La rendita pagata dall’INAIL non viene conteggiata nel risarcimento del danno iatrogeno differenziale se inferiore rispetto al danno-base. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Indice
1. I fatti: il calcolo del risarcimento
A seguito di una caduta accidentale sul posto di lavoro, una signora si recava presso il Pronto Soccorso locale in quanto affetta da forte dolore e impossibilità di utilizzo del polso destro. I sanitari dell’ospedale la sottoponevano ad una visita di controllo, con richiesta di effettuare una radiografia e una vista specialistica ortopedica. Dopo la visita ortopedica, la paziente veniva dimessa con diagnosi di trauma contusivo-distorsivo del polso destro e prescrizione di immobilizzazione per 7 giorni.
Dopo qualche giorno la paziente si recava nuovamente in pronto soccorso, dove veniva diagnosticata una lussazione al carpo destro e veniva pertanto sottoposta ad un intervento chirurgico.
La paziente adiva quindi il tribunale marchigiano sostenendo una responsabilità della struttura sanitaria per la non tempestiva diagnosi della patologia che aveva subito a causa della caduta e ritenendo che, invece, la corretta e tempestiva diagnosi della lussazione che aveva subito le avrebbe evitato l’anchilosi dell’arto e le gravi menomazioni biologiche subite.
In considerazione di ciò, la paziente chiedeva la condanna della struttura sanitaria al risarcimento dei danni non patrimoniali e patrimoniali subiti.
La struttura sanitaria si costituiva in giudizio contestando la sussistenza di un qualsiasi errore attribuibile ai propri sanitari ed eccependo sia la sproporzione fra i danni lamentati e quelli di cui l’attrice chiedeva il risarcimento nonché che l’attrice aveva già percepito e continuava a percepire una rendita dall’INAIL in quanto i danni lamentati erano scaturiti da un infortunio sul lavoro. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Il Tribunale di Ascoli Piceno ha ricordato che la responsabilità della struttura sanitaria per i danni che sono stati causati ai pazienti dai medici dipendenti della struttura sorge sulla base del contratto che si instaura tra il paziente e la struttura medesima al momento dell’accettazione.
A tal proposito, infatti, il giudice ha precisato che la struttura sanitaria risponde dei danni che il paziente subisce a causa dei trattamenti sanitaria che gli sono stati praticati, con colpa, dai medici dipendenti della struttura. Si tratta quindi di una forma di responsabilità contrattuale del committente per l’errore commesso dai suoi preposti.
Per andare esente da responsabilità la struttura sanitaria dovrà dimostrare di aver predisposto in maniera ottimale e tempestiva tutti i servizi richiestigli e di essersi avvalsa di personale idoneo e competente per fornire detti servizi.
Alla struttura sanitaria non è richiesto di raggiungere effettivamente il risultato favorevole atteso dal paziente (cioè la sua guarigione), però la stessa deve svolgere la propria attività usando i mezzi scientifici più idonei per poter raggiungere detto risultato.
In considerazione di ciò, si configura un inadempimento dell’obbligazione gravante sulla struttura sanitaria non già quando non viene raggiunto il risultato atteso dal paziente (cioè la guarigione), ma quando la struttura e il personale di cui la stessa si è avvalsa non ha usato la diligenza richiesta per eseguire la prestazione professionale.
Per valutare la diligenza cui la struttura è tenuta, poi, bisogna avere riguardo alla natura dell’attività esercitata e al fatto che la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà o meno.
In secondo luogo, il giudice ha analizzato l’incidenza di una rendita corrisposta da parte di un ente previdenziale, rispetto al danno biologico subito dal danneggiato.
A tal proposito, il Tribunale ha evidenziato come, in tali casi, dall’importo liquidato a titolo di danno biologico permanente devono essere decurtate le somme che, per il medesimo titolo, sono già state corrisposte o verranno corrisposte dall’INAIL all’attrice.
Ciò in modo che il danneggiato percepisca il risarcimento del solo danno subito.
Secondo il giudice, infatti, i pagamenti effettuati dall’assicuratore sociale (come INAIL, INPS ecc.) riducono il credito risarcitorio della vittima del fatto illecito nei confronti del responsabile, qualora l’indennizzo corrisposto dall’assicuratore sociale ha proprio lo scopo di risarcire lo stesso pregiudizio di cui il danneggiato chiede di essere ristorato.
