel viale (OMISSIS), mentre la S.I.P.I., Sarda Impianti Petrolifici Industriali, aveva sede al numero civico (OMISSIS) della stessa strada; sicchè non poterono esserci confusioni tra l’una e l’altra società;

c) la Sipi Costruzioni s.r.l. risultò trasferita e la notificazione fu poi rinnovata presso la sede effettiva di (OMISSIS); d) nel giudizio di primo grado s’era costituito il legale rappresentante di una società denominata Sipi s.r.l., che senza spendere neppure il nome della S.I.P.I. Sarda Impianti Petrolifici Industriali, aveva asserito che il pagamento riguardasse altra società, la Sipi Costruzioni, ma in realtà era risultato legale rappresentante di entrambe le società e aveva prodotto la copia dell’atto di citazione notificato in Porto Torres appunto alla Sipi Costruzioni, unica società Sipi avente ivi la propria sede;

e) non determina un aiuto di Stato l’azione revocatoria fallimentare promossa nell’ambito delle amministrazioni straordinarie;

f) sussistono entrambi i presupposti dell’azione revocatoria, sia quello oggettivo, posto che il pagamento fu eseguito in periodo sospetto e non rileva la sorte dei beni di cui era la controprestazione, sia quello soggettivo, posto che le condizioni economiche della Macchi s.r.l., che avevano avuto eco nazionale sin dalla fine del 1993 ed erano evidenziate dagli stessi bilanci della società, erano certamente note alla Sipi Costruzioni, la cui capogruppo Sices aveva sede nella stessa provincia di Varese, e i pagamenti erano stati dilazionati in applicazione di un piano di rientro neppure totalmente eseguito.

Contro la sentenza d’appello ricorrono ora per Cassazione le società Sices Works s.p.a. e Sices Montaggi s.p.a., che propongono quattro motivi d’impugnazione illustrati anche da memoria. Resiste con controricorso la Macchi s.r.l. in amministrazione straordinaria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi le ricorrenti ripropongono le eccezioni relative alla costituzione del contraddittorio tra le parti.

1.1. Con il primo motivo deducono violazione dell’art. 102 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, art. 163 c.p.c., n. 7, art. 167 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost., vizi di motivazione della decisione impugnata.

Lamentano che le sentenze di merito siano state pronunciate nei confronti della Sipi Costruzioni, ora *********** s.p.a., mai convenuta in giudizio, e abbiano omesso statuizioni nei confronti della convenuta Sipi s.r.l., ora ************** s.p.a., escludendo che sia valida la notificazione eseguita presso uno stabilimento di (OMISSIS), ove la Sipi Costruzioni non aveva sede legale, e relativa al medesimo atto di citazione viziato da incertezza nell’identificazione del convenuto.

Censurano quindi per vizio di motivazione la sentenza d’appello, che ha ritenuto sufficiente a identificare il convenuto la presenza dell’unico riferimento alla Sipi Costruzioni contenuto in un atto di citazione rivolto alla Sipi s.r.l. e quindi inidoneo a individuare con assoluta certezza il convenuto, come necessario.

1.2. Con il secondo motivo le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., n. 2 e art. 164 c.p.c., comma 1, vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando la mancata rilevazione della nullità dell’atto di citazione per assoluta incertezza nell’individuazione della società convenuta in giudizio.

Infatti è invalida la notificazione a una società eseguita in un luogo diverso da quello in cui ha la sua sede legale.

1.3. Entrambi i motivi, che vanno trattati congiuntamente, sono palesemente infondati.

Occorre premettere che, essendo state dedotte invalidità del procedimento, è errato il riferimento delle ricorrenti all’art. 360 c.p.c., n. 3, anzichè all’art. 360 c.p.c., n. 4, oltre a risultare inammissibile la deduzione di vizi della motivazione. Infatti, quando vengono dedotti errores in procedendo, anche se la violazione della norma processuale sia stata già eccepita in precedenza, la questione che si pone con il ricorso per Cassazione è sempre e solo quella dell’esistenza o della rilevabilità di un’invalidità, sia quando se ne lamenti la mancata dichiarazione sia quando se ne lamenti l’erronea dichiarazione; e la Corte di Cassazione deve esercitare il suo sindacato "mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto e indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito" (Cass., sez. L, 1 settembre 2004, n. 17564, m. 577598, Cass., sez. un. civ., 25 maggio 2001, n. 226, m. 548189, Cass., sez. L, 25 marzo 2005, n. 6461, m. 580271, Cass., sez. 2 civ., 20 luglio 2005, n. 15238, m. 581965), perchè viene in discussione direttamente l’invalidità non la decisione che su di essa sia stata eventualmente già assunta.

