Roberto Conti , Occupazione acquisitiva. Tutela della proprietà e dei diritti umani, Giuffrè-collana Il nuovo diritto amministrativo diretta da Caringella e De Marzo. Presentazione di Vincenzo Carbone.

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Gli istituti giuridici hanno anch’essi una stella, un destino, nel contesto di una cultura giuridica combattuta tra tradizione e modernità, tra interpretazione giurisprudenziale e  regolamentazione normativa nella continuità e discontinuità di un percorso storico.
La nascita pretoria dell’occupazione acquisitiva, come spesso accade, va ancorata ad un’attenzione maieutica  della giurisprudenza che porta alla luce un contrasto di interessi,  finora negletto, da comporre in maniera adeguata in modo diverso da quanto finora avvenuto (dal consenso informato alla responsabilità da  contatto, anche procedimentale, dagli interessi usurai, alla fideiussione
omnibus, al pegno rotativo, dalla nullità di protezione alla tutela del consumatore come soggetto del mercato). I primi sintomi del neonato istituto cominciano a delinearsi a seguito dell’emergere di nuove posizioni,  ritenute meritevoli di tutela, per divenire spesso, ma solo successivamente,
istituto normativamente disciplinato. Ciò accade allorché il legislatore, che non ha saputo prevenire il fenomeno, non rinuncia ad intervenire, dopo il riconoscimento giurisprudenziale, spesso con poca attenzione, a  volte con risposte insufficienti e non sempre coerenti-si pensi ai  profili giurisdizionali
-, anche perché l’ingresso in campo del  legislatore in un terreno così delicato è spesso mosso o da istanze stizzose  dei c.d. poteri forti, tra cui la stessa p.a., o da esigenze di evitare  evidenti discrasie con indubbi aggravi economici per lo Stato.
L’occupazione del fondo privato, nata come posizione famulativa o ancillare, preordinata all’esproprio, comincia  negli anni sessanta ad acquistare una sua autonomia perché consente la
realizzazione dell’opera pubblica, rinviando sine die il dovuto pagamento dell’indennità
di esproprio, in un settore di confine tra il potere pubblico di realizzare opere di pubblica utilità e la proprietà  privata, riconosciuta dall’ordinamento, ma tutelata meno intensamente, specie sotto il
profilo economico, allorché la proprietà vincolata cede il passo a quella conformata.

L’attenzione giurisprudenziale al fenomeno inizia quando non è più possibile convertire il giudizio
risarcitorio in quello di opposizione alla stima, perché la p.a., realizzata l’opera  pubblica, si dimentica completamente del privato e non gli corrisponde l’indennizzo previsto dall’art. 32 Cost.

