Concorsi universitari: criteri valutativi (Cons. stato n. 2858/2013)

Redazione 24/05/13
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FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso in appello (r.g.n. 2817/2009) l’Università degli studi di Verona impugnava la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto 22 gennaio 2009 n. 132, resa in forma semplificata, con la quale era stato accolto il ricorso, proposto da alcuni candidati partecipanti alla procedura comparativa bandita nel 2008, dall’Università appellante per la copertura di un posto di ricercatore universitario di filosofia teoretica, avverso il decreto del Rettore dell’università di Verona n. 3536/08 che, a conclusione dei lavori della commissione esaminatrice, aveva individuato il dott. ********* quale soggetto maggiormente idoneo a ricoprire il posto messo a concorso.
Con successivo ricorso (r.g.n. 3256/09) proponeva appello avverso la medesima sentenza il dott. P., lamentando anch’egli l’erroneità della gravata sentenza adottata, a suo dire, sulla base del non condivisibile presupposto della carenza di criteri idonei a rendere intelligibile il giudizio valutativo espresso dalla commissione d’esame ed in relazione alla sussistenza di una situazione che avrebbe dovuto portare il presidente della commissione a formalizzare la sua astensione dai lavori, in ragione del rapporto di collaborazione scientifica intrattenuto con il candidato risultato vincitore della procedura comparativa.
Concludevano gli appellanti – in riforma della sentenza impugnata ed in accoglimento degli appelli – per la reiezione del ricorso di primo grado.
In entrambi i ricorsi si costituivano in giudizio i controinteressati (già ricorrenti in primo grado) per resistere agli appelli e chiederne la reiezione.
Con ordinanza cautelare 5 maggio 2009 n. 2252 questo Consiglio di Stato sospendeva l’esecutività della sentenza impugnata.
I ricorsi venivano in trattazione all’odierna udienza pubblica del 7 maggio 2013 per essere posti in decisione.
2.- In quanto proposti avverso la stessa sentenza, i due appelli in esame devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 96 del codice del processo amministrativo.
3.- Nel merito, i due ricorsi sono fondati e meritano accoglimento.
A base dell’impugnata sentenza di accoglimento, il T.a.r. aveva ritenuto fondate ed assorbenti le censure proposte dagli originari ricorrenti ed incentrate in particolare sulla mancata predisposizione, da parte della commissione esaminatrice, di criteri valutativi “contemplanti attribuzioni di punteggi ovvero giudizi graduati che consentissero una puntuale comparazione tra i diversi titoli posseduti dai ricorrenti.”
Inoltre, il primo giudice aveva ritenuto violato, nell’ambito della procedura comparativa de qua, il canone dell’imparzialità nelle operazioni di valutazione dei candidati, in ragione del fatto che il presidente della commissione d’esame, oltre che relatore della tesi di dottorato di ricerca del vincitore del concorso, era stato anche curatore di pubblicazioni scientifiche prodotte da tale ultimo candidato e valutate in sede concorsuale.
4.- L’Università di Verona ed il P., nell’impugnare con i distinti ricorsi di cui in epigrafe la suindicata sentenza, ne hanno rilevato l’erroneità sull’assunto della sussistenza, nella materia relativa alla valutazione comparativa dei candidati a posti di professore o ricercatore universitario, di criteri normativi precisi sulla cui base poter leggere ed interpretare il giudizio valutativo espresso dalla commissione giudicatrice, a prescindere da quelli autonomamente elaborati dall’organo tecnico prima dello svolgimento delle operazioni d’esame.
Inoltre, le parti appellanti hanno richiamato, a confutazione del capo decisorio inerente alla pretesa violazione dell’obbligo di astensione da parte del presidente della commissione giudicatrice, il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa a proposito dei contenuti e dei limiti di esercizio di quell’obbligo, non riferibile alle ipotesi di mera collaborazione scientifica tra un commissario ed un candidato ovvero all’ordinario rapporto docente-allievo.
5.- Le suindicate censure d’appello, aventi carattere assorbente, appaiono al collegio meritevoli di favorevole considerazione.