Ciò posto, le dedotte invalidità nel caso in esame non sussistono.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’erronea indicazione della persona chiamata in giudizio "non comporta la nullità dell’atto qualora il giudice possa escludere ogni incertezza circa l’identificazione del destinatario di esso, attraverso la valutazione complessiva dell’atto" (Cass., sez. 1, 28 maggio 1980, n. 3496, m. 407327, Cass., sez. Lavoro, 26 giugno 1984, n. 3745, m.

435732, Cass., sez. L, 3 maggio 2004, n. 8344, m. 572546, Cass., sez. 1, 6 dicembre 2006, n. 26172, m. 593839).

Sicchè deve ritenersi che nel caso in esame la citazione era idonea alla vocatio in iudicium (art. 156 c.p.c., comma 3), perchè l’individuazione della Sipi Costruzioni quale destinataria si desumeva dal contesto dell’atto, con la conseguenza che non potevano insorgere incertezze circa l’identità del convenuto. E poichè lo scopo della notificazione degli atti di "vocatio in ius" è quello di attuare il principio del contraddittorio, tale finalità è raggiunta con la costituzione in giudizio del destinatario dell’atto, rimanendo conseguentemente sanato con effetto "ex tunc" qualsiasì eventuale vizio della notificazione stessa (Cass., sez. 3, 1 giugno 2004, n. 10495, m. 573330, Cass., sez. 3, 22 marzo 2007, n. 6957, m. 596758).

Nel caso in esame dunque la costituzione in giudizio del legale rappresentante della società convenuta, sanò anche ogni eventuale invalidità della notificazione, non potendo escludersi il raggiungimento dello scopo dell’atto sol perchè il soggetto costituitosi rappresentava anche la S.I.P.I. Sarda Impianti Petrolifici Industriali.

2. Con il terzo motivo le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione della *******., art. 61, e dell’art. 87 Trattato CE, omesso esame di fatti decisivi.

Sostengono che, in quanto sottrae al fallimento e ammette alla continuazione dell’attività un’impresa dichiarata insolvente, la L. n. 95 del 1979 prevede un aiuto di Stato e deve essere disapplicata per incompatibilità con il diritto comunitario, con la conseguenza dell’inammissibilità dell’azione revocatoria fallimentare esercitata. Lamentano pertanto che i giudici del merito abbiano omesso di considerare la decisione della Commissione 16 maggio 2000 2001/212/CE, che ha dichiarato l’incompatibilità comunitaria dell’intera L. n. 95 del 1979.

Chiedono comunque la rimessione della questione alla Corte europea di giustizia.

Il motivo è infondato.

Infatti questa Corte ha già ampiamente chiarito che "il D.L. 30 gennaio 197, art. 9, n. 26, conv., con modif., in L. 3 aprile 1979, n. 95, sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, contrasta – in base alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee 1 dicembre 1998 C -200/97 e 17 giugno 1999, nonchè alla decisione della Commissione 16 maggio 2000 2001/212/CE, che hanno carattere vincolante – con la normativa comunitaria solo relativamente a quelle disposizioni che prevedono aiuti di Stato non consentiti" (Cass., sez. 1, 16 luglio 2004, n. 13165, m. 577216, Cass., sez. 1, 8 febbraio 2005, n. 2534, m. 579315). Sicchè l’accertamento dell’eventuale incompatibilità con il diritto comunitario delle agevolazioni fiscali eventualmente godute dalla Macchi s.r.l. in amministrazione straordinaria, potrebbe comportare l’invalidazione di tali aiuti di Stato, ma non certo la caducazione dell’intera procedura e, di conseguenza, non inciderebbe sull’ammissibilità dell’azione revocatoria, che qui rileva. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, per l’azione revocatoria fallimentare si pone solo un problema, di diritto nazionale, attinente alla compatibilità con le finalità di risanamento che può avere la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Sicchè è esclusa in radice la proponibilità di una pregiudiziale comunitaria.

Quanto all’ammissibilità dell’azione revocatoria fallimentare nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, infatti, la giurisprudenza di questa Corte è certamente orientata ormai nel senso che l’azione revocatoria fallimentare, "essendo ispirata a finalità recuperatorie estranee alla fase conservativa dell’amministrazione straordinaria, è esperibile soltanto in relazione alla eventuale fase liquidatoria ed il suo ambito operativo è da riferirsi necessariamente e correlativamente al momento in cui inizia la liquidazione dei beni" (Cass., sez. 1, 5 settembre 2003, n. 12936, m. 566562, Cass., sez. 1, 21 settembre 2004, n. 18915, m. 577264, Cass., sez. 1, 27 dicembre 1996, n. 11519, m. 501523). Nè questa condivisibile giurisprudenza è in contraddizione con il riconoscimento che "nel procedimento concorsuale di amministrazione straordinaria, l’azione revocatoria è esperibile solo dalla data del decreto che dispone l’apertura della procedura e la nomina del commissario, essendo quest’ultimo l’unico soggetto legittimato all’esercizio della suddetta azione, con la conseguenza che il termine di prescrizione della revocatoria fallimentare non decorre dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, bensì solo dalla data del decreto di nomina del commissario governativo, ossia dal momento in cui, a norma dell’art. 2935 c.c. il "diritto" può essere fatto valere" (Cass., sez. un., 15 giugno 2000, n. 437, m. 537612).