Come nell’ode al dubbio, o nella favola dei  vestiti nuovi dell’imperatore,  c’è sempre un momento significativo che rende  intollerabile la  prosecuzione della precedente giurisprudenza,  come soddisfacente assetto  del conflitto di interessi. È quanto avvenuto  nell’anno 1979 in un  discusso caso di occupazione di un suolo per  ampliare la via Flacca da  Roma verso Formia; all’occupazione preordinata  all’esproprio era seguita  la perdita del fondo stesso per una fortissima  mareggiata. Di fronte  all’arroganza della p.a. che, dopo aver occupato  il fondo sottraendolo al  proprietario, invoca il principio res perit  domino per sottrarsi ad ogni  responsabilità, i giudici di legittimità,  superando ogni apotema, assumono  la funzione nomopoietica, facendo venire alla  luce l’istituto dell’occupazione.  Nascita non facile, perché se emerge, senza  difficoltà, la dichiarazione  di pubblica utilità quale fondamento sia del  percorso legittimo  espropriativo, sia di quello illegittimo  occupativo (circostanza messa in  dubbio, oggi, dal discusso art. 43, comma 1 t.u.  327/2001) incertezze e  perplessità persistono – fino alle recenti  sentenze della Corte europea  dei diritti dell’uomo – se sia possibile alla  p.a. realizzare un bene  pubblico attraverso un illecito non solo a  livello possessorio, come  cercò di delineare la giurisprudenza degli anni  novanta, ma anche a  livello acquisitivo. Ma la p.a., con l’avallo  giurisprudenziale (1992),  preferì macchiarsi di illecito, pur di poter  usufruire della più breve  prescrizione quinquennale e realizzare opere  risparmiando sul dovuto  risarcimento.  Anche l’infanzia dell’istituto non è stata  agevole: dall’art. 3 della  legge n. 458 del 1988 (generalizzato da Corte  cost. 486/1991) all’art.  5-bis, introdotto all’ultimo momento in sede di  conversione del d.l. 333  del 1992, nel tentativo di circoscrivere il  concetto giuridico di area  edificabile, e modificato dall’art. 1 comma 65  l. 549/1965 che dichiara  equipollenti indennità e/o risarcimento,  equipollenza dichiarata incostituzionale  (Corte cost. 549/1995) e riproposta con la  leggera modifica  del 10% dall’art. 3 comma 65 l. 662/1996.  Alle difficoltà di gestire la trasformazione  dell’occupazione, da  elemento propedeutico, preliminare  all’esproprio, in profilo autonomo  ed autosufficiente alla realizzazione dell’opera  pubblica – anche se  attraverso un atto illecito – si è aggiunta la  frantumazione dell’istituto  (come già la proprietà, le proprietà) e il  passaggio dall’occupazione alle  occupazioni, a secondo del tipo di suolo  (agricolo, edificato, edificabile  di diritto, di fatto, non agricolo ma non  edificabile, destinato a parcheggio  a campi di tennis etc.) su cui realizzare  l’opera pubblica.  Ma non bastano le difficoltà proprie,  ontologiche e strutturali, del  nostro istituto; esse si intrecciano con un  ulteriore elemento perturbatore:  il profilo di giurisdizione che accresce dubbi e  perplessità nel  povero privato il cui suolo è stato «  concupito » dalla p.a. per la  realizzazione di un’opera pubblica e che non sa  se rivolgersi al giudice  ordinario o a quello amministrativo. Si comincia  con l’art. 34 d.lgs. 31  marzo 1998 n. 80 vissuto, come norma, solo gli  ultimi due anni di fine  secolo, dall’aprile 1998 al luglio del 2000,  epoca in cui è entrato in  vigore l’art. 7 della l. 21 luglio 2000 n. 205  che gli ha conferito piena  copertura legislativa ex nunc, ampliandone la  legittimazione soggettiva  in quanto ha esteso la nuova giurisdizione  esclusiva non solo agli atti,  provvedimenti e comportamenti delle p.a., ma  anche « a quelli dei  soggetti alle stesse equiparati », disposizione  dichiarata, pochi anni  dopo, parzialmente incostituzionale, sia a  livello dell’art. 34 d.lgs. n.  80/1998 (Corte cost. 281/2004), sia a livello  dell’art. 7 l. 205/2000  (Corte cost. 204/2004).  Giunta alla maggiore età, l’occupazione,  dimostrando la sua inesauribile  duttilità, non ritenendosi appagata dalla nuova  normativa, compie  una nuova metamorfosi dando spazio, nel 2001  (Cass. 1266/2001),  accanto all’occupazione acquisitiva ad una nuova  occupazione, quella  usurpativa, appartenente alla giurisdizione del  giudice ordinario, in  quanto carente di una valida e perdurante  dichiarazione di pubblica  utilità dell’opera in ragione della quale è  stato occupato il fondo privato,  che apre, anche alla stregua  dell’interpretazione offerta dalla Corte europea  dei diritti dell’uomo nelle note sentenze  (s.r.l. Belvedere alberghiera  c. Governo italiano e Carbonara e Ventura c.  Governo italiano)  ad una tutela reipersecutoria (come avviene in  Olanda) e non solo risarcitoria.  Il libro di Roberto Conti si fa carico di tutti  questi problemi, a  cavallo fra il diritto civile, quello  amministrativo, quello processuale,  offrendo al contempo un’analisi critica dello  stato dell’arte, alla quale  contrapporre possibili chiavi di lettura  alternative alle posizioni  espresse dalla giurisprudenza della Corte  europea dei diritti dell’uomo,  della Corte di cassazione e del Consiglio di  Stato, avendo come stella  polare l’ambito della legalità dell’istituto di  matrice giurisprudenziale.  Dalla lettura del testo esce chiarita e precisa  l’idea dell’occupazione  acquisitiva, nata, per caso, alla fine degli  anni settanta, e divenuta oggi  una realtà insopprimibile e non più « un’entità  inafferrabile, un’ombra  vana fuor che nell’aspetto » di un diritto  sconosciuto (Satta).
VINCENZO CARBONE

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