5.1- Come anticipato, il T.a.r. aveva ritenuto fondata la censura di primo grado, con la quale gli originari ricorrenti avevano lamentato come la commissione esaminatrice non avesse predisposto i criteri di massima al fine di consentire ai singoli componenti l’organo tecnico di formulare, ciascuno, il proprio giudizio valutativo sulla base dei criteri di cui all’art. 4, d.P.R. n. 117/2000 (concernente le modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento dei professori universitari di ruolo e dei ricercatori).
Inoltre, gli originari ricorrenti lamentavano come non vi fosse stata una valutazione analitica e comparativa dei singoli candidati in relazione a ciascun criterio, ma solo una valutazione complessiva, senza espressione di voto, da parte della commissione, con conseguente difficoltà, a posteriori, di risalire al percorso logico seguito per la graduazione dei candidati sulla base dei titoli posseduti da ciascuno.
I giudici di primo grado avevano integralmente fatto propria tale censura.
Ritiene il collegio che tale capo decisorio non resista alle censure d’appello.
Anzitutto, va rilevato che, come sostenuto dalla difesa erariale, la commissione esaminatrice, pur senza giungere a stilare, come sostenuto dal T.a.r., “criteri contemplanti attribuzioni di punteggi ovvero giudizi graduati”, non si sia sottratta all’obbligo di elaborare criteri di massima sulla cui base dar corso alla valutazione dei candidati.
È ben vero che tali criteri risultano sostanzialmente riproduttivi di quelli già contenuti nell’art. 4, d.P.R. n. 117/2000, ma in ciò non è dato ravvisare alcuna illegittimità, posto che tale disposizione, lì dove stabilisce che le commissioni “predeterminano” i criteri di massima e le procedure di valutazione comparativa dei candidati, impone soltanto l’onere della preventiva enunciazione di tali criteri (onde evitare che le valutazioni siano compiute sulla base di criteri postumi o comunque non conosciuti ex ante dai candidati), ma non contiene prescrizioni conformative riguardo al loro contenuto; la riproduzione pedissequa dei criteri normativi non è quindi in sé illegittima, atteso che la possibilità d’integrare o specificare quei criteri costituisce una facoltà e non un obbligo per le commissioni esaminatrici.
Quanto alle operazioni di valutazione dei candidati, in concreto compiute dalla commissione esaminatrice, se è pur vero che i giudizi, individuali e collettivi, dei componenti la commissione risultano espressi con formule lessicali non collegate a griglie valutative ovvero a punteggi precostituiti – che ne avrebbero consentito una più agevole lettura e interpretazione – nondimeno non par dubbio che dall’esame dei verbali si ricava che la commissione si sia puntualmente attenuta ai criteri di massima prestabiliti.
Inoltre, emerge dagli stessi verbali come i giudizi espressi nei confronti degli originari ricorrenti, per quanto largamente positivi, ben si distinguano dai giudizi espressi nei confronti del candidato P., ritenuto idoneo sulla base di un valutazione particolarmente lusinghiera dei titoli scientifici e del suo profilo curriculare.
A titolo di mero esempio, risulta dai verbali che il commissario prof. *************, ha così compendiato il suo giudizio sul candidato P.:” La monografia, imponente, porta alla luce una pagina fondamentale della psicologia filosofica italiana, ben inserita nel contesto del dibattito europeo. ….Il candidato ha una particolare attitudine alla ricerca ed una finezza in ambito teoretico, soprattutto quanto alla gnoseologia, che denotano un approccio scientificamente maturo”.
Anche il commissario prof. ********, dopo aver riferito che “la monografia è corposa e affronta un tema speculativo di estrema rilevanza” soggiunge che “la ricostruzione del dialogo critico dello ******* con l’opera del ********* e dell’Ardigò è di particolare interesse”, concludendo che “il candidato possiede consapevolezza teoretica e rigore scientifico nell’affrontare le diverse tematiche”.
Anche il giudizio collegiale si esprime, tra l’altro, in termini di “originalità ed innovatività sul piano scientifico” e di “sicuro rigore metodologico”, lasciando chiaramente intendere il percorso logico seguito dall’organo tecnico per addivenire al giudizio largamente positivo sui profili curriculari del candidato, che ne ha suggellato la collocazione in posizione dichiaratamente poziore rispetto agli altri.
