SCIOGLIMENTO DEL RAPPORTO DI SOCIETA’ LIMITATAMENTE AD UN SOCIO ED ESTINZIONE DELLA SOCIETA’

Redazione 27/08/03
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breve analisi dei rapporti tra i due ordini di cause estintive

di Giuliana Recupero Bruno

Nella sentenza n. 8670/2000 la Corte di Cassazione analizza la questione relativa allo scioglimento del contratto di S.a.s., più in particolare, delle interferenze che possono manifestarsi tra il verificarsi di una causa di scioglimento del rapporto relativamente ad un singolo socio e lo scioglimento dell’intero contratto sociale. La fattispecie concreta sottoposta all’esame della Corte, vede un contratto di s.a.s. tra un socio accomandatario titolare del 95% delle quote ed un accomandante titolare del residuo 5%; alla morte dell’accomandatario subentra il proprio erede il quale – convenuto in giudizio dal liquidatore della società per ottenere la restituzione di somme che lo stesso avrebbe riscosso a titolo di oneri condominiali e canoni di locazione di spettanza della società (per canoni ed altri cespiti di pertinenza sociale) – oltre ad eccepire l’avvenuta rimessione al liquidatore del rendiconto, sia per gli importi riscossi che per le spese a vario titolo sostenute, avanza domanda riconvenzionale per la liquidazione della quota spettantegli quale erede della socia defunta.

I giudici di merito rigettano la domanda riconvenzionale, argomentando che questa avrebbe dovuto essere proposta, non già sotto il profilo della liquidazione della quota del socio defunto, ma sotto il profilo della quota di liquidazione del patrimonio sociale, a seguito dell’intervenuto scioglimento della società. Dichiarano così il diritto di quest’ultimo «alla quota di liquidazione del 95% del patrimonio» della società.

Tale statuizione della Corte d’appello, circa il diritto dell’erede del socio accomandatario alla quota di liquidazione del patrimonio sociale, viene censurata dalla società: essa sostiene, al contrario, il diritto dell’erede della socia accomandataria defunta, esclusivamente alla liquidazione della quota ai sensi dell’articolo 2289 c.c., essendo lo scioglimento della società intervenuto per legge, per mancata ricostituzione della pluralità dei soci, posteriormente allo scioglimento del rapporto sociale relativamente alla socia accomandataria. La Suprema Corte ritiene fondate le doglianze prospettate dalla società ricorrente.

E’ agevole notare come, nella questione sottoposta alla S.C. vengano sovrapposti fino ad intersecarli, i due piani delle cause di scioglimento, sicché l’estinzione della società viene ricollegata direttamente al venir meno del socio e, come effetto, della pluralità dei soci, quasi a ritenere la prima una conseguenza immediata e necessaria della seconda. Conseguenzialmente e simmetricamente viene altresì offuscata la linea di demarcazione tra il piano della liquidazione della quota che spetta al socio uscente o agli eredi del socio defunto e quello della quota di liquidazione che spetta, invece, ai soci al momento dello scioglimento del contratto sociale.

Conviene, a questo punto, tracciare sinteticamente le linee generali della disciplina del contratto di società quale è dettata dal Codice vigente; orbene, tale disciplina si caratterizza per la previsione, in ordine alle cause di estinzione del contratto, di due distinte categorie:

a) cause di scioglimento della società tout court: decorso del termine di durata fissato nel contratto, conseguimento dell’oggetto sociale o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, volontà di tutti i soci, venir meno della pluralità dei soci se non viene ricostituita entro 6 mesi, altre cause previste dal contratto sociale – con gli adattamenti imposti dalla natura del singolo tipo sociale, dovuti ad esempio alla presenza di soci a diverso regime di responsabilità, come nel caso delle società in accomandita.

b) cause di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, riconducibili a morte, recesso o esclusione; nel caso di morte del socio si produce ex lege l’effetto dello scioglimento del rapporto tra tale socio e la società, salva la possibilità per i soci superstiti di optare per lo scioglimento anticipato della società ovvero per la continuazione di essa da soli o con gli eredi, secondo quanto previsto eventualmente nel contratto sociale – attraverso la predisposizione delle possibili clausole di continuazione obbligatoria o facoltativa o di successione

Limitando l’indagine al contratto di società di persone (sebbene molti aspetti si ripresentino anche nell’ambito delle società di capitali) è possibile osservare che, mentre il verificarsi di un evento rientrante nel primo gruppo (cause di scioglimento della società) comporta l’automatico ingresso della società nella fase di liquidazione; il verificarsi di qualcuna del secondo ordine di cause (scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio) implica semplicemente a norma dell’art. 2289, 1° co. che il socio di cui si tratta o, nel caso di morte, i suoi eredi, «hanno diritto soltanto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota», il che – tra l’altro – significa, per concorde dottrina e pacifica giurisprudenza, che il socio non può pretendere la restituzione dei beni conferiti in proprietà o in godimento.

Tra i due ordini di cause di scioglimento possono manifestarsi delle relazioni allorché lo scioglimento del singolo rapporto sociale, determini il venir meno di alcuno dei presupposti sui quali si regge il contratto sociale, cosi che l’esclusione, la morte o il recesso di un socio, determinando il venir meno della pluralità dei soci, e ove questa non venga ricostituita nel termine di 6 mesi, causerà, a sua volta, l’estinzione della società.

