Nella maggior parte dei casi parliamo di danni causati a veicoli in circolazione, ebbene, nei casi di specie si è tenuti a chiamare in giudizio coloro che sono ritenuti i responsabili; il Comune in qualità di proprietario della strada e la Asl, tenuta al controllo dei cani randagi.
E’ importante dimostrare negli atti di causa ed in particolare dall’esame del fascicolo della parte attrice la prova che il tratto di strada teatro del sinistro rientri nella competenza del Comune convenuto in giudizio.
Per quanto concerne l’Asl è doveroso specificare che: quanto alla legittimazione della stessa si rileva la responsabilità per i danni causati dagli animali liberi e privi di proprietario, spetta “esclusivamente all’ente, o agli enti, cui è attribuito dalla legge il compito di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione connesso al randagismo, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi”. La materia è regolamentata in Italia dalla legge quadro nazionale n. 281/199 e il principio, che ne è alla base, è confermato da numerosi precedenti giurisprudenziali in materia (Cass. n. 15167/2017, n. 12495/2017, n. 17528/2011 e n. 10190/2010).
Tale dovere, tuttavia, è chiarito ed integrato dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro n. 281/1991. Poiché la legge quadro statale non indica direttamente a quale ente spetta il compito di cattura e custodia dei cani randagi ma rimette alle Regioni la regolamentazione concreta della materia, spetta appunto alle singole regioni il compito di attribuire, con propria legge, ad uno o più enti pubblici il compito della cattura e custodia degli animali randagi. Tale attribuzione degli obblighi di cattura e custodia ad uno o più enti pubblici, costituisce il fondamento della responsabilità per i danni arrecati alla popolazione anche relativamente ai profili civilistici conseguenti all’inosservanza di detti obblighi.
In particolare, la legge 24 novembre 2001, n. 16 della regione Campania ha affidato le relative competenze ai servizi veterinari delle A.S.L. (che, a mente dell’art. 5 lett. c) della legge regionale, attivano il servizio di accalappiamento dei cani vaganti ed il loro trasferimento presso i canili pubblici).
Ne consegue, che il Giudice è chiamato a pronunciarsi sulla eventuale responsabilità in capo alla ASL Caserta, la quale ha il potere di controllo e di vigilanza sul territorio e deve provvedere alla cattura, al ricovero, alla custodia ed al mantenimento dei cani randagi (Cfr. art. 9, comma 2, della legge L.R. Campania 24/11/01 n.16).
In punto di merito, ai fini dell’affermazione della responsabilità degli enti evocati in giudizio, è necessaria la precisa individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile agli stessi.
Ciò implica che non è possibile riconoscere una siffatta responsabilità semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui la normativa nazionale e regionale affida in generale il compito di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi (ASL), in mancanza della puntuale allegazione e della prova.
Tale onere spetta all’attore danneggiato, in base alle regole generali e consiste nella allegazione e successiva dimostrazione della condotta obbligatoria esigibile dall’ente e della riconducibilità dell’evento dannoso al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria e ciò in base ai principi sulla causalità omissiva.
Questo equivale a dire che, applicandosi i principi generali in tema di responsabilità per colpa di cui all’art, 2043 c.c., non è sufficiente – per affermarne la responsabilità in caso di danni provocati da un animale randagio – individuare semplicemente l’ente preposto alla cattura dei randagi ed alla custodia degli stessi, non essendo materialmente esigibile – anche in considerazione della possibilità di spostamento di tali animali – un controllo del territorio così penetrante e diffuso, ed uno svolgimento dell’attività di cattura così puntuale e tempestiva da impedire del tutto che possano comunque trovarsi sul territorio in un determinato momento degli animali randagi.
Occorre, dunque, che sia specificamente allegato e provato dall’attore che, nel caso di specie, la cattura e la custodia degli animali randagi che hanno provocato il lamentato danno era, nella specie, possibile ed esigibile, e che tale condotta omissiva sia derivata da un comportamento colposo dell’ente preposto (ad esempio perché vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale di animali randagi su quel tratto di strada e che nonostante ciò la ASL non si era adeguatamente attivata per la cattura).
Diversamente, si finirebbe per applicare ad una fattispecie certamente regolata dai principi generali della responsabilità ordinaria per colpa di cui all’art. 2043 c.c., principi analoghi o addirittura più rigorosi di quelli previsti per le ipotesi di responsabilità oggettiva da custodia di cui agli artt. 2052 e 2053 c.c. (Corte di Cassazione – VI sez. civ. – ordinanza n. 11591 del 14-05-2018).
Orientamento giurisprudenziale precedente
La Corte di Cassazione, sez. III, sentenza 23.08.2011 n° 17528 affermava il seguente principio di diritto: “i compiti di organizzazione, prevenzione e controllo (anche) dei cani vaganti (siano essi “tatuati, e cioè scomparsi o smarriti dai proprietari, ovvero “non tatuati”) spettano (pure) ai Comuni (…) tenuti anch’essi, in correlazione con gli altri soggetti pubblici (e non) indicati dalla legge, ad adottare concrete iniziative e assumere provvedimenti volti ad evitare che animali randagi possano arrecare danno alle persone nel territorio di competenza”.
Con il principio anzidetto, dovevano considerarsi responsabili in via solidale dei danni da randagismo sia la ASL territorialmente competente che il Comune.
Entrambi i soggetti, infatti, erano destinatari di obblighi specifici di prevenzione e controllo del randagismo, previsti dalla legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo n. 281/91 e dalle singole leggi regionali di attuazione (nel caso di specie, la L. Reg. Campania. n. 16/01).
Si può ben evincere una netta differenza tra il vecchio orientamento giurisprudenziale e il nuovo indirizzo dottrinale, il quale è inquadrato maggiormente sul punto di dover provare che gli enti citati in giudizio hanno messo in atto un comportamento colposo.
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