La decisione delle Sezioni Unite n. 31908/2025 si colloca all’interno di un lungo percorso di trasformazione del sistema nazionale della riscossione mediante ruolo, oggetto – sin dagli anni Duemila – di interventi legislativi progressivi e spesso reiterati. Per approfondimenti sul nuovo diritto del lavoro, abbiamo organizzato il corso di formazione Corso di alta formazione in sicurezza sul lavoro – Analisi dei rischi, appalti privati e pubblici e tecniche ispettive INL
Indice
- 1. Il contesto normativo e processuale della vicenda
- 2. Retroattività legislativa, prevedibilità e ruolo dell’art. 6 CEDU
- 3. L’inquadramento dell’azione della Cassa e l’irrilevanza delle modifiche procedurali
- 4. La valutazione finale di compatibilità con l’art. 6 CEDU e l’esito del giudizio
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1. Il contesto normativo e processuale della vicenda
La controversia nasce nel 2010, quando la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti dell’allora concessionario Equitalia Polis per oltre 22 milioni di euro, relativi a ruoli consegnati tra il 1996 e il 2008. Nel corso del giudizio, l’assetto organizzativo della riscossione subisce variazioni significative, con il subentro prima di Equitalia Sud e poi dell’Agenzia delle Entrate–Riscossione.
Il Tribunale conferma il decreto ingiuntivo, ma la Corte d’appello di Roma, nel 2020, accoglie l’impugnazione dell’esattore, ritenendo che le leggi n. 228/2012 e n. 190/2014 – disciplinando il discarico per inesigibilità e i relativi termini – avessero prodotto l’effetto di escludere responsabilità dell’agente in relazione a decadenze ormai superate dal mutato quadro normativo. La Cassa ricorre per cassazione sostenendo che tali interventi legislativi, applicati a giudizi pendenti, violerebbero gli artt. 6 CEDU e 117 Cost. per interferenza retroattiva sul processo in corso. La Prima Sezione rimette la questione alle Sezioni Unite.
2. Retroattività legislativa, prevedibilità e ruolo dell’art. 6 CEDU
Il nucleo problematico sottoposto al vaglio della Corte riguarda il limite imposto dall’art. 6 CEDU agli interventi normativi sopravvenuti che incidono sul processo. Secondo la giurisprudenza europea e costituzionale, un legislatore può adottare norme retroattive purché rispettose di criteri di proporzionalità, prevedibilità e interesse generale, e sempre che non interferiscano con la parità delle parti o con l’esito del giudizio mediante “norme ad hoc”.
Le Sezioni Unite richiamano tali principi per verificare se le riforme del 2012 e del 2014 costituissero una deviazione inattesa rispetto al quadro vigente o se, invece, si inserissero in un percorso riformatore già chiaramente delineato. La Cassa Forense lamentava che tali norme, incidendo sulle decadenze già maturate, avessero reso impossibile dimostrare la mala gestio dell’agente della riscossione. La Corte, però, osserva che la proroga dei termini per l’inesigibilità era stata introdotta sin dal 2001 ed era stata reiterata quasi annualmente, rendendo prevedibile per gli operatori un costante allungamento dei tempi e una progressiva razionalizzazione del sistema.
Ne deriva che non ricorre alcuna “sorpresa legislativa”: al contrario, le modifiche del 2012 e del 2014 rappresentano il naturale sviluppo di una linea normativa avviata da tempo, non mirata a incidere su singoli giudizi pendenti.
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3. L’inquadramento dell’azione della Cassa e l’irrilevanza delle modifiche procedurali
Uno snodo essenziale della motivazione riguarda la qualificazione dell’azione proposta dalla Cassa Forense. L’ente, infatti, non ha attivato la procedura amministrativa di discarico prevista dagli artt. 19 e 20 del d.lgs. 112/1999, bensì ha scelto di proporre un ordinario giudizio di responsabilità contrattuale per inadempimento del mandato di riscossione. In tale schema, ciò che rileva è l’onere di provare l’inadempimento qualificato dell’agente, il danno e il nesso causale.
Le norme contestate dalla Cassa – relative ai termini e alle modalità del discarico – non hanno alcuna incidenza sulla struttura probatoria dell’azione ordinaria intrapresa. Le Sezioni Unite parlano di “asimmetria argomentativa”: la ricorrente deduce la violazione dell’art. 6 CEDU come se avesse seguito il procedimento speciale, mentre la sua opzione processuale la colloca su un piano diverso, governato da regole immutate. Rimangono inoltre praticabili strumenti alternativi, come l’azione diretta verso i debitori, confermando che nessun diritto sostanziale è stato sacrificato.
4. La valutazione finale di compatibilità con l’art. 6 CEDU e l’esito del giudizio
Ricondotte le riforme del 2012 e del 2014 a una traiettoria normativa coerente e prevedibile, e verificato che esse non hanno inciso sulla possibilità per la Cassa di far valere le proprie ragioni nel giudizio scelto, le Sezioni Unite escludono ogni violazione del giusto processo. L’intervento normativo rispondeva a esigenze generali di razionalizzazione del sistema della riscossione, gravato da arretrati significativi, e non mirava a influenzare esiti processuali specifici.
Sono pertanto rigettati i motivi di ricorso relativi alla violazione dell’art. 6 CEDU e del diritto UE. La causa viene rinviata alla Prima Sezione per l’esame degli altri profili, con l’affermazione del seguente principio: le riforme del 2012 e 2014, applicate ai giudizi in corso, non contrastano con l’art. 6 CEDU, soprattutto quando la Cassa abbia scelto la via dell’azione ordinaria e non il procedimento speciale previsto dal d.lgs. 112/1999.
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