Sentenza del Consiglio di Stato – Sez. V n. 04237/2009: risarcimento dei danni a seguito della risoluzione del convenzionamento con una casa di cura.

Lazzini Sonia 31/03/11
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Si configura sia un’ipotesi di c.d. “danno da disturbo”, sia un’ipotesi di c.d. “danno da ritardo”.

per l’esecuzione della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. V n. 04237/2009, resa tra le parti e concernente il risarcimento dei danni a seguito della risoluzione del convenzionamento con una casa di cura.

La Sezione ha nell’occasione rilevato che l’illegittimità della condotta dell’Amministrazione, così come la colpevolezza, erano state già accertate con la decisione n. 2755/2005 cit., sia per aver l’amministrazione adottato il provvedimento di risoluzione del convenzionamento precedentemente in atto, sia per aver colpevolmente ritardato il riconoscimento dell’accreditamento provvisorio, così configurando sia un’ipotesi di c.d. “danno da disturbo”, sia un’ipotesi di c.d. “danno da ritardo”.

Il Collegio ha osservato, quindi, che nella vicenda in esame l’appellante ha dimostrato la sussistenza di tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria, così come individuati dalla giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2015).

Ed invero: sussiste l’elemento soggettivo, ovvero la colpa della P.A., che nella fattispecie è stata accertata da questo Consiglio con la pronuncia n. 2755/2005 ed espressamente ricollegata alla violazione degli obblighi di correttezza e buona fede; vi è l’evento dannoso, come anche la qualificazione del danno come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento e meritevole di protezione giuridica; esiste, infine, il nesso di causalità con l’illegittimità degli atti adottati o comunque con la condotta, sia commissiva (illegittima risoluzione del rapporto di convenzionamento) che omissiva (grave e notevole ritardo nel portare a compimento il procedimento di accreditamento) della P.A.

Nella fattispecie, ha puntualizzato la Sezione, può ritenersi configurabile anche una responsabilità contrattuale dell’amministrazione, direttamente riveniente dal non aver ripristinato la convenzione, non consentendo alla Clinica di erogare le relative prestazioni sanitarie, nonostante fosse intervenuta l’ordinanza del TAR di sospensione della risoluzione del convenzionamento e nonostante l’odierna appellante avesse comunicato di accettare il nuovo sistema di remunerazione a tariffa già dal 1995.

Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, l’attività dell’amministrazione, con il suo connotato di discrezionalità, era comunque imprescindibile sia per ripristinare il convenzionamento in un primo momento e sia per poter attribuire poi l’accreditamento.

Da ciò deriva che, indipendentemente dalle iniziative della Clinica, che pure nella fattispecie risultano intraprese e dimostrate documentalmente, l’amministrazione avrebbe dovuto ripristinare la convenzione già nel 1993 a seguito del provvedimento cautelare e avrebbe dovuto avviare il procedimento per il riconoscimento dell’accreditamento dopo la formale richiesta inoltrata dall’appellante in data 6.2.1995.

Del pari la decisione di questo Consiglio ha considerato non corretta la sentenza impugnata sotto il profilo della pretesa esclusione della valutabilità dell’operato dell’Amministrazione in relazione al mancato riconoscimento dell’accreditamento provvisorio, per la ragione che la Clinica avrebbe circoscritto la propria richiesta risarcitoria ai danni derivanti dalla delibera di risoluzione del convenzionamento.

In disparte la considerazione, svolta dall’appellante, che se l’Amministrazione non avesse illegittimamente risolto il rapporto convenzionale, o quanto meno se l’avesse ripristinato a seguito dell’adozione dell’ordinanza del TAR del 6.7.1993, la Clinica avrebbe avuto il titolo per poter continuare a svolgere, senza interruzioni, le proprie prestazioni a favore del Servizio Sanitario Nazionale, e ciò in applicazione della disciplina del passaggio dal vecchio sistema del convenzionamento al nuovo sistema dell’accreditamento sulla base di tariffe predeterminate, resta il dato che la stessa decisione di questo Consiglio n. 2755/2005, nell’accertare l’illegittimità della delibera di risoluzione del con-venzionamento, costituisce sicuramente un valido presupposto su cui l’appellante fonda la propria richiesta risarcitoria; tale decisione, infatti, nell’annullare la delibera di risoluzione del 1993, evidenzia l’illegittimità dell’operato posto in essere dall’Amministrazione in quanto contrario agli obblighi di correttezza, trasparenza e buona fede, sottolinenando come “il principio di buona fede oggettiva è posto dall’ordinamento a fondamento non solo dell’attività dei soggetti privati ma anche, a maggior ragione, di quelli pubblici” (cfr. Cons. St., Sez. IV, 2 marzo 2000, n. 1111), e che “il dovere di agire secondo correttezza e buona fede non è assolto solo con il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge ma si deve realizzare anche con comportamenti non individuati dal legislatore e che in rela-zione alle singole situazioni di fatto siano necessari per evitare l’aggravamento della posizione dell’altro contraente”.