Infatti tra azione revocatoria e fase conservativa dell’amministrazione straordinaria v’è una incompatibilità logica e di fatto, prima che giuridica. Sicchè non rileva ai fini della prescrizione che la destinazione conservativa della procedura escluda la possibilità di agire in revocatoria. E tuttavia un’effettiva destinazione liquidatoria della procedura di amministrazione straordinaria può manifestarsi già prima del formale avvio del procedimento di alienazione dei beni, perchè un’attività di conservazione dell’azienda, nella sua unitarietà funzionale, può risultare destinata, nello stesso ambito della procedura prevista dalla L. n. 95 del 1979, non solo alla salvaguardia dell’unità produttiva bensì anche alla tutela della ragioni dei creditori, che hanno evidentemente interesse all’alienazione di un complesso aziendale efficiente e avviato, piuttosto che alla separata alienazione dei singoli beni aziendali.

Ne consegue che l’eventualità di una destinazione liquidatoria della procedura non può non essere accertata con riferimento al momento della decisione sull’azione revocatoria.

Infatti anche la cessione dell’intero complesso aziendale ha funzione di liquidazione, posto che di un risultato di risanamento, senza liquidazione dei beni, può parlarsi solo quando sia il medesimo originario imprenditore a riprendere l’attività produttiva e/o di scambio (L. n. 270 del 1999, artt. 27 e 49) (Cass., sez. 1, 10 gennaio 2007, n. 267, m. 595026).

3. Con il quarto motivo le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione della *******., art. 67, e dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., comma 1, omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ai presupposti oggettivo e soggettivo della domanda. Sostengono in primo luogo che, mancando un pregiudizio per la massa dei creditori, l’azione revocatoria è infondata, posto che fu la Sipi Costruzioni a subire un danno per avere fornito alla Macchi s.r.l. beni per i quali non ha ricevuto integralmente il corrispettivo pattuito e che sono stati invece vantaggiosamente venduti dalla procedura insieme all’azienda decotta. Rilevano comunque che non può essere assoggettato a revocatoria l’importo versato per l’IVA. Aggiungono che, ai fini del presupposto soggettivo dell’azione revocatoria, occorre la prova della conoscenza effettiva dello stato di insolvenza del debitore da parte di chi ne riceva il pagamento di un credito; sicchè è errata la sentenza impugnata, che si fonda solo su generiche considerazioni sulla situazione economica del gruppo cui la ****** apparteneva.

Il motivo è infondato in entrambi i suoi profili.

L’azione revocatoria fallimentare è infatti proponibile a norma della *******., art. 61, comma 2, per la dichiarazione d’inefficacia di qualsiasi pagamento di crediti liquidi ed esigibili, indipendentemente dal titolo del credito anche solo parzialmente estinto, perchè ha la funzione di garantire la parità di condizione di tutti i creditori, in modo da evitare che alcuni di essi subiscano un pregiudizio superiore a quello di altri (Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7028, m. 591009). E l’importo del credito per fornitura include anche il recupero dell’IVA. Quanto al presupposto soggettivo dell’azione, secondo la giurisprudenza di questa Corte la conoscenza, da parte del creditore, dello stato di insolvenza del debitore, sebbene in generale debba essere effettiva e non meramente potenziale, può tuttavia essere provata in via indiretta anche attraverso elementi indiziari attinenti alla conoscibilità dello stato di insolvenza, purchè idonei, in quanto dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, a fornire la prova per presunzioni della conoscenza effettiva (Cass., sez. 1, 22 luglio 2004, n. 13646, in. 574796).

E nel caso in esame i giudici del merito si sono fondati su elementi, quali il passivo esposto in bilancio e le inadempienze della debitrice, certamente idonei a far riconoscere lo stato di insolvenza della Macchi da parte di un operatore economico di livello nazionale come la Sipi Costruzioni.

Sicchè il giudizio espresso al riguardo dalla Corte bolognese è incensurabile in sede di legittimità, essendo indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che "l’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso alla presunzione quale mezzo di prova e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sono incensurabili in sede di legittimità, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di Cassazione essendo quello sulla coerenza della relativa motivazione" (Cass., sez. 1, 20 novembre 2003, n. 17596, m. 568316).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 6.600, di cui Euro 6.500 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Redazione