Anche attraverso le formule aggettivali utilizzate dalla Commissione nell’espressione delle valutazioni complessive (ad esempio, per nessuno degli altri candidati si legge quanto riferito in ordine alla produzione scientifica del P. e, cioè, che la stessa dimostra originalità ed innovatività sul piano scientifico, oltre che un sicuro rigore metodologico), si evince chiaramente su quali elementi si sia basata la riconosciuta superiorità del vincitore della valutazione comparativa rispetto agli altri contendenti.
In definitiva, in presenza di tale coerente quadro valutativo, rispondente anche sul piano formale ai criteri di cui al richiamato art. 4, d.P.R. n. 117/2000, non ritiene il collegio che nei giudizi espressi dalla commissione esaminatrice siano ravvisabili profili d’irragionevolezza o d’illogicità che possano integrare vizi di legittimità degli atti valutativi, ferma restando l’intangibilità delle valutazioni discrezionali riservate all’organo tecnico.
Né rileva il fatto che in favore del candidato P. sia stata valutata alla stregua di un“saggio” una pubblicazione che aveva in realtà natura di articolo scientifico, atteso che la qualificazione formale o nominale di un lavoro di ricerca non incide sulla sua valutabilità sul piano contenutistico, purchè si tratti di una “pubblicazione scientifica” nei sensi divisati dal richiamato art. 4, comma 2, d.P.R. n. 117/2000.
Allo stesso modo, non appare dirimente a dimostrare l’incongruità del giudizio valutativo della commissione esaminatrice la circostanza, allegata negli scritti difensivi degli appellati D. B. e P., secondo cui il P. sarebbe stato sfornito del titolo di dottore di ricerca alla data della domanda di partecipazione alla procedura comparativa.
A confutazione del rilievo vale osservare che il bando (art. 3) non richiedeva il titolo di dottore di ricerca per l’ammissione alla procedura, pur prevedendolo tra i titoli da valutare specificamente (art. 6); di tal che la partecipazione del P., che all’epoca della domanda era soltanto iscritto al corso di dottorato, non avrebbe potuto ritenersi interdetta in ragione del mancato possesso del titolo né, per converso, il possesso dello stesso titolo da parte degli altri candidati avrebbe potuto costituire un elemento di per sé discretivo, ai fini di una migliore valutazione complessiva del profilo curriculare.
Non diversamente, le ulteriori allegazioni fattuali degli appellati circa la maggiore importanza, sul piano curriculare, dei titoli in loro possesso (quali, per il candidato P., le borse di studio all’estero ovvero il titolo di visiting scholar conseguito negli Stati uniti), non inficiano la congruità delle valutazioni espresse dalla commissione esaminatrice che, per quanto detto, non risultano distoniche rispetto agli elementi acquisiti in ambito procedimentale.
5.2- Quanto al secondo motivo d’appello, incentrato sull’erroneità della gravata pronuncia nella parte in cui la stessa aveva accertato la violazione, da parte del presidente della commissione esaminatrice, dell’obbligo di astensione, ai sensi dell’art. 51, c.p.c., il collegio ritiene anche tale motivo fondato e meritevole di accoglimento.
Secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato (cfr. da ultimo, sez. VI , sent. 13 marzo 2013 n. 1512), le cause d’incompatibilità sancite dall’art. 51, c.p.c., estensibili, in omaggio al principio costituzionale di imparzialità, a tutti i campi dell’azione amministrativa, e segnatamente alla materia concorsuale (cfr. Cons. St., sez. VI, sent. 11 gennaio 1999 n. 8) rivestono carattere tassativo e, come tali, sfuggono ad ogni tentativo di estensione analogica, stante l’esigenza di assicurare la certezza dell’azione amministrativa e la stabilità della composizione delle commissioni giudicatrici (cfr. Cons. St., sez. VI, sent. 5 maggio 1998 n. 631; sez. II, parere 23 febbraio 1994 n. 1335/93; sez. II, parere 29 marzo 1995 n. 841/95; sez. II, parere 12 novembre 1997 n. 2598).