In sede di esame delle singole voci di danno risarcibile a titolo di danno emergente il Collegio ha concluso che il comportamento illegittimo posto in essere dalle Amministrazioni ha causato, quale conseguenza immediata e diretta, la perdita da parte della Ricorrente s.p.a. delle prestazioni che espletava in regime di convenzione e cioè dei ricavi corrispondenti alle attività per le quali era originariamente convenzionata e che avrebbe potuto continuare a svolgere se le fosse stato riconosciuto tempestivamente l’accreditamento provvisorio, con remunerazione a tariffa.

Per la quantificazione di tale voce di danno il Collegio ha ritenuto di fare applicazione della disposizione di cui all’art. 35, comma 2, del D.Lgs. n. 80 del 1998, stabilendo i criteri in base ai quali l’Amministrazione pubblica avrebbe dovuto proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine, tendendo conto dei risultati conseguiti e documentati nel passato nonché della riduzione, che nel tempo si è avuta, della durata media dei giorni di degenza.

Il Consiglio ha previsto anche il computo della rivalutazione monetaria (trattandosi di debito di valore) e degli interessi, dal 1993 (momento dell’adozione del provvedimento di risoluzione della convenzione) al riconoscimento dell’accreditamento (2006), oltre agli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo.

Riportiamo qui di seguito la decisione numero 443 del 21 gennaio 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

 

N. 00443/2011REG.PROV.COLL.

N. 10439/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 10439 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:***

contro***

per l’esecuzione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. V n. 04237/2009, resa tra le parti e concernente il risarcimento dei danni a seguito della risoluzione del convenzionamento con una casa di cura.

 

Visti i reclami proposti dalla Regione Campania, dall’ Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 e dalla Gestione Liquidatoria dell’Ex Usl 37 avverso la determinazione asssunta dal Commissario aad accaata in sede di esecuzione del giudicato di cui alla precedente decisione n. 4237/2009;

Visto il reclamo incidentale proposto dalla Casa di Cura Ricorrente S.p.A Ricorrente S.p.A;

Viste le memorie difensive prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 il Cons. ******************** e uditi per le parti gli avvocati *******, ***********, ******** e *********;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con decisione di questo Consiglio di Stato, sezione V, n. 2755/2005, resa in data 30.5.2005, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso proposto dalla Casa di cura C.G. Ricorrente s.p.a. avverso la deliberazione con la quale l’ ex U.s.l. 37 (ora A.s.l. Napoli 1) della Campania in data 28.4.1993 aveva dichiarato risolto il rapporto di convenzionamento in essere tra la Casa di cura e il S.s.n., ai sensi dell’art. 44, legge n. 833/1978.

2. Con la successiva decisione n, 4237/2009 il Consiglio, in riforma della sentenza di prime cure, ha accolto il ricorso finalizzato ad ottenere il risarcimento del danno derivante dalla citata delibera n. 278/1993..

La Sezione ha nell’occasione rilevato che l’illegittimità della condotta dell’Amministrazione, così come la colpevolezza, erano state già accertate con la decisione n. 2755/2005 cit., sia per aver l’amministrazione adottato il provvedimento di risoluzione del convenzionamento precedentemente in atto, sia per aver colpevolmente ritardato il riconoscimento dell’accreditamento provvisorio, così configurando sia un’ipotesi di c.d. “danno da disturbo”, sia un’ipotesi di c.d. “danno da ritardo”.

Il Collegio ha osservato, quindi, che nella vicenda in esame l’appellante ha dimostrato la sussistenza di tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria, così come individuati dalla giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2015). Ed invero: sussiste l’elemento soggettivo, ovvero la colpa della P.A., che nella fattispecie è stata accertata da questo Consiglio con la pronuncia n. 2755/2005 ed espressamente ricollegata alla violazione degli obblighi di correttezza e buona fede; vi è l’evento dannoso, come anche la qualificazione del danno come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento e meritevole di protezione giuridica; esiste, infine, il nesso di causalità con l’illegittimità degli atti adottati o comunque con la condotta, sia commissiva (illegittima risoluzione del rapporto di convenzionamento) che omissiva (grave e notevole ritardo nel portare a compimento il procedimento di accreditamento) della P.A.

