Se il giudice ha tempestiva conoscenza del fatto che l’imputato trovasi – per altro procedimento penale – in stato di arresti domiciliari, non può dichiararne la contumacia, ma deve disporne la traduzione in aula

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(Annullamento senza rinvio)

(Riferimenti normativi: Cod. proc. pen., artt. 420-ter; 599)

Il fatto

La Corte d’Appello di Potenza, Sezione Minorenni, confermava la sentenza emessa dal Tribunale per i minorenni di Potenza il 25.1.2017 con cui l’imputato, all’epoca minorenne, era stato condannato alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 50 di multa per il reato di tentato furto in abitazione, aggravato dalla violenza sulle cose e commesso in concorso con il coimputato, maggiorenne e giudicato separatamente.

L’azione delittuosa veniva interrotta prima della sua consumazione per l’intervento della vittima proprietario della suddetta abitazione.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la sentenza d’appello proponeva ricorso l’imputato, tramite il suo difensore, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge per inosservanza delle norme di cui all’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 179 c.p.p. atteso che, secondo il ricorrente, il Tribunale aveva indebitamente disatteso la richiesta di rinvio dell’udienza avanzata in data 25.1.2017 in ragione del sopravvenuto stato di detenzione agli arresti domiciliari dell’imputato per altra causa e che il relativo motivo d’appello era stato disatteso dai giudici di secondo grado) adducendo l’erronea motivazione basata sul fatto che questi avrebbe avuto l’onere di richiedere tempestivamente l’autorizzazione a comparire in udienza, onere che, se non osservato, avrebbe determinato l’insussistenza del legittimo impedimento a comparire e delle ragioni giustificatrici di rinvio; la Corte di cassazione aveva invece riconosciuto in casi analoghi la sussistenza del legittimo impedimento a comparire poiché non incombe alcun onere sull’imputato tenuto conto altresì del fatto che l’obbligo di disporre la traduzione, sanzionato a pena di nullità assoluta, sussisteva nel caso di specie proprio in capo al Tribunale ai cui atti già era presente, prima dell’udienza citata, l’attestazione dello stato di detenzione dell’imputato inglobata nella relazione di aggiornamento dei servizi sociali; 2) violazione dell’art. 512 c.p.p. e art. 6 CEDU nonché al vizio di motivazione mancante o manifestamente illogica quanto alla acquisizione delle dichiarazioni rese in denuncia dalla persona offesa, ritenuta in avanzato stato d’età e affetta da grave patologia oculare, sicché non in grado di svolgere un riconoscimento in aula durante il processo posto che
tali circostanze erano già note precedentemente al giudizio tanto da far ritenere prevedibile la non ripetibilità delle citate dichiarazioni rese in denuncia; pertanto, sarebbe stato necessario ricorrere all’incidente probatorio già in fase di indagini mentre ciò non era stato fatto ed al ricorrente era stato precluso l’ascolto in dibattimento del teste d’accusa con violazione dei diritti di difesa.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione 

Il ricorso veniva ritenuto fondato quanto al primo motivo che concerneva un profilo preliminare ed assorbente.

Si osservava prima di tutto come una pronuncia delle Sezioni Unite e una parte degli orientamenti di legittimità ritenessero che la restrizione dell’imputato agli arresti domiciliari per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento (Sez. 4, n. 18455 del 30/1/2014).

Dal canto loro le Sezioni Unite si erano pronunciate sul tema sia nell’ambito del giudizio dibattimentale che in materia di rito camerale d’appello.

In particolare, la pronuncia Sez. U, n. 37483 del 26/9/2006, cui sostanzialmente si era conformata la giurisprudenza delle Sezioni semplici summenzionata, aveva espressamente stabilito che la detenzione dell’imputato per altra causa (nel caso di specie si trattava di detenzione carceraria, ma la pronuncia non faceva distinzione del caso degli arresti domiciliari), che sia sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento (successivamente conformi, tra le altre, Sez. 6, n. 2300 del 10/12/2013, dep. 2014; Sez. 4, n. 19130 del 14/10/2014, dep. 2015; Sez. 2, n. 8098 del 10/2/2016; Sez. 4, n. 1871 del 3/10/2013; cfr. anche Sez. 5, n. 48911 del 1/10/2018, che, aderendo al principio enunciato dalle Sezioni Unite Arena, aveva precisato, tuttavia, che può legittimamente procedersi in contumacia dell’imputato – detenuto agli arresti domiciliari per altra causa – quando tale condizione non emerga dagli atti e l’imputato, o il suo difensore, non si siano diligentemente attivati per darne comunicazione all’autorità giudiziaria procedente, che, dunque, sia ignara dello status; conforme in precedenza Sez. 5, n. 42888 del 5/6/2014).

