Rinuncia all’eredità e pensione di reversibilità

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Una questione di grande impatto pratico e di interesse per molti è rappresentata dagli effetti che la rinuncia alla eredità può avere sul diritto a percepire la pensione di reversibilità. Per approfondimenti consigliamo il volume: Manuale pratico per la successione ereditaria e le donazioni

Indice

1. Rinuncia all’eredità e diritto alla reversibilità


Una questione di grande impatto pratico e di interesse per molti è rappresentata dagli effetti che la rinuncia alla eredità può avere sul diritto a percepire la pensione di reversibilità. Ebbene se si rinuncia alla eredità si ha comunque diritto di percepire la pensione di reversibilità e ciò perché la reversibilità è una prestazione in favore dei superstiti avente carattere assistenziale e che nulla ha a che vedere con le regole della successione.Alla apertura della successione, che ai sensi dell’art. 456 c.c. si verifica nel momento in cui una persona fisica cessa di esistere, ciascun chiamato all’eredità ha di fronte una triplice scelta, da compiere entro l’ampio lasso di tempo di dieci anni e per i motivi più disparati:
-può accettare l’eredità, espressamente o tacitamente, acquistando l’eredità del de cuius divenendo suo erede senza alcun limite;
-accettare l’eredità con beneficio d’inventario, evitando la confusione del suo patrimonio con quello del de cuius e sottraendosi ai debiti derivanti dalla eredità, pur avendola ovviamente accettata;
-può rinunciare alla stessa mediante una dichiarazione, ricevuta dal notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui i è aperta la successione, con la quale viene manifestata la volontà di non subentrare nei diritti e nei rapporti del defunto. Adottando tale ultima soluzione l’autore della rinuncia è come se non fosse mai stato chiamato alla eredità. Se il rinunciante è il coniuge superstite del defunto, pur avendo manifestato la volontà di non acquisire quanto gli spetterebbe, mantiene il diritto di abitazione ed uso della casa familiare, ai sensi dell’art. 540 c.c., ed ha inoltre, diritto alle rendite derivanti da polizze vita stipulate dal de cuius quando era ancora vivo. Lo stesso principio vale per le pensioni di reversibilità: chi rinuncia non perde il diritto alla medesima.
La pensione di reversibilità, infatti, è una prestazione economica, avente natura assistenziale erogata dall’INPS ed esclusa dalle regole della successione, che spetta laddove sussistano i requisiti di legge – ai familiari superstiti, in caso di decesso del pensionato o del soggetto assicurato che abbia maturato i requisiti per accedere alla pensione di invalidità o di vecchiaia.  Per approfondimenti consigliamo il volume: Manuale pratico per la successione ereditaria e le donazioni.

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2. La pronuncia della Corte Costituzionale


Con una sentenza ormai risalente n. 268/1987 la Corte Costituzionale ha chiarito che:”… la pensione ai superstiti non ha natura successoria, perché spettante anche in caso di rinuncia alla eredità e regolata automaticamente da specifiche leggi previdenziali le quali, tra l’altro, disciplinano in modo diverso dalle norme generali sulle successioni, il concorso tra aventi diritto e la perdita del diritto stesso o pongono regole, almeno parzialmente incompatibili con quelle successorie.” Essa, pertanto, appartiene alla più ampia categoria delle pensioni ai superstiti ed è una forma di tutela previdenziale nella quale assume rilevanza l’evento morte, in quanto fatto naturale che crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto. È un diritto che spetta indipendentemente dal fatto di essere eredi del de cuius.

3. Soggetti che hanno diritto alla reversibilità


Va evidenziato che i soggetti aventi diritto alla reversibilità sono:
il coniuge superstite;
i figli, purché minori di diciotto anni oppure studenti fino a ventuno anni se frequentanti la scuola media superiore o professionale ovvero fino a ventisei anni se frequentanti un corso universitario, purché siano a carico del genitore al momento del decesso e non prestino attività lavorativa retribuita. I figli inabili, invece hanno diritto alla reversibilità a prescindere dalla età. 
i genitori, purché non vi siano il coniuge ed i figli, abbiano una età superiore ai sessantacinque anni, non percepiscano altra pensione, siano a carico del defunto al momento del decesso;
i fratelli celibi e le sorelle nubili, a patto che manchino gli altri soggetti su indicati, siano inabili al lavoro, siano a carico del defunto al momento della morte, non siano titolari di altra pensione.   

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4. Pignorabilità della pensione di reversibilità


La pensione di reversibilità non rientra tra i crediti impignorabili elencati nell’art. 545 cpc. Come per lo stipendio anche la pensione di reversibilità è dunque soggetta a pignoramento nei limiti stabiliti dal D.L. 83/2015.Tale limite è stabilito nella misura di 1/5 dell’ammontare della reversibilità, fatta salva la quota definita “minimo vitale” ovvero la soglia minima sotto la quale non si può scendere per garantire ad una persona una vita dignitosa e l’acquisto di beni essenziali.
Tale cifra è fissata per legge in Euro 525,89. Ciò significa che la pensione di reversibilità può essere pignorata nella parte eccedente detta cifra. Ovviamente la pensione è pignorabile solo se il beneficiario ha accettato l’eredità. Il pignoramento non può scattare se il beneficiario ha rinunciato alla eredità. Questo perché rinunciando alla eredità è possibile evitare la successione dei debiti che il coniuge aveva contratto in vita, senza che però per quanto detto prima, si perda il diritto alla reversibilità.

5. Accettazione espressa e tacita


Vale la pena ricordare per completezza che l’accettazione pura e semplice della eredità può essere espressa o tacita (art. 474 c.c.). La prima attuata con una dichiarazione contenuta in un atto pubblico o in una scrittura privata, la seconda mediante il compimento da parte del chiamato di un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non potrebbe essere realizzato se non nella qualità di erede per cui l’accettazione dell’eredità avviene per fatti concludenti, ossia attraverso condotte o iniziative che il soggetto pone in essere, motivato da un implicito intento negoziale (art. 476 c.c.).
Più specificatamente perché ricorra l’accettazione tacita dell’eredità occorrono due requisiti: un comportamento giuridicamente rilevante e la consapevolezza in chi lo compie della propria delazione, indipendentemente dalla sussistenza o meno della volontà di accettare l’eredità stessa.      

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Avv. Cristina Vanni

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