Se queste sono le regole valide per tutti i tipi di società di persone, nel caso della s.a.s. la questione della pluralità dei soci viene affrontata in termini lievemente differenti; alle cause di estinzione previste per la collettiva, infatti, l’art. 2323 ne aggiunge un’altra, stabilendo che «la società si scioglie se vengono meno tutti i soci accomandanti o tutti i soci accomandatari, sempreché nel termine di 6 mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno; decorsi i 6 mesi, ove siano rimasti almeno 2 soci, la società si trasformerà tacitamente in una collettiva irregolare».

Il punto da tenere in considerazione è che, pur essendo legislativamente prevista questa interferenza di cause, sì che l’una può determinare l’altra e le conseguenze dell’altra, i due momenti sono logicamente oltre che cronologicamente differenti; è vero, in altri termini, che la morte (come il recesso o l’esclusione) di un socio può determinare, nel caso di soli due soci, il venir meno della pluralità degli stessi – causa di scioglimento dell’intero contratto sociale – ma non si può prescindere dal fondamentale presupposto dei sei mesi durante i quali deve perdurare il carattere unilaterale del contratto medesimo.

Pertanto il venir meno di un socio costituisce esclusivamente un potenziale presupposto per lo scioglimento del contratto sociale, ma non causa di per sé ed automaticamente quest’ultimo, poiché durante i sei mesi la pluralità dei soci potrebbe ancora essere ricostituita, preservando l’esistenza della società; soltanto il decorso del termine senza il ripristino di tale pluralità, comporterà lo scioglimento della società: ma quest’ultimo non sarà conseguenza della mancanza del socio, il cui rapporto con la società si è già esaurito (nel caso del socio receduto o escluso) o non è mai esistito (nel caso dell’erede del socio defunto) bensì dell’inerzia dei soci superstiti protratta per il tempo previsto. Lo scioglimento della società costituisce, allora, un momento successivo ed eventuale, rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, e trova causa non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei mesi della mancanza della pluralità medesima.

Mancando questo fondamentale presupposto che funge da elemento di congiunzione tra i due momenti, appare chiaro che allorché, per effetto della morte di un membro, venga meno la pluralità dei soci, quest’ultima non venga ricostituita e la società sia messa in liquidazione, l’erede non potrà acquistare il diritto ad una quota del patrimonio sociale, essendo tale diritto collegato alla qualità di socio. Non è, infatti, possibile riconoscere agli eredi del socio defunto in quanto tali, il diritto a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di liquidazione, ma soltanto il diritto a ricevere il controvalore in denaro della quota di partecipazione. Afferma la S.C. nella sentenza che si annota, come «il diritto dell’erede ha per oggetto, fin dal primo momento, un importo pecuniario, corrispondente al valore della quota, mentre il patrimonio sociale rimane immutato, solo sorgendo a carico della società l’obbligo di corrispondere il valore della quota».

Ed invero, afferma ancora la S.C., «l’evento della morte comporta la cessazione della qualità di socio, che non si trasferisce agli eredi, e determina la trasformazione “ope legis” della quota, quale insieme di diritti sociali, nel corrispondente importo pecuniario, di cui diviene creditore l’erede e debitrice la società».

L’erede del socio – parificato al socio uscente per recesso o esclusione – potrà legittimamente chiedere la liquidazione della quota già spettante al suo dante causa, che è cosa diversa dalla quota di liquidazione spettante, invece, a coloro i quali posseggono la qualità di socio al momento dello scioglimento della stessa, in esito alle operazioni in cui si sostanzia la liquidazione della società.

A diverse conclusioni potrebbe, tuttavia, pervenirsi in presenza di eventuali statuizioni contenute nell’atto costitutivo della società. Esso potrebbe, infatti, contemplare, per l’ipotesi di morte di un socio, una clausola di continuazione – magari facoltativa – con gli eredi dello stesso. Resta fermo che una simile clausola, inserita nel contesto di un contratto di s.a.s., sarebbe invalida «qualora comportasse l’automatico acquisto della qualità di amministratore da parte dell’erede del socio accomandatario» (Cass. 2632/1993); nella descritta ipotesi, dunque, l’erede, in seguito all’accettazione della continuazione nel rapporto sociale già del suo dante causa, potrebbe aver compiuto atti che lo inseriscano nella stessa, sì da potersi ritenere che un rapporto sociale si sia, in effetti, instaurato.

Sorvoliamo, per necessità di sintesi, sul caso sottoposto alla Corte, se cioè l’erede del socio accomandatario avesse o meno instaurato un rapporto con la società, del che potrebbe essere indice la riscossione da parte sua di somme di pertinenza sociale, e che giustificherebbe le conclusioni raggiunte dai giudici di merito. Mantenendo, invece, l’ipotesi astratta di cui si diceva (presenza di una clausola di continuazione) è chiaro che non potrebbe, l’erede del socio, avanzare una pretesa in ordine alla liquidazione della quota del proprio dante causa defunto, poiché, rilevando a quel punto il suo subingresso nella posizione di socio, una volta avviata la fase di liquidazione della società, avrà diritto, alla pari di tutti gli altri soci, alla quota di liquidazione che spetta secondo quanto residua una volta soddisfatti i creditori sociali.

d.ssa Giuliana Recupero Bruno

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