Nella fattispecie, ha puntualizzato la Sezione, può ritenersi configurabile anche una responsabilità contrattuale dell’amministrazione, direttamente riveniente dal non aver ripristinato la convenzione, non consentendo alla Clinica di erogare le relative prestazioni sanitarie, nonostante fosse intervenuta l’ordinanza del TAR di sospensione della risoluzione del convenzionamento e nonostante l’odierna appellante avesse comunicato di accettare il nuovo sistema di remunerazione a tariffa già dal 1995.

Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, l’attività dell’amministrazione, con il suo connotato di discrezionalità, era comunque imprescindibile sia per ripristinare il convenzionamento in un primo momento e sia per poter attribuire poi l’accreditamento.

Da ciò deriva che, indipendentemente dalle iniziative della Clinica, che pure nella fattispecie risultano intraprese e dimostrate documentalmente, l’amministrazione avrebbe dovuto ripristinare la convenzione già nel 1993 a seguito del provvedimento cautelare e avrebbe dovuto avviare il procedimento per il riconoscimento dell’accreditamento dopo la formale richiesta inoltrata dall’appellante in data 6.2.1995.

Del pari la decisione di questo Consiglio ha considerato non corretta la sentenza impugnata sotto il profilo della pretesa esclusione della valutabilità dell’operato dell’Amministrazione in relazione al mancato riconoscimento dell’accreditamento provvisorio, per la ragione che la Clinica avrebbe circoscritto la propria richiesta risarcitoria ai danni derivanti dalla delibera di risoluzione del convenzionamento.

In disparte la considerazione, svolta dall’appellante, che se l’Amministrazione non avesse illegittimamente risolto il rapporto convenzionale, o quanto meno se l’avesse ripristinato a seguito dell’adozione dell’ordinanza del TAR del 6.7.1993, la Clinica avrebbe avuto il titolo per poter continuare a svolgere, senza interruzioni, le proprie prestazioni a favore del Servizio Sanitario Nazionale, e ciò in applicazione della disciplina del passaggio dal vecchio sistema del convenzionamento al nuovo sistema dell’accreditamento sulla base di tariffe predeterminate, resta il dato che la stessa decisione di questo Consiglio n. 2755/2005, nell’accertare l’illegittimità della delibera di risoluzione del con-venzionamento, costituisce sicuramente un valido presupposto su cui l’appellante fonda la propria richiesta risarcitoria; tale decisione, infatti, nell’annullare la delibera di risoluzione del 1993, evidenzia l’illegittimità dell’operato posto in essere dall’Amministrazione in quanto contrario agli obblighi di correttezza, trasparenza e buona fede, sottolinenando come “il principio di buona fede oggettiva è posto dall’ordinamento a fondamento non solo dell’attività dei soggetti privati ma anche, a maggior ragione, di quelli pubblici” (cfr. Cons. St., Sez. IV, 2 marzo 2000, n. 1111), e che “il dovere di agire secondo correttezza e buona fede non è assolto solo con il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge ma si deve realizzare anche con comportamenti non individuati dal legislatore e che in rela-zione alle singole situazioni di fatto siano necessari per evitare l’aggravamento della posizione dell’altro contraente”.

In sede di esame delle singole voci di danno risarcibile a titolo di danno emergente il Collegio ha concluso che il comportamento illegittimo posto in essere dalle Amministrazioni ha causato, quale conseguenza immediata e diretta, la perdita da parte della Ricorrente s.p.a. delle prestazioni che espletava in regime di convenzione e cioè dei ricavi corrispondenti alle attività per le quali era originariamente convenzionata e che avrebbe potuto continuare a svolgere se le fosse stato riconosciuto tempestivamente l’accreditamento provvisorio, con remunerazione a tariffa.

Per la quantificazione di tale voce di danno il Collegio ha ritenuto di fare applicazione della disposizione di cui all’art. 35, comma 2, del D.Lgs. n. 80 del 1998, stabilendo i criteri in base ai quali l’Amministrazione pubblica avrebbe dovuto proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine, tendendo conto dei risultati conseguiti e documentati nel passato nonché della riduzione, che nel tempo si è avuta, della durata media dei giorni di degenza.

Il Consiglio ha previsto anche il computo della rivalutazione monetaria (trattandosi di debito di valore) e degli interessi, dal 1993 (momento dell’adozione del provvedimento di risoluzione della convenzione) al riconoscimento dell’accreditamento (2006), oltre agli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo.

