Ritardo nella prestazione sanitaria e responsabilità della struttura

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Con la recente ordinanza n. 16936/21, la Cassazione ha stabilito la responsabilità di un ospedale per aver messo in coda un intervento urgente, costringendo i parenti a portare il paziente altrove.

Secondo i Supremi giudici, infatti, in tema di responsabilità medica, vista la natura contrattuale del rapporto che intercorre tra la struttura sanitaria e il paziente, costituisce inadempimento contrattuale, fonte di responsabilità per l’ospedale o la clinica, il ritardo con cui la prestazione sanitaria viene fornita, se non riesce a dimostrare che il ritardo è imputabile al paziente.

Il principio è stato con forza affermato allorché un paziente è dovuto ricorrere ad una clinica privata e sborsare ingenti somme, per un intervento urgente differito dall’ospedale a cui si era inizialmente rivolto.

Vediamo nel dettaglio i contorni della vicenda e le circostanze che hanno portato la corte a decidere in tal senso.

Il caso

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte prende le mosse dalla vicenda di un paziente che una sera, in stato comatoso, veniva ricoverato d’urgenza presso il locale ospedale per un sospetto ematoma subdurale e trasportato in sala operatoria.

Succede che, pur constatata la gravità delle sue condizioni, e pur essendo stato il paziente già trasferito in sala operatoria, pronto per l’operazione, l’intervento chirurgico tuttavia veniva ritardato per via della sopravvenienza di un caso ritenuto più grave.

I familiari, per evitare che la situazione si aggravasse e ritenendo privo di giustificazioni il differimento dell’azione da parte degli operatori sanitari, trasferivano il paziente in una clinica privata dove veniva operato con successo, a fronte di un esborso economico pari a 18.496,00 Euro.

Il paziente decideva così di chiedere il rimborso della somma alla Regione che però riteneva la richiesta ingiustificata, obbligando il primo a ricorrere in Tribunale.

Perso il primo grado, sull’assunto del giudice di prime cure che non vi fosse stato alcun inadempimento, la Corte d’appello territorialmente competente, riformava però la decisione di primo grado.

Nella sentenza di appello veniva, infatti confermata l’urgenza della prestazione sostenendosi che, il fatto di averla differita costitutiva un inadempimento tale da provocare un conseguente danno consistito nella necessità della spesa successiva effettuata presso la struttura privata.

Avverso tale decisione, ricorre quindi in Cassazione l’Azienda ospedaliera.

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Le argomentazioni della Struttura

Per la Struttura sanitaria ricorrente l’intervento a cui si era sottoposto il paziente non era urgente.

Con il primo motivo l’ospedale contesta la mancata dimostrazione del proprio inadempimento, stante la natura contrattuale del rapporto intercorso con il paziente.

Anzi, secondo l’ospedale sarebbe stata proprio la condotta del paziente (o per meglio dire dei suoi familiari) ad aver violato il dovere di buona fede e correttezza, che impone alla controparte di cooperare nell’adempimento, con la decisione di portare via il malato e così da impedire la prestazione di cura.

Collegato al precedente, con il secondo motivo l’azienda ospedaliera ritiene che la condotta del paziente (ovvero la decisione presa per lui da parte dei suoi congiunti) di spostarsi in altra struttura, avrebbe determinato l’impossibilità della prestazione, che ancora sarebbe stata utilmente eseguibile; condotta che, comunque, secondo la ricostruzione della ricorrente non ha provocato la risoluzione del contratto e non ha fatto, quindi, venir meno il diritto dell’Azienda al pagamento del dovuto.

Non da ultimo, con il terzo motivo di censura, la ricorrente denuncia che sarebbe stato onere del paziente provare la fonte contrattuale dell’obbligazione nonché l’inadempimento e, solo dopo che fosse stata fornita tale prova, sarebbe stato onere dell’Azienda liberarsene dimostrando la non imputabilità.

Senonché, tutti e tre i motivi sono stati ritenuti infondati dalla Suprema Corte con il provvedimento sopra citato.

Responsabilità per ritardo nella prestazione: la decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione, nel ribadire il corretto riparto dell’onere della prova, rispettato dalla Corte di secondo grado, ha affermato che grava sull’Azienda ospedaliera la prova che il ritardo della prestazione non fosse imputabile.

Dunque, nel caso di specie, è stato deciso che costituisce inadempimento della prestazione il ritardo della stessa nel momento in cui la struttura non dimostri che il differimento dell’intervento fosse in ogni caso inevitabile.

I giudici rivelano anzitutto che l’Azienda, data per pacifica la natura contrattuale del rapporto (come peraltro ammesso dalla stessa Azienda nei motivi di ricorso), ed accertato l’inadempimento, che la corte d’appello aveva ritenuto provato dal paziente (atteso che l’intervento era urgente per evitare danni irreparabili) grava sull’Azienda ospedaliera la prova liberatoria, ossia la prova che il ritardo della prestazione non fosse ad essa imputabile, conformemente alla regola probatoria in tema di responsabilità contrattuale.

Precisato, dunque, che l’onere della prova è stato correttamente ripartito, la Suprema Corte ritiene infondato il primo motivo, in quanto mira a contestare l’accertamento in fatto circa l’inadempimento della prestazione.

In realtà, il paziente aveva dato prova dell’urgenza dell’intervento da eseguire, con circostanze fattuali ed anche documentali (cartella clinica ed altro) da cui la cui la Corte territoriale ha correttamente ricavato la sua convinzione; di contro, l’Azienda non ha dimostrato che in quel momento era inevitabile differire l’intervento per un caso sopravvenuto;

Posto allora che si deve ritenere per accertato il ritardo ingiustificato nell’intervento, viene meno il conseguente motivo per cui la condotta dei parenti del paziente sarebbe da ritenersi contraria ai doveri di buona fede e correttezza, dal momento che detta condotta sarebbe stata causa proprio dall’inadempimento dell’Azienda stessa ed era finalizzata solo a evitare che il parente riportasse un danno maggiore.

Pertanto, dinanzi alla mancata dimostrazione, da parte dell’azienda ospedaliera, di non aver avuto modo di intervenire sul paziente a causa di sopravvenienze più gravi, i giudici di legittimità hanno ritenuto che la condotta del paziente non fosse una causa d’impossibilità sopravvenuta, bensì una condotta conseguente all’inadempimento altrui, volta ad evitare un danno maggiore.

Secondo la Corte, infatti, la mancata soddisfazione dell’interesse del creditore non può essere imputata alla condotta colpevole di quest’ultimo, con conseguente esclusione del suo inadempimento.

In altri termini, riportando le conclusioni della Suprema Corte “l’accertamento in fatto che ad essere inadempiente è stata l’Azienda, esclude, per logica conseguenza, che la mancata soddisfazione dell’interesse del creditore possa al contrario essere imputata a condotta colpevole di quest’ultimo, nè è mai stata prospettata, neanche nei gradi precedenti, una qualche ipotesi di inadempimento reciproco”.

Per la Corte, dunque, la domanda di rimborso è fondata: l’azienda sanitaria ha differito una prestazione urgente, costringendo così i familiari a rivolgersi a un’altra struttura e a sostenere delle spese non previste.

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Sentenza collegata

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Avv. Angelo Forestieri

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