La seconda sentenza del massimo collegio di legittimità, intervenuta sul tema generale dell’impedimento dell’imputato a comparire in ragione del sopravvenuto stato detentivo – nella specie si trattava di un soggetto agli arresti domiciliari per altra causa, proprio come nell’ipotesi sottoposta al Collegio – con riferimento al giudizio camerale d’appello su impugnazione di una pronuncia emessa con rito abbreviato, a sua volta, aveva operato una distinzione secondo che si verta in una ipotesi di tal fatta rispetto al caso in cui l’impedimento dell’imputato, per il sopravvenire dello stato detentivo, attenga al giudizio ordinario (cfr. Sez. U, n. 35399 del 24/6/2010, omissis, Rv. 247835).

Difatti, nel giudizio ordinario, secondo la motivazione della sentenza n. 35399 del 2010, deve sempre essere assicurata, in mancanza di un inequivoco rifiuto, la presenza dell’imputato e, quindi, in virtù della norma generale fissata dall’art. 420-ter c.p.p., qualora l’imputato non si presenti, e in qualunque modo risulti (o appaia probabile) che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, spetta al giudice disporre, anche d’ufficio, il rinvio ad una nuova udienza senza che sia necessaria una qualche richiesta dell’imputato in tal senso.

Tal che se ne faceva conseguire che, qualora l’imputato sia detenuto o agli arresti domiciliari o comunque sottoposto a limitazione della libertà personale che non gli consente la presenza in udienza, poiché in tali casi è in re ipsa la presenza di un legittimo impedimento, il giudice, in qualunque modo e in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà, anche senza una richiesta dell’imputato, deve d’ufficio, rinviare il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell’imputato, a meno che, ovviamente, non vi sia stato un rifiuto dell’imputato stesso di assistere all’udienza (art. 420-quinquies c.p.p.) e ciò perché, specialmente in un processo a carattere accusatorio, la partecipazione dell’imputato al processo è condizione indefettibile per il regolare esercizio della giurisdizione afferendo al fondamentale diritto di difesa che può solo essere oggetto di una rinuncia da parte del suo titolare attraverso una non equivoca manifestazione di volontà abdicativa in tale senso.

Nel giudizio camerale di appello, invece, non vige la regola che l’imputato detenuto non ha alcun onere di comunicare al giudice il suo stato di detenzione sicché, se tale stato di per sé comunque risulti (o appaia probabile), ciò determina l’obbligo del giudice di rinviare l’udienza e di disporre la traduzione, salvo esplicita rinunzia a comparire bensì vige proprio la regola opposta, ossia che l’imputato detenuto ha l’onere di comunicare al giudice di appello la sua volontà di comparire mentre nel giudizio ordinario va sempre assicurata la presenza dell’imputato, salvo che questi inequivocabilmente vi rinunzi.

Dunque, nel giudizio camerale di appello, la presenza dell’imputato non è necessaria e va quindi assicurata soltanto se questi manifesti la volontà di voler comparire potendo altrimenti presumersi la sua rinunzia ad essere presente (cfr. Corte EDU, Grande Camera, 18.10.2006, Hemii c. Italia) e di conseguenza, in questo giudizio, il legittimo impedimento, ivi compreso quello costituito dallo stato di detenzione, è irrilevante e non produce effetti se l’imputato non adempia l’onere legislativamente impostogli di comunicare al giudice il suo impedimento e la sua volontà di essere presente.

Se questa è la regola generale, tuttavia le Sezioni Unite hanno aggiunto che, nell’ipotesi del rito camerale d’appello, la manifestazione di volontà dell’imputato detenuto non è soggetta ad alcun limite temporale rigido e prefissato ma deve, comunque, essere considerata tardiva e non efficace quando sia stata fatta in un momento tale che, nel singolo caso concreto, non vi sia più possibilità di effettuare la traduzione per l’udienza posto che in tal caso può ritenersi che l’onere di comunicare la volontà di comparire non sia stato validamente adempiuto e che, pertanto, difetti il presupposto necessario perché abbia rilievo l’impedimento dell’imputato e perché il giudice abbia l’obbligo di assicurarne la presenza.