3. Con la decisione n. 4312/2010 questo Consiglio ha quindi accolto il ricorso per ottemperanza proposto dalla citata Casa di Cura, risultando palese l’inadempimento sopra meglio descritto, tanto più in rapporto all’esigua somma di contro offerta alla Casa di cura creditrice.

Il Consiglio ha ribadito e puntualizzato le singole voci di danno risarcibile:

– minor utile realizzato a causa della risoluzione del rapporto convenzionale e del mancato accreditamento delle prestazioni sanitarie con la regione per il periodo 30.4.1993/30.11.2006 (= euro 39.756.791,00, secondo la perizia di parte in atti).

– perdita immediata e diretta, da parte della Ricorrente s.p.a., delle prestazioni espletate in regime di convenzione, ovvero, ricavi corrispondenti alle attività per le quali era originariamente convenzionata e che avrebbe potuto continuare a svolgere se le fosse stato riconosciuto tempestivamente l’accreditamento provvisorio, con remunerazione a tariffa.

– mancati introiti, integranti una somma ragguagliata ai risultati conseguiti e documentati nel passato, nonché alla riduzione, avuta nel tempo, della durata media dei giorni di degenza.

La Sezione ha quindi accolto il ricorso in ottemperanza, nominando quale commissario ad acta, in veste anche di perito d’ufficio, il Dirigente l’Ufficio di ragioneria della Prefettura di Roma, con l’incarico di determinare con precisione la somma in questione e di provvedere al suo versamento alla Casa di cura interessata. La Sezione ha stabilito, in particolare, che detto *********** avrebbe provveduto ai sensi dell’art. 35, comma 2, d.lgs. n. 80 del 1998, formulando una proposta da sottoporre all’avente titolo entro il termine di giorni sessanta decorrenti dalla notificazione o comunicazione della decisione.

4. Con determinazione commissariale del 6 agosto 2010, integrata da apposita relazione peritale, il Commissario ha calcolato la somma dovuta alla Casa di cura nella misura complessiva di euro 66.357.246,36, di cui euro 54.213.308 a titolo di danno, euro 5.029.348,54 a titolo di rivalutazione ed euro 7.114.489,39 a titolo di interessi legali. Su detta determinazione è intervenuta l’adesione della parte privata.

5.Con separati reclami la Regione Campania, l’ Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 e la Gestione Liquidatoria dell’Ex Usl 37 hanno contestato la determinazione commissariale.

Dal canto suo la Casa di Cura Ricorrente S.p.A ha proposto ulteriore domanda risarcitoria ed ha articolato apposito reclamo incidentale condizionato.

Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie ed ulteriore elaborati tecnici.

Il Commissario a sua volta deposita ulteriore elaborato contenente controdeduzioni rispetto alle censure sviluppate dalle parti reclamanti.

Alla camera di consiglio dell’11 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

6. Vanno esaminate in primo luogo le eccezioni preliminari articolate dalla parte resistente.

6.1.Va respinta in primo luogo l’eccezione, logicamente pregiudiziale, con la quale la società resistente ha eccepito la tardività dei reclami in quanto proposti in epoca posteriore allo spirare del termine decadenziale di cui all’art. 114, comma 9, del codice del processo amministrativo.

Ad avviso del consolidato e condivisibile orientamento di questo Consiglio “l’attività del commissario “ad acta”, pur essendo sostanzialmente la medesima che avrebbe dovuto essere prestata dalla p.a., ne differisce giuridicamente perché si fonda sull’ordine contenuto nella decisione del giudice amministrativo, alla quale è legata da un nesso di strumentalità, per cui è allo stesso giudice dell’ottemperanza che debbono essere riferiti gli atti commissariali ed è a lui che spetta, in sede di procedimento ex art. 27 n. 4 t.u. Cons. St., la verifica della rispondenza alla proprie indicazioni di tali atti, richiesta con un ulteriore ricorso per l’esecuzione del giudicato” (cfr., ex multis, Consiglio Stato , sez. IV, 14 febbraio 2006 , n. 583). Si deve, in definitiva, convenire che

il Commissario ad acta esplica sempre attività di carattere giurisdizionale ed è organo del giudice dell’ottemperanza, per cui i suoi atti non sono riconducibili al regime delle impugnazioni bensì all’immanente controllo del predetto giudice, azionato su ricorso degli interessati nelle forme dell’actio judicati, affinché verifichi la rispondenza dell’attività compiuta dal Commissario al giudicato. La peculiare natura giuridica dell’organo commissariale implica l’inestensibilità nei confronti dei suoi atti del regime decadenziale che permea l’ impugnazione dei provvedimenti amministrativi. Del pari, stante l’eccezionalità delle disposizioni che prevedono termini decadenziali, non è estensibile agli atti del commissario il rinvio recato dall’articolo 114, comma 9, del codice del processo con riguardo alle impugnazione avverso i provvedimenti giurisdizionali di cui al comma precedente, alle disposizioni recate dal libro III del codice con riguardo appunto ai mezzi di impugnazione delle sentenze.