Nel caso in cui il fatto dannoso abbia, quale conseguenza immediata e diretta, accanto al danno, anche un vantaggio per il danneggiato (come per esempio una rendita erogata da un istituto previdenziale), detto vantaggio deve essere calcolato in diminuzione dell’entità del risarcimento disposto a carico del responsabile. Ciò in quanto il danno non può costituire una fonte di lucro per il danneggiato e quindi la misura del risarcimento non può mai portare ad un ingiustificato arricchimento del danneggiato. In altri termini, il risarcimento deve coprire tutto il danno subito e ristorarlo delle poste che egli ha perduto, ma non può portare ad una situazione migliore rispetto a quella che il danneggiato aveva al momento in cui ha subito l’illecito.
Pertanto, se la prestazione indennitaria che viene erogata dall’istituto previdenziale serve per coprire un pregiudizio che il lavoratore ha subito nel corso di un infortunio sul lavoro, tale rendita andrà a neutralizzare quella stessa perdita (e quindi a risarcire lo stesso danno) che la responsabilità risarcitoria del danneggiante mira a ristorare.
Infine, il giudice ha evidenziato come, nel caso in cui la vittima abbia subito un danno iatrogeno per un evento di malpractice medica, il meccanismo di cui sopra opera soltanto per l’eventuale eccedenza dell’indennizzo pagato dall’istituto previdenziale rispetto al valore monetario dell’invalidità permanente che sarebbe comunque residuata al danneggiato anche se non vi fosse stato l’errore medico (cioè rispetto al c.d. danno-base).
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che i medici del Pronto Soccorso abbiano erroneamente diagnosticato alla paziente un semplice trauma contusivo-distorsivo al polso destro al momento del primo accesso, in quanto le indagini cliniche e strumentali non sono state complete. Secondo il giudice, infatti, in base a quanto emerso dalla CTU svolta in giudizio, la sintomatologia riferita dal paziente e i risultati della radiografia effettuata avrebbero dovuto indurre i sanitari ad eseguire anche una TAC.
L’omessa diagnosi dei sanitari al primo accesso ha determinato gli esiti di anchilosi dell’arto della paziente, mentre se detti medici avessero tempestivamente diagnosticato la lussazione perilunare del polso della paziente (già dal primo accesso al PS), detti esiti negativi per la paziente non si sarebbero verificati.
Ritenuta quindi la sussistenza di una responsabilità dell’ospedale, il giudice ha esaminato la sussistenza dei lamentati dalla paziente.
A tal proposito, il Tribunale ha evidenziato che nel caso di specie il danno biologico subito dalla paziente è qualificabile come danno iatrogeno: infatti, a seguito della caduta subita dalla paziente sul posto di lavoro, a quest’ultima sarebbero comunque residuati dai danni, anche se in misura minore rispetto a quelli che effettivamente ha subito.
Tale figura di danno può essere definita come la percentuale di danno che si sarebbe potuta evitare se l’intervento medico fosse stato adeguato.
Per calcolare il danno iatrogeno, è necessario individuare il grado complessivo di invalidità permanente accertato sul danneggiato, poi individuare il grado verosimile di invalidità permanente che sarebbe comunque residuato al danneggiato anche se non ci fosse stato l’errore medico ed infine bisogna detrarre la seconda delle suddette percentuali dalla prima.
In particolare nel caso di specie, a seguito della caduta, la paziente avrebbe comunque avuto un danno biologico permanente pari a 14-16 punti percentuali, mentre l’effettivo ed attuale danno subito dalla medesima è pari a circa 26-18 punti percentuali: quindi il danno iatrogeno causalmente ricollegabile all’errore medico è pari a 12 punti percentuali.
Accertato e quantificato il danno biologico (iatrogeno) subito dalla parte attrice, il giudice ha evidenziato come nel caso di specie quest’ultima abbia percepito e stia percependo una rendita vitalizia da parte dell’INAIL, in quanto la menomazione biologica subita è scaturita a seguito di un incidente sul lavoro.
Applicando, quindi, i principi sopra esposti, il giudice ha ritenuto che l’attrice abbia subito un danno-base (cioè causalmente ricollegato alla sola caduta) quantificabile in circa €. 35.000, mentre la rendita che ha percepito e che percepirà dall’INAIL a titolo di risarcimento per l’invalidità permanente è pari a circa €. 34.000.
Pertanto, la predetta somma corrisposta dall’INAIL all’attrice non può in alcun modo andare a compensare il pregiudizio da questa subito come danno iatrogeno, cioè come aggravamento rispetto alla invalidità comunque ricollegabile alla caduta e invece imputabile alla condotta dei sanitari. Con la conseguenza che il predetto danno iatrogeno differenziale (cioè l’invalidità biologica riconducibile all’errore medico) dovrà essere integralmente risarcito alla paziente dalla struttura sanitaria.
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