Pur tuttavia, ad avviso del Supremo Consesso, non potrebbe invece, riscontrarsi un inadempimento dell’onere (con le dette conseguenze) allorché vi sia stata una oggettiva impossibilità di effettuare prima la comunicazione (come, ad esempio, quando la detenzione intervenga nell’immediata prossimità dell’udienza) dato che in siffatta ipotesi, così come in quello in cui la traduzione, pur oggettivamente possibile, non è avvenuta per disguidi o ritardi dell’amministrazione, dovrà essere disposta la traduzione per una successiva udienza.
La sentenza in esame precisa ancora, infine, che, dato il diritto fondamentale dell’imputato detenuto di essere presente nell’udienza in cui si decide della sua responsabilità e del trattamento sanzionatorio, i principi enunciati devono essere interpretati ed applicati in modo rigido, sia nel senso che la richiesta potrà ritenersi tardiva soltanto allorché, in concreto, non vi sia possibilità pratica di assicurare la presenza in udienza dell’appellante, sia nel senso che il giudice, qualora ritenga intempestiva la richiesta, deve dar conto, con adeguata e congrua motivazione, delle specifiche ragioni per le quali in quel determinato caso non era possibile effettuare la traduzione dell’imputato in udienza, prendendo in considerazione tutte le specifiche circostanze del caso concreto, quali, ad esempio, il tipo di limitazione della libertà personale, il luogo in cui l’imputato si trova ristretto, e così via.

A fronte di quanto sin qui appena esposto, gli Ermellini rilevavano come, con riferimento alla fattispecie in esame, analoga a quella esaminata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 35399 del 2010, benché afferente, a differenza di quest’ultima, ad un giudizio dibattimentale, esistesse una diversa opzione, enunciata anche di recente da alcune sentenze della Corte di cassazione, secondo cui sussisterebbe un onere dell’imputato, sottoposto agli arresti domiciliari per altra causa, di chiedere tempestivamente l’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio per il tempo necessario (Sez. 5, n. 6540 del 10/12/2018; Sez. 2, n. 7286 del 15/11/2018; Sez. 5, n. 30825 del 1/7/2014; Sez. 6, n. 36384 del 25/6/2014; in precedenza, Sez. 2, n. 21529 del 24/4/2008; Sez. 5, n. 44922 del 14/11/2007; Sez. 4, n. 28558 del 13/5/2005; Sez. 5, n. 7369 del 15/11/2002, dep. 2003; Sez. 5, n. 13184 del 2/2/2001; Sez. 6, n. 7319 del 30/4/1997; Sez. 1, n. 5606 del 22/5/1996).

Orbene, a sostegno di questa tesi, si era affermato, nel corso degli anni e nelle diverse pronunce, che gli arresti domiciliari (o altre limitazioni della libertà) non costituirebbero una situazione di “assoluta impossibilità di comparire” perché l’imputato potrebbe chiedere al giudice competente la rimozione dell’impedimento ed avrebbe, quindi, l’onere di rivolgersi a tale giudice e che, ai sensi dell’art. 22 disp. att. c.p.p., comma 1, è il giudice della cautela o il magistrato di sorveglianza ad avere il potere di autorizzare l’allontanamento o disporre l’accompagnamento o la traduzione mentre il giudice che procede non ha la disponibilità dello stato di libertà del soggetto sostenendosi al contempo che i principi enunciati dalle Sezioni Unite nella pronuncia “Arena” del 2006 valessero per lo stato di detenzione ordinaria ma non per gli arresti domiciliari in relazione ai quali non è configurabile un obbligo dell’autorità giudiziaria di disporre la traduzione (cfr. sentenza n. 36384 del 2014).

Tuttavia, osserva la Corte, le più recenti pronunce, successive alla sentenza delle Sezioni Unite n. 35399 del 2010, non si erano confrontate con gli argomenti ed i principi enunciati dal massimo collegio nomofilattico nella motivazione di tale decisione che aveva chiaramente affermato come la suddetta opzione giurisprudenziale non potesse essere condivisa e collidesse con i principi generali enunciati sul tema della Sezioni Unite nella sentenza “Arena” del 2006 (che aveva escluso – nel giudizio ordinario – che l’imputato detenuto abbia un onere di chiedere al giudice competente la rimozione dell’impedimento o di comunicare al giudice che procede la sua volontà di essere presente, avendo rilievo soltanto il fatto che il giudice abbia comunque conoscenza di una obiettiva situazione di impedimento e la mancanza di una esplicita rinunzia a comparire).