La semplice sussistenza di rapporti accademici o di ufficio tra commissario e candidato non è idonea ad integrare gli estremi delle cause d’incompatibilità normativamente cristallizzate, salva la spontanea astensione di cui al capoverso dell’art. 51, c.p.c. (cfr. Cons. St., sez. VI, sent. 26 gennaio 2009 n. 354).
La conoscenza personale e/o l’instaurazione di rapporti lavorativi ed accademici non sono di per sé motivi di astensione, a meno che i rapporti personali o professionali non siano di rilievo ed intensità tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali.
Perché i rapporti personali assumano rilievo deve trattarsi di rapporti diversi e più saldi di quelli che di regola intercorrono tra maestro ed allievo o tra soggetti che lavorano nello stesso ufficio (cfr. Cons. St., sez. VI, sent. n. 8/1999 cit.; id., 5 maggio 1998 n. 631; id., 27 giugno 1978, n. 890; sez. II, parere 9 marzo 1994 n. 243) e così la sezione ha, in precedente occasione, reputato rilevante e decisiva la circostanza che il rapporto tra commissario e candidato, trascendendo la dinamica istituzionale delle relazioni docente-allievo, si sia concretato in un autentico sodalizio professionale connotato dai caratteri della stabilità e della reciprocità d’interessi di carattere economico (cfr. Cons. St., sez. VI, sent. n. 8/1999 cit., che ha reputato violato il dovere di astensione nell’ipotesi di associazione professionale, protrattasi anche nel periodo interessato dall’espletamento del concorso, tra commissario e candidato).
5.3- In definitiva, non comporta l’obbligo di astensione di un componente la commissione giudicatrice di concorso a posti di professore o di ricercatore universitario la circostanza che il commissario ed uno dei candidati abbiano pubblicato insieme una o più opere; tenuto conto che si tratta d’ipotesi ricorrente nella comunità scientifica (talvolta caratterizzata da un numero contenuto di componenti), rispondendo alle esigenze dell’approfondimento di temi di ricerca sempre più articolati e complessi, sì da rendere, in alcuni settori disciplinari, estremamente difficile, se non impossibile, la formazione di commissioni esaminatrici in cui tali collaboratori non siano presenti” (cfr. Cons. St., sez. VI, sent. 29 luglio 2008 n. 3797), e, ancora, la mera esistenza di rapporti di collaborazione scientifica, tra taluno dei commissari e qualcuno dei candidati, non costituisce di per sé causa di astensione né vizio del procedimento.
Da tanto discende che, nel caso di specie, non vi era un obbligo di astensione a carico del presidente della commissione, non risultando dimostrata (e neppure dedotta) alcuna comunanza di vita o d’interessi economici tra il commissario ed il candidato P..
Peraltro, nessuno degli altri candidati (ivi compresi i ricorrenti in primo grado) aveva proposto domanda di ricusazione dei commissari, così come previsto dal bando concorsuale (art. 2).
Consegue da quanto detto che anche la censura di primo grado, incentrata sulla pretesa violazione dell’obbligo di astensione da parte del presidente della commissione esaminatrice, non meritava di essere accolta, non risultando condivisibili le osservazioni dei giudici di prime cure a proposito della violazione dell’obbligo sancito dal richiamato art. 51, c.p.c., mercé la sussistenza dei riferiti rapporti di collaborazione scientifica tra il predetto candidato P. ed il presidente della commissione.
6.- In definitiva, alla luce dei rilievi che precedono, i due appelli, previa riunione, meritano accoglimento, con conseguente reiezione, in riforma dell’impugnata sentenza, del ricorso di primo grado.
Gli oneri del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti, avuto riguardo alla particolarità della vicenda trattata ed alle alterne vicende processuali.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione VI, riunisce ed accoglie i due appelli (r.g.n. 2817/2009 e r.g.n. 3256/2009) e, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso proposto in primo grado.
Oneri del doppio grado di giudizio compensati tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2013

Redazione