Si deve soggiungere che la mancata operatività, de iure condito, di un termine puntuale per il reclamo avverso gli atti commissariali si pone in sintonia con la mancata previsione di un regime decadenziale, ai sensi del combinato disposto degli articoli 31, comma 4, e 114, comma 4, lett. b), del codice del processo amministrativo in tema di ricorso avverso atti violativi od elusivi del giudicato. Ne deriva che, a fonte della consolidazione di un giudicato, la cognizione di tutti gli incidenti di esecuzione in cui si contesti la difformità dell’atto amministrativo o commissariale rispetto al vincolo del giudicato sono sottoposti al regime prescrizionale proprio dell’actio iudicati. Ne consegue, vieppiù, che la contestazione del’atto commissariale, sia che venga proposta dal ricorrente vittorioso in sede di cognizione sia che venga articolata dall’ amministrazione resistente, non soggiace ad un termine decadenziale.

6.2. Si deve soggiungere che la veste di ausiliario del giudice riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativao all’organo commissariale implica l’attrazione in capo al Giudice dell’ottemperanza del compito di sindacare gli atti adottati dal commissario in relazione sia al vincolo del giudicato che ai vizi di legittimità che eventualmente li affliggano. Va quindi respinta anche l’eccezione con la quale la parte resistente deduce l’inammissibilità dei reclami nella paorte in cui deducono vizi tradizionali di legittimità non sostanziantisi in un contrasto specifico con i vincoli rivenienti dal giudicato. Del pari, la mancata adesione dell’amministrazione alla determinazione del Commissario lascia ferma la reclamabilità della determinazione assunta dal Commissario senza che in senso contrario possa opposi il raggiungimento di un accordo ai sensi dell’art. 34, comma 4 , del codice del processo amministrativo.

6.3.E’ invece fondata, alla stregua di consolidati principi giurisprudenziali che riposano sulla natura e sulla funzione primariamente esecutiva del giudizio di ottemperanza, l’eccezione con la quale si deduce l’inammissibilità delle censure volte a riproporre questioni relative alla sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità, sussistenza già accertata dal giudicato della cui esecuzione si tratta.

7. Venendo al merito, il Collegio, alla luce della complessità tecnica delle questioni e delle profonde divergenze che connotano, oltre che le valutazioni delle parti, ed anche i dati oggettivi di riferimento, reputa preliminarmente necessario un ulteriore approfondimento tecnico da parte del Commissario ad acta nel pieno contradditorio con le parti ed i rispettivi consulenti tecnici.

E’, in particolare, necessario che il Commissario, nella veste già riconosciutagli di perito d’ufficio, acquisiti tutti i necessari elementi valutativi e documentali dalle parti, depositi ulteriore relazione volta ad analizzare i temi specifici interessati dai reclami, ossia il calcolo delle giornate di degenza, l’individuazione della percentuale di occupazione e l’individuazione del DRG medio.

Si precisa che nello svolgere tali indagini, il Commissario dovrà : a)adottare, in sede di calcolo delle giornate di degenza possibili, un criterio valutativo che consenta in modo puntuale l’apprezzamento del danno patito in ragione del mancato utilizzo solo dei settanta posti letto in regime di convenzione; b) acquisire tutti i documenti necessari al fine di ricostruire la percentuale di occupazione realizzata della Casa di Cura resistente nel 1992; c) quantificare il DRG medio in relazione all’intero arco temporale tra il 1993 ed il 2006 tenendo conto delle prestazioni rese dalla Casa di Cura.

7. Resta impregiudicata ogni decisione sul merito e sulle spese.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

Dispone che il Commissario ad acta già nominato, instaurato un pieno contraddittorio con le parti, depositi presso la segretaria della Sezione ulteriore relazione in applicazione dei criteri in motivazione specificati.

Assegna a tal fine il termine di sessanta giorni dalla notificazione o comunicazione della presente decisione.

Liquida a favore del Commissario per l’attività finora svolta il compenso di euro 3.000,00(tremila//00), che pone solidalmente a carico delle amministrazioni reclamanti

Fissa per la prosecuzione la camera di consiglio del 21 giugno 20101.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Trovato, Presidente

********************, ***********, Estensore

************, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

**************, Consigliere

 

L’ESTENSORE          IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/01/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lazzini Sonia

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