Riforma forense, entro il 27 aprile gli emendamenti per l’avvio dell’iter parlamentare

Redazione 17/04/12
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Lilla Laperuta

Tariffe, procedimento disciplinare, accesso alle professioni, società fra professionisti, specializzazioni: queste le tematiche su cui dovrà concentrarsi il lavoro del prossimo Tavolo dell’Avvocatura alla luce anche delle novità introdotte dal decreto liberalizzazioni (D.L. 1/2012, conv. in L. 27/2012). Lo ha reso noto il Consiglio nazionale forense (CNF) nella circolare n. 15 diffusa il 13 aprile. Nel documento il presidente del CNF ha sottoscritto l’impegno a sottoporre al Parlamento ed al Governo una proposta emendativa del progetto di riforma AC 3900 quanto più condivisa possibile tra le varie componenti dell’avvocatura, obiettivo questo da realizzarsi entro la data ultima di presentazione degli emendamenti fissata per il 27 aprile.

Il tavolo di lavoro è stato chiamato inoltre a confrontarsi sull’articolo 20, uno dei nodi più caldi della riforma. L’articolo, si ricorda richiede all’avvocato l’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione, pena la cancellazione dall’albo, e rinvia ad un regolamento ministeriale, previo parere del CNF, la definizione delle modalità di accertamento di tali requisiti.

Molti i dubbi sollevati circa la sua costituzionalità e compatibilità con la normativa e la giurisprudenza di diritto europeo.

In primis, gli effetti distorsivi sul principio della libera concorrenza fra colleghi: è lecito che colleghi Avvocati e concorrenti, anche se più affermati o eletti in consigli dell’ordine o altri organismi possano privare i rispettivi colleghi dell’iscrizione all’Albo e del lavoro?

La Corte di giustizia europea, con indirizzo ben consolidato, si è espressa sempre contro norme che individuano nella continuità di un’attività professionale il requisito cui venga subordinato il riconoscimento di un qualsiasi beneficio, la possibilità di accesso a uno status determinato, una qualifica o un trattamento, e ciò lo ha fatto a tutela della dignità del professionista poiché ravvisava in tali norme possibilità di discriminazione anche indiretta a scapito delle donne e dei soggetti deboli in genere.

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