Accusare l’amministratore di condominio di aver redatto un consuntivo falso è diffamazione

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Commette il delitto di diffamazione, previsto e punito dall’art. 595 Cp, chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione.

La pena, in questi casi, è la reclusione fino a un anno o con la multa fino ad Euro 1.032,00 salvo che l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, per cui è prevista la pena della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065,00.

Qualora l’offesa sia arrecata a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena della reclusione va da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a euro 516,00.

Condizione essenziale per la configurazione del reato di diffamazione è l’assenza della persona offesa, viceversa, si verterebbe nell’ipotesi dell’ingiuria.

Ciò posto, affermare in uno scritto sottoposto all’assemblea e riferire negli incontri con altri condòmini che il bilancio condominiale sia stato falsato dall’amministratore, rappresenta una vera e propria aggressione personale nei confronti dello stesso, anche qualora l’amministratore non venga esplicitamente menzionato, in quanto appare evidente che è costui il delegato alla predisposizione del bilancio trattandosi, comunque, di soggetto agevolmente individuabile.

Questi i principi di diritti pronunciati nella sentenza 2627, depositata in data 22 Gennaio 2018, dalla V Sezione Penale della Corte di Cassazione.

La vicenda giudiziaria vede alla “sbarra” un condomino reo di aver diffuso uno scritto infamante nei confronti dell’amministratore del condominio, siccome accusato di aver palesemente falsificato il bilancio consuntivo. Accusa reiterata nei colloqui intrattenuti con gli altri condòmini immediatamente dopo la conclusione dell’assemblea condominiale nella quale lo scritto era stato diffuso.

Dapprima il Giudice di pace e, successivamente, Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, investito del relativo gravame, ritenevano sussistente il delitto di diffamazione, ex art. 595 Cp, con condanna del condomino al pagamento di una multa.

Propone ricorso per cassazione l’imputato personalmente, deducendo violazioni di legge e illogicità della motivazione, considerata la mancata presenza dell’amministratore in sede di riunione assembleare, circostanza che avrebbe escluso l’esistenza del reato di diffamazione, oltre alla mancata indicazione nominativa della persona cui lo scritto, diffuso in assemblea, risultava riferibile.

La Corte di Cassazione evidenzia come il ricorso appaia manifestamente infondato, non fosse altro perché la condanna in primo grado era consistita esclusivamente nel pagamento della sanzione pecuniaria della multa e, come tale, non suscettibile neppure d’appello, ex art. 37 D.Lvo 274/2000.

Nel merito della questione, tuttavia, riferisce come alcun dubbio possa ingenerarsi in relazione alla portata diffamatoria dello scritto e delle successive esternazioni effettuate alla presenza degli altri condòmini.

Ciò perché <<affermare che il bilancio consuntivo condominiale sia falso costituisce un evidente attacco ad personam nei riguardi del soggetto incaricato della redazione del suddetto strumento contabile e cioè l’amministratore condominiale. Ciò vale a sgombrare il campo dalla seconda delle doglianze poste in essere dall’imputato in merito alla pretesa insussistenza del delitto di diffamazione allorquando le dichiarazioni incriminate ovvero gli scritti diffusi non contengano l’indicazione nominativa della persona offesa. Posto che il bilancio condominiale è predisposto dall’amministratore del condominio è evidente come l’accusa di una sua falsificazione sia diretta allo stesso e, comunque, a soggetto facilmente identificabile. In tema di diffamazione a mezzo stampa, ma il principio è valido in qualsiasi modo si sviluppi l’azione diffamatoria, qualora l’espressione lesiva dell’altrui reputazione sia riferibile, ancorché in assenza di indicazioni nominative, a persone individuabili e individuate per la loro attività, esse possono ragionevolmente sentirsi destinatarie di detta espressione, con conseguente configurabilità del reato di cui all’articolo 595 cod.pen. (v. Cass. Sez. V 21 ottobre 2014 n. 2784)>>.

Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.

Sentenza collegata

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Avv. Accoti Paolo

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