Ebbene, a giudizio del Collegio, è del tutto condivisibile l’affermazione delle Sezioni Unite del 2010 che ritiene non sia possibile subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale, come quello di partecipare al processo, ad oneri che non siano espressamente previsti da una disposizione legislativa e che, nei casi di restrizione della libertà personale diversi dalla detenzione in carcere, afferma sussista ugualmente un legittimo impedimento, giuridico se non materiale che non si differenzia dall’impedimento costituito dalla detenzione in carcere così come non può ritenersi che, in tal caso, l’impedimento non sarebbe più legittimo ed assoluto solo perché l’imputato potrebbe chiedere l’autorizzazione o l’accompagnamento o la traduzione al giudice competente dato che chi viene ammesso al regime degli arresti domiciliari si trova, pur sempre, in stato di detenzione, cioè di privazione della libertà personale e può lasciare il luogo di arresto domiciliare solo previa autorizzazione del magistrato competente o per disposizione dello stesso che deve, in tal caso, ordinarne la traduzione.

Tal che se ne faceva conseguire che se il giudice ha tempestiva conoscenza del fatto che l’imputato trovasi – per altro procedimento penale – in stato di arresti domiciliari, non può dichiararne la contumacia, ma deve disporne la traduzione in aula (Sez. U, n. 35399 del 2010, par. 10; Sez. 1, n. 5164 del 5/3/1990; vedi anche, sul tema della conoscenza aliunde dello stato detentivo da parte del giudice che fonda la necessità di disporre la traduzione dell’imputato, Sez. 1, n. 13593 del 13/2/2001; Sez. 2, n. 41252 del 7/11/2002; Sez. 4, n. 5834 del 14/2/1991) postulandosi al contempo che i suddetti principi valgono sia nel caso si verta in tema di giudizio ordinario, che per il giudizio camerale di appello ex art. 599 c.p.p..

Nella fattispecie sottoposta al Collegio nella decisione qui in esame, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come, applicando i principi appena ripercorsi, il Tribunale per i minorenni di Potenza avesse avuto cognizione dello stato di sopravvenuta sottoposizione dell’imputato agli arresti domiciliari in virtù dell’espressa indicazione del difensore in tal senso fornita all’udienza dibattimentale del 25.1.2017 (ed a prescindere dall’eventuale conoscenza di tale dato già in atti da parte del Tribunale, come sostenuto dalla difesa) e avrebbe potuto disporne la traduzione o l’autorizzazione a recarsi in udienza, stante la manifestata volontà di partecipazione.

A fronte di ciò, si ribadiva che la restrizione dell’imputato agli arresti domiciliari per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento.

La sentenza impugnata, dunque, essendo stata pronunciata in adesione all’orientamento di legittimità che il Collegio riteneva di non dovere condividere perché configgente con il percorso ricostruttivo operato sulla base delle pronunce delle Sezioni Unite già richiamate, veniva annullata senza rinvio in accoglimento del primo motivo di ricorso in cui rimaneva assorbito il secondo argomento difensivo.

Oltre a ciò, veniva disposto l’annullamento anche della sentenza di primo grado, con trasmissione degli atti al Tribunale per i Minorenni di Potenza, essendosi determinata una nullità assoluta del giudizio in quella fase.

Conclusioni

La sentenza in questione è assai interessante nella parte in cui è postulato che, se il giudice ha tempestiva conoscenza del fatto che l’imputato trovasi – per altro procedimento penale – in stato di arresti domiciliari, non può dichiararne la contumacia, ma deve disporne la traduzione in aula sia nel caso si verta in tema di giudizio ordinario, che per il giudizio camerale di appello ex art. 599 c.p.p.; in altre parole, la restrizione dell’imputato agli arresti domiciliari per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento.

Ebbene, nel condividere questo approdo ermeneutico in quanto particolarmente attento al rispetto delle garanzie difensive che, ad avviso di chi scrive, non posso ritenersi del tutto osservate ove non sia tutelato il diritto dell’imputato di assistere al processo penale a suo carico nel modo più ampio possibile, sarebbe opportuno che su tale questione intervenissero le Sezioni Unite atteso che su tale problematica processuale non vi è una giurisprudenza univoca.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, per le ragioni appena enunciate, ad ogni modo, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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